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Intervista a Ilaria DI Roberto

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Ilaria Di Roberto è solare, empatica e dalla nostra lunga chiacchierata esce il ritratto di una donna che ha imparato a essere se stessa a prescindere da quanto viene detto dagli altri, da ciò che tutti sembrano aspettarsi da lei. Ilaria è divenuta nota al grande pubblico quando è stata vittima di revenge porn, ma la violenza nella sua vita è presente fin dagli anni della scuola. A distanza di tempo da quel buio periodo della sua vita ha raccolto la forza di raccontare la verità cercando di essere d’ispirazione per altre donne.



Si può dire che il tuo bisogno di scrivere affondi le radici in quanto ti è accaduto?
Si, diciamo che c’è stato parzialmente un principio di causalità in questo. Ciò che mi è accaduto ha fatto sì che, da un punto di vista delle tematiche sociali, la scrittura sia stata una conseguenza, però la mia passione per questa attività ha radici che risalgono a molto prima. La passione per la lettura, la scrittura e la poesia mi è stata trasmessa fin da piccolissima da mia mamma, che mi portava con lei in giardino e mi lasciava leggere notizie di cronaca quando ero davvero molto piccola. La scrittura è diventata col tempo per me il mezzo attraverso cui proteggermi, ritirarmi in un mondo di magia per cercare di spostare l’attenzione da quanto mi accadeva e permettermi di capire come fare per portare a compimento il mio desiderio di fare qualcosa per gli altri, e in particolare per le altre.

L’assenza di tuo padre è stata una mancanza che ti ha segnata nelle vicende che ti hanno vista protagonista?
Tutta la mia vita è sempre ruotata attorno alla violenza, fin da quando ero bambina, tra i banchi di scuola, perciò tutto il mio percorso scolastico è stato travagliato per la presenza di tutta una serie di relazioni tossiche che si sono affacciate nella mia esistenza, e in questo contesto sicuramente a mio avviso una parte di causa è stata l’assenza di mio padre. La sua mancanza mi ha lasciato dei segni principalmente perché mi è mancato un riferimento maschile, anche nelle rare volte in cui lui era fisicamente presente. Il mio punto di riferimento maschile e femminile assieme era mia mamma. E questa assenza mi ha portata a essere un po’ una persona introversa, insicura a tratti, molto chiusa, e le mie mancanze venivano colmate attraverso il cibo, oltre che dall’essere “la cocca delle maestre”. Sono stata vittima di bullismo in parte per il mio peso, ma a quel tempo il tema del bullismo non era trattato né visto come oggi perché io venivo trattata come il colpevole nel senso che la punizione era affibbiata a entrambe le parti: erano anni quelli in cui alle vittime veniva chiesto di imparare a difendersi, a tirar fuori un po’ di “cazzimma” come si dice a Napoli, ma io non ne ero capace, non ero stata educata a reagire a quei soprusi.

Per via di queste vessazioni continue a dodici anni entri nel tunnel dell’anoressia, dal quale riesci a uscire grazie alla passione per il ballo…
Nel giro di due mesi io sono arrivata al punto di mangiare soltanto una mela al giorno, con la paura di prendermi anche un semplice sciroppo perché temevo la presenza di zuccheri in esso. Ed è in questo periodo che subentra la grande passione del ballo, che ho sempre amato molto ma che per la situazione economica in cui mi trovavo non potevo permettermi di frequentare. La danza mi ha davvero salvata perché ricordo che quell’anno mamma fece ogni tipo di sacrifici affinché io potessi prendere lezioni e in qualche modo riprendere a mangiare.

Finito il periodo delle medie però lo spettro del bullismo torna nella tua vita, alle superiori…
Alle superiori ero presa di mira un po’ perché mi mettevo al primo banco, frequentavo giusto perché mi piaceva studiare e quindi venivo criticata anche dagli stessi professori, che mi rimproveravano di essere troppo egocentrica, troppo piena di me. A gravare su questa situazione arriva la “batosta” dell’abbandono da parte di mio padre della nostra famiglia che mi porta a cercare lavoro. Già in questo primo impiego, in un ristorante, è tornato il filo della violenza perché il primo giorno di lavoro sono stata vittima di un tentato stupro da parte di uno dei colleghi.

Nel tuo libro Tutto ciò che sono parli della distinzione importante tra bullismo e violenza di genere…
Già quando denunciai il tentato stupro, a diciassette anni, la frase che mi veniva ripetuta più spesso era che in qualche modo io potevo evitare quella spiacevole situazione, quando invece ero la vittima di un uomo che si voleva approfittare di una ragazzina. Quella è stata la mia prima esperienza di violenza di genere: il bullismo invece in realtà è trasversale, quindi colpisce indistintamente i ragazzi e le ragazze - anche se è comunque presente un patriarcato di fondo, a mio avviso, perché la donna viene attaccata da un punto di vista estetico, mentre i maschi sono presi di mira per non avere degli atteggiamenti ritenuti socialmente accettabili in quanto uomini, anche nei bambini. Da quel momento però la mia vita è stata costellata di relazioni tossiche.

