
Al Lucca Comics & Games grande importanza riveste anche la narrativa fantastica. Infatti da qualche anno è attiva l’area Luk for Fantasy, in cui si presenta il meglio dell’editoria di settore. Grazie all’ufficio stampa Mondadori ho la possibilità di incontrare e intervistare il collettivo milanese La Buoncostume, che ha pubblicato con l’editore il suo primo romanzo “sci-fi utopico”. La Buoncostume è un collettivo formato da Carlo Bassetti, Simone Laudiero, Fabrizio Luisi, Pier Mauro Tamburini. Lavorano per la televisione (The Comedians per Sky, Stasera Casa Mika per Rai Due, Camera Cafè per Rai Due e Italia 1, Il Candidato per Rai Tre) e per il web (Età dell’oro per Discovery, Kubrick – Una storia porno per Magnolia Fiction, Faccialibro per MSN Microsoft, Involontario per Officine Buone), scrivendo sia fiction sia format di intrattenimento. Tra le serie autoprodotte ci sono Klondike (Miglior Webserie al Roma Web Fest 2015), Quadri Rappati, Animali che parlano (più di 2 milioni di visualizzazioni tra Facebook e YouTube), Di come diventai Fantasma e Zombi (Migliore Sceneggiatura al Festival IMMaginario 2013).
Partiamo dal vostro nome. Chi è, o meglio chi sono, La Buoncostume?
La Buoncostume è formata da quattro sceneggiatori, registi, autori e attori, scrittori e a volte fonici, montatori e grafici che vanno sotto i singoli nomi di Carlo Bassetti, Simone Laudiero, Fabrizio Luisi e Pier Mauro Tamburini. Abbiamo fondato il nostro collettivo circa dieci anni fa, anzi a esser precisi manca poco al festeggiamento del decimo anniversario.
Il vostro Millennials – Il mondo nuovo può essere ascritto al genere sci-fi/distopico. Come è nata l’idea di scrivere di un mondo senza adulti?
L’idea nasce dalla volontà di scrivere di un mondo abitato solo da giovani, che però non fosse un brutto mondo, post-apocalittico o distopico come spesso accade in questo genere letterario. In uno scenario in cui gli adulti sono assenti, dotato delle tecnologie odierne, abbiamo voluto pensare un habitat in cui i giovani hanno la volontà di costruire, non di distruggere. Un mondo in cui se la cavano. Non ci sono nel nostro romanzo solo ragazzi che si uniscono in bande, uccidono o saccheggiano ma anche gruppi organizzati che si uniscono per costruire insieme una società diversa. Poi certo, per una storia serve “la ciccia”, quindi i nostri protagonisti si trovano nei guai e poco a poco le cose si mettono davvero male. Molto male. Non a caso ci piace definirlo un action-horror-psichedelico. La voglia di portare avanti un discorso di questo tipo la abbiamo da tanti anni, poi qualche tempo fa ragionando sulla sceneggiatura di un film ci è venuta in mente l’immagine dei “bloccati”: gli adulti che in questo mondo sono sì presenti ma spenti, come in uno stato vegetativo permanente. L’idea del romanzo va per immagini anche per questo motivo, perché è stata adattata da un medium molto più visivo. Nasce dallo spunto degli adulti bloccati, poi abbiamo cercato di realizzare una storia che ci piace chiamare di fantascienza utopica.
Leggendo il vostro romanzo la memoria di un lettore torna inevitabilmente a Il signore delle mosche di Golding: quanto e come vi ha influenzato?
In realtà abbiamo cercato di prendere la direzione opposta, perché ne Il signore delle mosche la tesi portante del libro è quella che i ragazzi, privati di un contesto sociale moderno o comunque urbano e delle sovrastrutture che questo implica, diventino dei selvaggi pre-razionali, tra i quali prevale sempre la legge del più forte, la violenza e la logica della sopraffazione. Le bande violente che si trovano nel nostro romanzo in realtà sono un sistema sociale in via d’estinzione. Le vestigia di una fase di passaggio che sta scomparendo. Il motivo è che questo modello predatorio non riesce a sostenersi mentre le comunità basate sull’inclusione, sulla condivisione e sulla cooperazione prosperano. Sono state il modello prevalente nel primo periodo “dopo il blocco”, perché prendono e portano via e in questo modo a loro sembra di poter vivere, ma poi non avendo nessuna base su cui costruire un progetto a lungo termine si bruciano la terra intorno e finiscono per appassire. Anche Mina, una delle protagoniste che inizialmente fa parte di una banda, è costretta a reinventare un ruolo per lei e i suoi amici, perché si rende conto che non riescono a sopravvivere. Quindi l’aspetto distopico è quasi un tratto recessivo.
