
Igort, al secolo Igor Tuveri, è uno dei protagonisti del fumetto e dell’illustrazione italiani. Disegnatore e sceneggiatore, ma anche saggista, musicista e cittadino del mondo. Vive oggi tra Parigi e la sua Sardegna, ma nei suoi Quaderni ci ha saputo raccontare il suo abitare ‒ umano, poetico e politico ‒ il mondo: quello russo, ceceno, giapponese… In attività da oltre un trentennio, nel 2000 ha fondato la casa editrice Coconino Press, per passare nel 2017 ad un’altra avventura editoriale con il marchio Oblomov, che dopo pochissimo è diventato partner de La Nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi. Godiamo del grande privilegio di qualche chiacchiera a distanza con il maestro Igort.
In Racconti vagabondi, la mostra organizzata dal centro fumetto Andrea Pazienza a Cremona, sono esposte oltre 200 tavole dei tuoi disegni, una selezione dagli oltre 700 libri pubblicati durante una ventina di anni di direzione editoriale: che effetto ti fanno questi numeri?
Non mi fanno molto effetto, non sono abituato a guardarmi indietro, sto sempre facendo qualcosa di nuovo e dunque non mi volto quasi mai a vedere cosa ho fatto negli anni. Penso che sia sano, se non ci si vuole crogiolare nel passato.
Cosa ha significato la nascita di Oblomov per te?
Uno sforzo per fare il punto, tagliare i rami secchi e pensare al fumetto e al racconto disegnato in genere con uno sguardo a 360 gradi.
Quale progetto c’è alla base?
Alla base c’è l’idea di proseguire un’esperienza di editing e pubblicazione che oramai dura da decenni, da quando fondai le mie prime riviste, alla fine degli anni Settanta.
I tuoi disegni animano i paesaggi, prendono i tratti delle persone e li fanno veri in un modo che la scrittura da sola non riuscirebbe mai, le matite, chine, acquerelli scavano dietro le facciate per arrivare alla verità. Poi, ogni tua storia è un denso amalgama di te, ma anche di ogni pezzo di mondo e di Storia che decidi di raccontare. Racconto o disegno: a chi spetta il timone del tuo raccontare?
Un libro è qualcosa che si condensa, dapprima sono delle suggestioni, delle visioni, dei dialoghi, delle intuizioni, il lavoro che segue e che spesso dura anni è un lavoro di setaccio in cui cerco di pulire le idee di rendere chiare e trasparenti, vivide, se possibile. Che siano più o meno personali, intendo, sia che mi metta in scena personalmente o meno, ogni libro è in parte, in una componente misterica all’autore stesso, autobiografica. Chi fa questo lavoro sa bene che si fa per comprendere, per mettere a fuoco cosa si è vissuto.
Come riesci a mantenere la tua freschezza comunicativa nel disegno dopo così tanti anni al tavolo da disegno?
Forse è il risultato del metodo: mi pongo costantemente in una dimensione di scoperta, credo che disegnare debba essere questo, o perlomeno per me è questo: innanzitutto un’epifania.
Il passato, tra languore e nostalgia segnano il ritmo e la trama delle tue storie, che peso ha la memoria nelle tue storie?
La memoria è il motore principale del mio approccio, direi. Nella memoria è implicito un distacco, si riesce a raccontare bene qualcosa che è distante, di cui puoi vedere i confini. Una volta che guardi occorre calarsi, rivivere, altrimenti il processo è freddo e non comunica. Il gioco è quello di rivivere le cose con la maggiore purezza e sincerità possibili. Solo allora la magia di un racconto prende vita.
In My generation c’è chiaramente un ringraziamento al dottor Moebius: “che mi ha dato la fede nel bianco”; ci dici. Chi sono stati tuoi maestri nel mondo del fumetto?
Moebius è stato la grazia. La leggerezza e il genio. Munoz la potenza e l’espressione, Da Crepax e da Eisner ho capito che si poteva inventare tutto. Ma ci sono certi illusionisti come Corben che hanno attraversato la carta dando l’impressione di mondi tridimensionali e inauditi. Si impara sempre o ogni giorno da tutti. La bellezza è ovunque, occorre darsi l’esercizio di scorgerla. Ogni giorno, nella vita quotidiana. Come la poesia, ci circonda, ma se viviamo distrattamente ci sfiora e non la percepiamo, come fossimo addormentati.
E fuori da questo mondo?
Pasolini ha insegnato che si può trovare la bellezza anche nella polvere, occorre essere acuti per non cadere nei cliché.
Quale personaggio creato da altri ti sarebbe piaciuto o ti piacerebbe disegnare?
Mah, sono tanti i personaggi che mi piacerebbe disegnare o reinventare. Ma ne ho talmente tanti che devo ancora disegnare, tra i miei, che non ho molto tempo per dedicarmici. Se fosse per me farei 4 libri all’anno, ma sono troppo lento e troppo innamorato del metodo di sedimentazione che utilizzo da anni. E questo richiede tempo.
I FUMETTI DI IGOR TUVERI - IGORT