Salta al contenuto principale

Intervista a Jane Johnson

Jane Johnson
Articolo di

La vita tutta da scoprire di Jane Johnson, editor inglese di successo con la passionaccia dei viaggi con un passato da consulente per il regista della trilogia de Il Signore degli Anelli Peter Jackson trapiantata dalla swinging London in un paesino nordafricano, è un manifesto della multiculturalità e della tolleranza. E lei ha attinto alla sua esperienza per i suoi libri fatti di avventura e di romanticismo.

 

Le due protagoniste del tuo romanzo Il decimo dono vivono a quasi quattro secoli di distanza, ma cosa regala la storia di Catherine alla vita di Julia? Quali nuove energie, quale messaggio, quale forza?

All'inizio della mia storia Julia sta attraversando un periodo difficile: il lavoro non la soddisfa, e la rottura di una relazione extraconiugale che andava avanti anche da troppo tempo la fa sentire come intrappolata in una fase deprimente. Il diario di Catherine la cattura, la fa fuggire lontano dalla sua vita e dal suo passato, la costringe a scendere a patti con i suoi errori e a girare pagina. La fa viaggiare lontano, in tutti i sensi...

 

A proposito di viaggi, anche nella tua vita hanno ricoperto un ruolo decisivo a dir poco...

Viaggiare è stato sempre importante per me, ho viaggiato in tutto il mondo, spesso anche da sola. Il viaggio è una dimensione preziosa per la tua vita, perché introduce la flessibilità e il cambiamento: è troppo facile adagiarsi nei cliché. Per una scrittrice poi è forse anche più importante, perché dai viaggi si trae energia, materiale per raccontare nuove storie. Quanto alla mia vicenda personale, la svolta della mia vita risale a qualche anno fa, quando mi sono recata in Marocco per fare delle ricerche storiche per l’abbozzo di romanzo che avevo in mente e che sarebbe diventato Il decimo dono. Ero con un mio amico, e, ammaliati dalle bellezze incredibili di quel Paese, avevamo deciso di fare un’escursione sulle montagne dell’Atlante nella zona di Tafraut. Premetto che la sera prima dell’arrampicata avevamo cenato in un ristorante dove avevo incontrato un uomo del luogo che mi aveva molto colpito per la sua bellezza e la sua personalità, con il quale si era creato subito un certo feeling fatto di sguardi e sorrisi nonostante le barriere linguistiche. La scalata fu un vero disastro: rimanemmo bloccati in altura con il buio e temperature che andavano molti gradi sottozero, l’unica speranza era chiamare i soccorsi col cellulare, per cui feci il numero del ristorante e mi rispose proprio lui, che capito il pericolo si fece in quattro per farci recuperare. Saremmo morti se non fosse intervenuto Abdel, questo il nome dell’uomo che mi ha salvato e che poi – colpo di scena - è diventato prima il mio compagno e infine mio marito. Ora vivo per sei mesi nel villaggio berbero dove è nato e cresciuto Abdel e per sei mesi in Cornovaglia.

 

Hai lavorato come consulente sul set della trilogia dedicata a Il Signore degli Anelli dal regista Peter Jackson grazie al tuo lavoro come editor delle opere di J. R. R. Tolkien: cosa ti ha lasciato questa esperienza?

Mi ha fatto innamorare dei viaggi, innanzitutto. Lavorare a 27 ore d'aereo da casa – il set era in Nuova Zelanda - è stato incredibile e ha fatto crescere in me uno spirito indipendente e avventuroso. Inoltre, lavorare alla trilogia è stata un'esperienza magica anche dal punto di vista artistico: avendo lavorato per decenni alla pubblicazione delle opere di Tolkien mi aspettavo pochissimo dalla riduzione cinematografica, mi aspettavo la solita delusione, il consueto polpettone hollywoodiano. Invece sono stata letteralmente spazzata via dalla cura di Jackson per i particolari, dal rispetto sommo che ha avuto per un capolavoro eterno come Il Signore degli Anelli.

 

Hai scritto romanzi per ragazzi con due pseudonimi diversi, e un romanzo col tuo vero nome: quale di queste esperienze senti più tua e cosa ti hanno insegnato tutte?

Ogni libro che ho scritto ha contribuito a farmi imparare il mestiere di editor e di autrice, innanzitutto, mi h fatto affinare la tecnica, arricchire il linguaggio. Per scrivere libri per bambini occorre essere molto disciplinati, rigorosi. Ogni progetto comunque mi ha dato qualcosa, anche se sento che tutti i miei libri portavano a Il decimo dono, che è la mia opera più complessa e in definitiva quella che mi rappresenta di più.

 

Come è stato l'impatto con una cultura così lontana dalla tua come quella berbera e marocchina in generale? E ritieni che i matrimoni misti possano rappresentare una soluzione all'epidemia di razzismo e intolleranza che appesta il mondo di oggi?

Quando ho deciso di sposare mio marito e di trasferirmi in Marocco molte mie amiche erano letteralmente terrorizzate, e anche io ero preoccupata che la nostra relazione incontrasse ostacoli, in fondo veniamo da due mondi molto diversi. Invece devo dire che mi hanno sorpreso molto di più le vicinanze che via via si scoprivano che le differenze che mi aspettavo. Gli esseri umani – tutti gli esseri umani, non importa a quale cultura appartengano – sono molto più simili tra loro di quanto credano. Nel villaggio dove abito posso parlare anche tre ore di seguito con la mia vicina che non parla la mia lingua, la comunicazione viaggia ad altri livelli. Inoltre la società berbera è molto tollerante con gli stranieri, magari con la cultura araba avrei avuto più problemi. Naturalmente devo osservare alcune precauzioni e vestirmi in modo adeguato (certo non mi metto pantaloni o minigonna, ma tanto non me li mettevo neanche prima). In generale direi che per comunicare basta un sorriso e la capacità di ascoltare senza giudicare. Quando mio marito è venuto per la prima volta in Cornovaglia temevo che avrebbe incontrato diffidenze, ma nel giro di una settimana tutti i miei amici e parenti parlavano francese e lo hanno accolto benissimo! E per rispondere alla tua seconda domanda, sì: credo che i matrimoni misti siano un fantastico antidoto contro il razzismo e spero si diffondano in tutto il mondo. 

 

I libri di Jane Johnson:

Il decimo dono