Salta al contenuto principale

Intervista a Herman Koch

Articolo di

Aperta la porta della sala in cui si svolge la conferenza stampa, la prima impressione ‒ dovuta alla indubbia somiglianza tra i due ‒ è quella di essere di fronte a Jürgen Klinsmann di ritorno a Milano per formalizzare la sua candidatura come allenatore dell’Inter. Impressione in un certo senso confermata proprio da Herman Koch, che accoglie i giornalisti esordendo: “Quanta gente, sembra di essere alla presentazione ufficiale di un calciatore!!”. Ovviamente Koch non è un calciatore, ma un attore e scrittore olandese. Ha lavorato in radio per la televisione e il cinema, e debuttato come romanziere nel 1985 ma solo con il suo sesto romanzo ha trovato il successo internazionale.




Nel tuo romanzo La cena colpisce molto la reazione che i genitori hanno di fronte alle colpe dei figli, il fatto che siano disposti a tacere la loro responsabilità pur di preservarne il futuro. Sono famiglie disagiate quelle che ci presenti o rappresentano la normalità?
Sono famiglie normali, non credo si possa sostenere il contrario, si comportano come farebbe chiunque, qualsiasi genitore farebbe di tutto pur di aiutare il proprio figlio in pericolo. Anche Paul Lohman ‒ il protagonista e la voce narrante ‒ in fondo è solo un buon padre che soffre di impulsi violenti immaginari che raramente si concretizzano, forse l’unica colpa che ha nell’educazione del figlio è semplicemente quella di avere una personalità molto labile.

E invece credi che il rapporto tra giovani e tecnologie ‒ l’uso diffuso di cellulari, pc, social network e videocamere ‒ possa influenzarne l’atteggiamento in modo negativo?
No, non credo che la tecnologia sia un elemento da demonizzare, anzi penso che sia un’ottima scoperta a disposizione di tutti. Guardandola nel suo insieme ha sicuramente componenti positive e negative, ma le prime battono le seconde. Pensa che anche mio figlio, un po’ come succede nel libro, un giorno mi ha mostrato il video di un suo professore ripreso durante un’arrabbiatura nei confronti degli studenti: in un primo momento ho svolto il mio ruolo di padre, rimproverandolo, ma poi non ti nascondo che anch’io sono scoppiato a ridere.

Per quanto riguarda i rimandi cinematografici interni al libro troviamo Le iene di Tarantino, Blow-up di Antonioni, Indovina chi viene a cena di Kramer: ma dedichi anche alcune pagine a Match Point di Woody Allen: come mai accanto ai classici anche questo film?
Ho scelto quel film perché ha un rapporto diretto con il mio libro: non che mi sia ispirato alla pellicola di Allen, però ci sono evidenti parallelismi tra le due opere, basti pensare all’insegnante di tennis protagonista di Match Point, anche lì siamo di fronte ad una persona che abbandona la morale per perseguire i suoi interessi e non ha paura di uccidere. Pensa che nell’originale gli dedicavo 25 pagine, riportando le discussioni tra i commensali e i loro commenti sulla pellicola, cosa che sono stato costretto a tagliare nella stesura definitiva. Comunque l’aspetto che cercavo di perseguire era quello del realismo: quante volte a cena capita di parlare per ore intere di un film che si è appena visto?

E ci sono state altre modifiche importanti in fase di editing tra il manoscritto originale e il libro che tutti noi leggiamo?
Sì, le modifiche sono sempre necessarie, non dico di aver dimezzato il libro, ma sono sparite almeno 80 pagine. Un intero capitolo dedicato alla moglie del protagonista è stato tagliato, perché mi sono reso conto che non era utile al lettore. Un episodio di scontro tra i due fratelli a riguardo della questione palestinese è assente nell’opera definitiva: anche qui mi sono reso conto che la netta contrapposizione tra i personaggi di Paul e Serge era già ben definita e non necessitava di questo ulteriore dialogo, così ho tagliato.

Quindi il tuo processo di creazione è dinamico, materia in continuo cambiamento, non parte da un plot pianificato a tavolino…
Esattamente, la trama è un processo in costante definizione, mai un “a priori”. Ad esempio lo sviluppo della violenza all’interno del libro - che dai primi capitoli verso la chiusura è in evidente crescendo ‒ è stata una cosa casuale che si è verificata giorno dopo giorno, riga dopo riga, non qualcosa a cui avevo pensato in modo specifico. Mi sono posto soltanto un limite per la stesura di questo libro: per nessun motivo Serge ‒ il politico ‒ avrebbe dovuto scaricare le colpe del proprio figlio su quelle del fratello Paul, perché sarebbe stato un finale davvero scontatissimo.

La tua esperienza precedente come autore televisivo quanto ha influenzato la stesura?
Beh molto, non posso nasconderlo. Per me scrivere un libro è un po’ come stendere una sceneggiatura, ragionando per episodi. Poi tutti i passaggi in flashback e flashforward sono in qualche modo mutuati dal linguaggio cinematografico... ad essere sincero se dovessi realizzare un film dal mio libro però li eliminerei, perché nel cinema li detesto, ma in letteratura riesco ad apprezzarli, sono molto efficaci.

E, nel caso di una versione cinematografica, chi vorresti come regista?
Se stiamo ragionando per assurdo tanto vale spararla grossa: Martin Scorsese!


I LIBRI DI HERMAN KOCH