Ultimamente l’editoria per ragazzi predilige le eroine, voi avete optato per una narrazione corale e mista, in cui l’unico elemento affine è la giovane età dei protagonisti. Come vi siete trovati a “indossare le loro scarpe”, fra argomenti e slang moderno, da nativi digitali?
Abbiamo scelto la narrazione corale perché l’orizzontalità è un tema centrale del libro. Non ci interessava descrivere una storia con un eroe o un’eroina, ci sono già tante belle storie di quel tipo, ci piaceva invece l’idea che la storia andasse avanti grazie allo sforzo di tanti, che sono poi i protagonisti delle varie comunità presenti nel romanzo. La stesura del libro non è avvenuta a più mani, nel senso che a scrivere è Simo (Simone Laudiero), anche se il lavoro di brainstorming fra tutti e quattro è avvenuto per ogni capitolo. Scrivere tutti quanti, a più mani, sarebbe stato molto complicato e sarebbe difficile ottenere un lavoro coeso dal punto di vista stilistico e narrativo. Abbiamo deciso tutti insieme cosa deve accadere, quando e come ma la stesura completa è stata di un solo autore, una sorta di ghost writer del gruppo. Per indossare le scarpe dei giovanissimi protagonisti abbiamo fatto come si fa sempre, ci siamo affidati ai nostri ricordi di quando avevamo quell’età, incrociandoli con ciò che vediamo, come si comportano i ragazzi adesso: quello che osserviamo passeggiando in strada, le conversazioni che intercettiamo in tram o al calcetto, i video di YouTube, i ragionamenti che fanno i figli dei nostri amici. È un mondo incredibile e non pretendiamo di averlo riprodotto fedelmente, ma speriamo almeno di averne catturato un po’ lo spirito.
Quali sono gli argomenti cardine di Millennials – Il mondo nuovo, quelli che vorreste restassero più impressi?
Principalmente l’empatia, la condivisione, l’inclusione. La consapevolezza che il sistema di potere, che nel libro metaforicamente è quello degli adulti, si configura spesso come violento e predatorio. È differente il caso dei ragazzi che raccontiamo, che invece per natura sono portati alla condivisione e alla costruzione. Una tesi contraria a quella distopica più comune, in cui quando crolla una qualunque struttura di potere l’uomo libera immancabilmente la sua natura distruttiva. Ci interessava descrivere un processo di crescita, un cammino. Accidentato, certo, perché poi il libro è un libro d’avventura fatto di esplosioni, botte, inseguimenti e casini vari.
Promuoverete il libro anche nelle scuole?
Sarebbe davvero difficile promuovere il romanzo all’interno del sistema scolastico perché al suo interno ci sono argomenti considerati ancora tabù come la sessualità, le droghe, argomenti espliciti che faticano ancora a essere accettati. Anche se sono argomenti di contorno al libro, e non il fulcro della storia, ci sono vari rischi, il più comune dei quali l’incomprensione con i genitori. È un discorso di macrostrategie: se scrivi un libro con intento chiaramente didattico, con dei temi educativi molto netti, il sistema scolastico lo assorbe più facilmente anche per determinate indicazioni ministeriali che guidano la scelta. Il nostro libro non si infila dritto in questo discorso più ampio, va contestualizzato meglio. Quindi per lo più punteremo alle presentazioni classiche in libreria, o direttamente nei peggiori bar di Caracas.
Progetti futuri a più mani?
Buoncostume 1. Secondo voi possiamo già dire del film?
Buoncostume 2. Dipende, quale?
Buoncostume 3. Noi lo diciamo, poi al massimo si taglia…
Buoncostume 4. Stiamo scrivendo la sceneggiatura di un film, ma non possiamo dire altro. Tutti i nostri progetti vengono comunicati tramite la nostra newsletter “Charlize”, che ci è molto cara, alla quale ci si può iscrivere direttamente dal nostro sito www.labuoncostume.it.
E in singolo?
L’idea è sempre unirci nei progetti in cui è giusto essere insieme e poi avere dei lavori in cui ognuno di noi si possa esprimere al meglio con le sue specializzazioni e preferenze. Carlo è al lavoro sui Quadri rappati, su alcuni prototipi di serie web d’animazione e si sta buttando sullo stand-up, Fabrizio ha scritto un articolo sullo storytelling politico che va forte, Pier sta pensando a un suo romanzo e Simone ha appena consegnato il secondo volume della sua saga fantasy Gli Eroi Perduti. In dieci anni avremmo potuto separarci o litigare decine di volte, se siamo ancora qua significa che abbiamo trovato vari sistemi, volta per volta, per riuscire a lavorare insieme: ogni progetto ha un responsabile che organizza il lavoro anche per gli altri, e in questo modo riusciamo a concludere ciò che iniziamo senza troppi intoppi. In un equilibrio che negoziamo di anno in anno. Anche perché capita che quando siamo da soli “manteniamo il risultato”, mentre tutti insieme cresciamo sempre.