A proposito delle relazioni tossiche, possiamo toccare un’altra tematica del tuo libro, ovvero il revenge porn di cui tu sei stata vittima?
Va premesso che io soffrivo di dipendenza affettiva perché non avendo mai avuto una figura maschile al mio fianco, come punto di riferimento. Appena vedevo che un uomo mi prestava un po’ più di attenzioni io mi innamoravo molto facilmente, anche fraintendendo la situazione. Cercavo negli uomini tutto ciò che mio padre non mi aveva mai dato senza però fare distinzione tra chi se lo meritava e chi invece ne era indegno. Perciò per tutta queste serie di fattori quando ho conosciuto questo ragazzo di Taranto su Facebook e lui mi ha proposto di fare sexting io non sono riuscita a rifiutare, sebbene mi sentissi un po’ in imbarazzo all’inizio perché era la prima volta che mi veniva richiesto qualcosa del genere. Quando però la nostra relazione si è spenta, sono venuta a sapere che era solito non solo avere altre relazioni contemporaneamente a me, ma che mostrava anche le foto che riceveva ad altri. Le mie paure purtroppo poi hanno avuto conferma quando ricevevo commenti di estranei che facevano chiaro riferimento a quelle immagini. Decisi di denunciare, sorbendomi tutta quella trafila di frasi dalle forze dell’ordine sul fatto che non avrei mai dovuto inviare quelle foto. Io penso che alle forze dell’ordine in generale sarebbe opportuno far fare dei corsi su come approcciarsi a una vittima di violenza, perché non bisogna dimenticare l’impatto che si ha su una persona che si presenta spaventata in cerca di risposte e soprattutto giustizia.

Una situazione anche peggiore è quella che vivi in una relazione successiva, quando le tue foto private circolano sul web…
Tempo dopo la relazione col ragazzo di Taranto io incontro un nuovo compagno che però da me cercava un’amicizia per quanto fossimo particolarmente legati. Io, di nuovo un po’ per la dipendenza affettiva, accetto la condizione di averlo accanto solo come amico e però la mia presenza alla sua nuova fidanzata non piace particolarmente tanto che nel momento in cui la loro relazione giunge al termine, improvvisamente le mie foto private finiscono in rete. Vivendo io in un paese ben presto la gente non solo viene a sapere di cosa è successo ma io divento vittima di stalking di gruppo, molti mi fermano per strada chiedendomi il prezzo dei miei favori sessuali. Allo stesso modo anche il suo profilo instagram viene hackerato diventando un ricettacolo di immagini porno.

E tu scegli, dopo le denunce, di trovare una via di uscita da queste situazioni nell’esoterismo…
Nel mio cercare lavoro online venni in contatto con un centro esoterico nella speranza di avere delle risposte in merito alla mia situazione, laddove magari altre persone in genere scelgono un appoggio nella psicoterapia. Era un periodo già difficile, io non ero lucida: ero depressa, non uscivo di casa perché incontravo gente che in ogni occasione reagiva male alla mia presenza, spesso mi veniva negato un appuntamento dal parrucchiere, ad esempio, perché non mi volevano nei loro negozi. Il proprietario di questo negozio esoterico mi propose di lavorare con lui, e io ho accettato perché era la prima mano tesa che mi veniva offerta in un periodo in cui tutto era negativo. I guai iniziano quando scopro che questo esercizio era in realtà una truffa. Di nuovo è stato grazie a mia madre che sono riuscita ad allontanarmi da questa situazione ma con questa scelta inizia il mio calvario perché iniziano le minacce, le vessazioni.

Da questa situazione tu però riesci a trarre il meglio scrivendo appunto questo libro, Tutto ciò che sono, e permettendo così ad altre persone di avere una “voce amica”, la tua…
Per me già sapere che una persona è riuscita a trovare la forza di lasciare una relazione tossica dopo aver letto il mio libro significa aver raggiunto un valido obiettivo. Mettere a disposizioni di altri la mia esperienza, poterla raccontare e far ascoltare, è un modo per permettere alle donne di riconoscere una situazione di violenza che può essere verbale o fisica.

Tu affidi questa tua esperienza a un libro che contiene aforismi, racconti, delle poesie: da dove arriva questo tuo apprezzamento per lo “stile libero”?
Attraverso la poesia, che mi è stata fatta apprezzare fin da piccolissima da mia madre, trovo si riesca a rendere meno pesante la drammaticità che normalmente permea situazioni come quelle che racconto io, rendendo il racconto inquietante ma al tempo stesso consentendo al lettore di empatizzare con la protagonista. Lo stile libero è poi un modo di raccontare che apprezzo particolarmente.

Un’ultima domanda: qualche nuovo progetto per il futuro?
Tanti: un saggio umoristico in cui si affronterà l’approccio sistematico che hanno gli uomini nei confronti delle donne sul web; un romanzo autobiografico che però richiederà molto tempo ancora; e infine un diario in cui si parlerà anche di autismo.

I LIBRI DI ILARIA DI ROBERTO