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Intervista a John Banville

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La presenza di John Banville al Festivaletteratura di Mantova 2022 è molto più di un semplice cameo o di un’apparizione: Banville è probabilmente il più importante scrittore in lingua inglese vivente, sicuramente uno dei più letti e conosciuti ma è anche una persona colta, gradevole, ricca di storia e di quel sense of humor tipico, tagliente, elegante e sarcastico, dei gentlemen d’Oltremanica (è irlandese). Banville, che a molti è noto anche con lo pseudonimo di Benjamin Black, non è solo uno scrittore piacevole e interessante, ma anche un ospite molto bravo ad eludere le domande, capace di risposte misteriose come spesso la trama dei suoi romanzi.



Oggi sto parlando con John Banville, ma quanto è stata importante l'esperienza di essere Benjamin Black? È stata un'esperienza legata alla difficoltà di convivere con il successo?
È stato soltanto un altro modo di scrivere, una nuova esperienza, è stato un esperimento: in effetti ho voluto provare a scrivere una crime story, ma poi alla fine sono rimasto affascinato dalla possibilità di esplorare questi personaggi. Così ho portato fino alla fine quel romanzo e quindi ho capito di avere iniziato un nuovo processo di sviluppo della mia scrittura. Tutto qua.

La tua produzione letteraria per molti si divide fra romanzi gialli e romanzi non gialli…
Beh, intanto io definisco i miei romanzi come “crime stories”…

Scusa: mi pare che i tuoi romanzi non siano dei “gialli” nel senso classico, perché impieghi molta della tua creatività nel raccontare le storie, non nel creare e risolvere dei crimini. Anche se si riscontra un cambio di stile narrativo, i tuoi romanzi gialli sono storie di persone, non di crimini. Vedo cioè nei tuoi romanzi un dialogo continuo con la tradizione tutta irlandese di James Joyce e di Frank McCourt, autori di romanzi che, in modo differente, parlano del presente intrecciandolo col passato. Mi sbaglio?
Sì, la mia produzione letteraria si innesta sulla scia della tradizione irlandese, che da Jonathan Swift prosegue per James Joyce. Mi conosco molto bene, conosco molto bene le mie fonti di ispirazione che risalgono all’antica tradizione dei poemi irlandesi, quello è il mio orizzonte di riferimento. Non ho assolutamente nulla in comune con Frank McCourt che appartiene invece ad una tradizione di irlandesi americani.

Sei soddisfatto della traduzione italiana (Il dubbio del killer) del titolo April in Spain che invece è chiaramente una sorta di titolo parlante? Anche se Il dubbio del killer è un titolo accattivante per il mercato di genere, credo che si sia perso molto del fascino linguistico e dell’ambiguità del romanzo, nascosta proprio dietro quel titolo. Cosa ne pensi?
Non interferisco con il lavoro del mio editore: non conosco così bene la lingua in cui è stato tradotto, ma mi fido ciecamente del suo lavoro. Succede lo stesso con le traduzioni in altre lingue, come per il giapponese: a me interessa in ogni caso che i lettori ritrovino il senso delle mie storie.

I LIBRI DI JOHN BANVILLE