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Intervista a Helga Schneider

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Il contrasto tra la terrificante storia personale di questa gentile signora tedesca di nascita e bolognese d’adozione e il suo approccio umano commuove e innamora. Helga Schneider ha saputo tradurre un’infanzia di morte, abbandono e guerra in un passato da madre di famiglia single e un presente di incontri nelle scuole con ragazzi ai quali parla di Hitler, di Olocausto, di orrore. Perché imparino a non ripetere certi orrori. Mangialibri si onora di essere tra i primi e più attenti estimatori della sua opera, come testimonia questa affettuosa conversazione.




Se ripensi a quel giorno nel bunker berlinese che hai raccontato così mirabilmente nel tuo romanzo Io, piccola ospite del Fuhrer, quel giorno lontano assieme a tuo fratello Peter e agli altri bambini in visita a Hitler quali sono le immagini che ti tornano alla mente?
I corridoi stretti, la poca luce, i muri scintillanti di umidità, la faccia cattiva del medico, la lampada al quarzo, i tubetti del dentifricio, il refettorio e finalmente il cibo - ma soprattutto la vista di Hitler, emozionante, impressionante, deludente, quasi penosa.

Quanto fa male scrivere di dolori profondi come quelli del tuo passato? Oppure la scrittura è qualcosa che ti ha aiutata a convivere con quei fantasmi?
La scrittura mi ha assolutamente aiutato a convivere con i miei fantasmi e, dopo l’uscita di Lasciami andare, madre, soprattutto con quello di mia madre. Non me ne sono totalmente liberata, ma duole di meno.

Quando si hanno nel cuore, nella mente, negli occhi ricordi come i tuoi come si convive con la terribile superficialità e ignoranza che sembra permeare ogni aspetto della nostra società? Come si può aiutare il mondo a ritrovare una memoria?
Molti aspetti della società odierna mi sgomentano, ma se la gente, e specialmente molti giovani, sono diventati indifferenti ai veri valori puntando tutto sul divertimento e sull’esteriorità, credo che non sia del tutto colpa loro. I giovani sono solo il raccolto di quanto hanno seminato le generazioni che li hanno preceduti. Ma per fortuna anche la società italiana è fatta di buoni e di cattivi, di appassionati e di indifferenti, di creativi e distruttivi, e di altrettante persone che amano riflettere, godere dell’arte, dei sentimenti umani autentici e delle cose belle, il più delle volte le più semplici, che possono arricchire e rendere sensata la nostra vita.

Le tue opere possono essere divise in due grandi famiglie: quelle in qualche modo legate alla tua esperienza personale e le opere di pura fiction, che sono però decisamente la minoranza. Non ti senti mai in qualche modo “costretta” a raccontare storie di nazismo, di guerra, di orrori?
I miei libri rientrano in una categoria che si può definire “letteratura testimoniale”. Alcuni sono di fiction, ma attingendo al periodo del nazismo, altri sono puramente autobiografici come Il rogo di Berlino, Lasciami andare, madre, L’usignolo dei Linke e Io, piccola ospite del Fuhrer.

Oltre che alla scrittura, ti dedichi con talento alla pittura e alla grafica. Come e quando hai scoperto questa nuova passione?
Accanto alla scrittura ho sempre avuto la passione della pittura, ma ho scoperto la grafica digitale dopo aver scoperto le infinite possibilità del computer. È una forma creativa che mi entusiasma molto, che mi rilassa e mi dà molta gioia.

Berlino, Salisburgo, Bologna: dove sono piantate le tue radici più profonde? E come si è comportata l’Italia con te, arrivata nel nostro Paese per amore?
L’ho dichiarato tante volte: sento le mie vere radici a Berlino dove maggiormente ho sofferto. L’Italia mi ha accolta benissimo e mi ha dato ciò che non mi hanno dato paesi come la Germania e l’Austria. Tanto più che è l’unico paese in cui desidero vivere.

Il nucleo della tua opera e della tua storia è senz’altro il tuo rapporto con tua madre. Dopo tanti anni dal vostro terribile incontro di Vienna che posto ha tua madre nei tuoi pensieri?
È impossibile dimenticare la donna che ti ha donato la vita, anche se non ti ha dato amore e protezione. Penso a mia madre con una sorta di amara rassegnazione per quanto non abbia voluto dare ai figli, alla propria coscienza e agli anni che le erano rimasti dopo il grande errore di aver collaborato con la causa nazista. Ma sento anche il peso dell’inutilità di questi pensieri e nello stesso tempo la consapevolezza che a causa di mia madre una parte del mio carattere è stato deformato, anche se cerco da una vita di combattere questa stortura.

I LIBRI DI HELGA SCHNEIDER