
Heddi Goodrich ‒ che è nata a Washington ma vive ad Auckland, in Nuova Zelanda ‒ è un’insegnante da sempre innamorata della cultura italiana. In questi giorni è in Campania per presentare il suo primo romanzo. Riesco a raggiungerla telefonicamente e con estrema cortesia mi racconta del suo amore per Napoli e per la lingua italiana, in cui ha deciso di scrivere questa sua bella opera prima.
Qual è il tuo legame personale con Napoli e con i Quartieri Spagnoli, in particolare?
Nel mio libro Perduti nei Quartieri Spagnoli Napoli è veramente protagonista, perché è il luogo che mi ha premesso di crescere. Quando sono arrivata ero una bambina e i Quartieri Spagnoli mi hanno fatto maturare. Sono statti anni formativi e anche per questo sono rimasta molto legata a quei luoghi, che sono parte integrante di me. Ho un grande debito verso quella città, perché senza di lei non sarei quello che sono oggi.
Il tuo primo romanzo poteva essere ambientato da qualche altra parte?
No, poteva essere ambientato solo lì, perché Napoli è un luogo che definirei magico. Non è una città come le altre: è frizzante, viva, vera. Una città piena di verità, che insegna ma che non ti dà tutte le risposte che cerchi. Ti invita all’esplorazione, a perderti, ma ti costringe a cercare le risposte da solo. È un posto pieno di fermento. Magico e enigmatico. Napoli non la capisco veramente e credo che nessuno possa dire di capirla, un po’ come succede con la vita e con l’amore. Ci sono mille sfaccettature e altrettante verità. Napoli è una città molto complessa.
L’Italiano è ancora il suo “travestimento preferito”, come affermi nel libro? E come è stato scrivere in questa lingua?
Praticamente, io sono un’insegnante di lingua inglese, di madrelingua inglese e ho sempre scritto nella mia lingua. Infatti, la prima stesura di questo romanzo era in inglese. Ho avuto l’idea di riscriverlo in italiano, anche se, considerando tutto, l’italiano letterario mi sembrava un linguaggio irraggiungibile. Una mia amica ha avuto però un giorno un presagio: sarebbe stato pubblicato il manoscritto in italiano. Era emozionata, ma era anche convinta che avrebbe avuto ragione e così ho provato a farlo. Mi sono letteralmente buttata nel vuoto. Avevo mille paure e pensavo di non farcela. Invece, ho scoperto che la mia voce interiore era italiana e questa lingua mi corrispondeva molto di più dell’inglese a livello emotivo e in maniera autentica. Una scoperta stranissima ma bellissima. Col tempo ho trovato poi la gioia in questa esperienza mistica. La scrittura è un piacere che non riesco a spiegare.
Come descriveresti l’amore tra Heddi e Pietro, i protagonisti del romanzo?
Un amore viscerale, totalizzante e anche vero. Destinato però complicato. Lo dico a un certo punto del libro parlando di Napoli che l’amore non basta per capire una persona così come non basta per capire una città. Un amore travolgente che non può bastare perché ci sono mille ostacoli e mille realtà intorno a loro. Un amore che si sfascia e comincia a distruggersi, a crollare… proprio come Napoli, una città che si sbriciola. Il tufo, i soffitti che crollano, che cadono a pezzi piano, piano esattamente come l’amore che esiste tra questi due personaggi.
Nel romanzo scrivi: “Io provenivo da ovunque e da nessuna parte”. Ti capita ancora di sentirti così?
Credo valga tanto per la protagonista quanto per me. Una cosa tipicamente americana. Siamo persone che non sentono un attaccamento verso la loro famiglia o la loro terra. Noi americani siamo persone del nuovo mondo, abbiamo origine svariate. Forse per questo ci spostiamo facilmente da una città all’altra o da una casa all’altra. Non ci affezioniamo ai luoghi. Non abbiamo una “casa”.
Adesso vivi in Nuova Zelanda, dopo gli Stati Uniti e l’Italia. C’è qualcosa che secondo te lega questi tre Paesi?
Bella domanda. Non lo so. Credo che sia stato il destino ha portarmi in questi posti. Il mio legame con questi tre luoghi nasce da un destino oscuro. Più che l’Italia, Napoli. In Nuova Zelanda vivo a Auckland, che non è la capitale ma la città più grande. Quando ti trovi sulla spiaggia, davanti a te vedi un vulcano e pensi subito al Vesuvio. Il paesaggio è davvero napoletano… forse il mio è un destino vulcanico. Mi è stato detto che spiritualmente la Nuova Zelanda sia un Paese che prevede un futuro fertile per chi via abita. Chissà, forse è una cosa legata alla geologia del luogo.