
Incontro Karina Sainz Borgo nella lounge del club degli editori del Salone Internazionale del Libro di Torino, il 12 maggio 2019. È indubbiamente il momento storico del Venezuela, terra d’origine della scrittrice che oggi vive a Madrid, dove si è trasferita nel 2006. Per questo Karina è ricercatissima, dalla radio, dalla televisione: un po’ perché è una bella donna, giovane e preparata, ed una persona interessante, un po’ perché tutti vogliono sapere qualcosa in più della politica del continente sudamericano. Alle spalle Karina ha una fitta produzione da giornalista e scrittrice, ha un canale social ed una curiosità tipicamente latina. Rientra dopo aver fumato una sigaretta, stanca per la lunga maratona di promozione della sua arte, ma con un sorriso smagliante che trasmette tutta la forza dei suoi trent’anni, vissuti intensamente.
Karina, sono di “Mangialibri”. Grazie per aver accettato lo stress di un’altra intervista…
Ho già sentito parlare di questa rivista, me ne hanno parlato bene. Sono contenta di rispondere.
Partiamo dal tuo Paese natale, e non poteva essere diversamente, perché in questi giorni non si parla d’altro…
Una tragedia…
Difatti non hai mai smesso di interessarti della politica del tuo Paese, anche se ormai vivi a Madrid, però hai scelto di ambientare il tuo primo romanzo pubblicato da Einaudi, Notte a Caracas nel tuo Paese, in un tempo senza tempo. Cosa c’è nel romanzo del Venezuela di ieri e cosa c’è del Venezuela di oggi?
Il romanzo è ambientato in un Venezuela contemporaneo. A partire dalla vita del personaggio principale, Adelaida Falcon, restituisce una panoramica di vent’anni di regime: non sono presenti nomi, non sono presenti date, non per dare un peso ancora più drammatico alle emozioni che vengono liberate da questo libro. Questo per dare l’idea di come la gente comune viene mangiata e fagocitata da un regime totalitario dove c’è un’assoluta mancanza di libertà. Ma tutto questo è raccontato come una allegoria: la morte della madre è la perdita della propria patria, la perdita della propria casa che è il perdere le cose più intime, perdere noi stessi, la propria identità. Il personaggio della Marescialla rappresenta il potere assoluto, più vorace. Si tratta di tutto un mondo che si intesse nel rapporto fra vittime e carnefici: le vittime sono stati carnefici, i carnefici diventeranno vittime.
Salto la domanda su quanto c’è di autobiografico nella storia, perché chiaramente ci sarà qualcosa. Visto che hai introdotto il tema delle allegorie e del significato vorrei approfondire questo aspetto: lasciare il Venezuela per andare in Spagna avviene cambiando identità. La speranza è allora nel cambiare identità?
Al contrario. No, non c’è speranza nel mio romanzo. Io volevo scendere nel fango e andarcene fino in fondo, Come in tutti i processi del dopoguerra, che sono di solito drammatici, ci dimentichiamo molto spesso del fatto che la gente perde tutto, senza avere avuto la possibilità della scelta. Con questo romanzo ho voluto arrivare al nocciolo della questione: una persona che ha già perso tutto deve perdere anche il suo nome per poter sopravvivere. Il romanzo non risolve il problema, non corregge situazioni gravi, non porta soluzioni, ma problematizza, perché ci inducono a farci nuove domande ed a sviscerare le contraddizioni.
Ti sei dedicata a diversi tipo di scrittura, dai blog agli articoli sui giornali spagnoli, abbandonandoti a diversi tipi di sperimentazioni linguistiche. Quali difficoltà hai trovato nel costruire un romanzo, che è una cosa differente rispetto ad un articolo con sul Real Madrid. Quali sono gli obiettivi di Karina scrittrice?
Sono 15 anni che scrivo narrativa in modo sistematico senza mai fermarmi e allo stesso tempo ho sempre scritto testi giornalistici, ma non ho mai separato le due attività. Ho scritto testi narrativi per esplorare un modo per liberarmi da alcuni elementi che mi opprimevano e trasformarli in qualcosa di bello e plastico. Questo è il mio primo romanzo, ma sto già lavorando ad un secondo che ha in sé i temi a me più cari, che sono la morte e la memoria. Prima di questo testo ho scritto altri tre romanzi, che sono ancora nel cassetto, ma in questo romanzo, per la prima volta, ho sentito di aver scritto non quello che potevo ma quello che volevo. E mi sentivo perfettamente padrona delle parole che scrivevo sulla carta. Oggi mi sento abbastanza forte per mettere le briglie a queste parole e non farle scappare come cavalli impazziti.