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Intervista a Leonardo Colombati

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Leonardo Colombati è uno dei più interessanti scrittori e giornalisti italiani contemporanei. Il suo modo di costruire i romanzi si avvicina molto alle esperienze postmoderne di Pynchon e di altri scrittori americani. Teorie complottistiche, gusto per il particolare e il dettaglio, una manciata di ironia e sarcasmo: questi gli ingredienti della sua prosa che si avvicina ai grandi classici della letteratura italiana (un nome su tutti? Gadda). Abbiamo avuto il privilegio di mandare qualche domanda via e-mail all'autore. Vediamo come ci ha risposto.




Leggendo il tuo 1960 mi sono sentito subito a casa, nel senso che molte delle cose di cui tu parli o molti degli scorci che usi sono già apparsi in vari libri italiani del dopoguerra. Lo stile mi è parso vicino a Gadda, Pasolini, Moravia. È stata una scelta precisa quella di avviarti su sentieri già battuti, per così dire, o è fuori luogo fare un parallelo con quegli autori?
Mi è molto difficile capire qual è il mio stile, e a chi o a che cosa rassomigli. Gadda è il migliore scrittore italiano del Novecento, ma imitarlo porta a un sicuro disastro. Moravia non è tra i miei scrittori preferiti, anche se dentro 1960 è finito qualcosa de Il disprezzo (assieme alla traduzione cinematografica – infedelissima – di Godard), de La noia e dei Racconti romani. Il Petrolio di Pasolini, invece, è stato un punto di riferimento durante la scrittura. E Pasolini, alla fine, l’ho assunto tra i personaggi del libro.

In tutto il libro mi ha divertito molto il cinismo che usi per descrivere gli ambienti e le persone, il modo in cui usi la “cinepresa” nelle descrizioni, che diventano parte del quadro, incarnandosi quasi a mò di personaggi. Le stanze diventano come in Flaubert dei personaggi in carne e ossa. Anche altri scrittori italiani contemporanei usano molto questo modo di narrare, penso a quel grande affresco su Roma che è Addio, Monti di Masneri o la descrizione dei giovani romani a New York in Class di Pacifico o qualche anno fa Piperno. Ritieni che questo fermento possa essere l’inizio di una specie di “scena” romana/su Roma/sulla romanità?
Non credo molto alle “scene”. Masneri non l’ho letto. Quanto a Pacifico e Piperno, che conosco e stimo, mi sembrano tra loro molto diversi. E non vedo molte analogie tra il loro stile e il mio.

L’altra cosa che mi ha colpito è il fatto che la politica in quell’anno (il 1960) fosse presente in qualsiasi azione, in qualsiasi pensiero dei personaggi e anche della gente comune. E nell’immediato dopoguerra la politica voleva dire anche destra (molto, se pensiamo alla DC come a un partito di centro-destra). Oggi tutto il discorso politico sembra appiattirsi su banalità e prese di posizione leggere, come se lo schierarsi da una parte o dall’altra o fare riferimento a un'ideologia sia quasi fonte di vergogna. Siamo cambiati? Siamo cambiati in peggio?
Siamo cambiati, questo è certo. Il nostro, oggi, è un altro mondo. Se siamo migliori o peggiori, però, non saprei. Il 1960 era l’anno del boom, ma era anche quello del governo Tambroni e della schedatura di massa da parte del generale De Lorenzo.

Per un lettore amante della letteratura americana contemporanea, è inevitabile il rimando a Infinite Jest di DFW. Anche tu hai usato molto le note per spiegare che cosa stesse succedendo nella storia, quali fossero i luoghi, le canzoni, i personaggi citati. Le tue note però parlano di personaggi veri, mentre quelle di DFW riguardavano fatti e personaggi di pura invenzione. Sebbene possa sembrare paradossale, a mio avviso quel 1960 di cui tu parli è un anno che non esiste più, quasi da riscoprire, possibilmente da re-inventare. E quindi non sei poi così distante dalla fantascienza di DFW. ll passato può diventare quindi una fonte di finzione, di illusione, di infingimento. Che ne pensi?
Io sono nato dieci anni dopo il 1960. Era, quello, un mondo che non ho mai conosciuto se non dentro certi libri e film. Lo svogliato giornalista di Una e una notte, l’Accattone del primo film di Pasolini, il Giovanni Pontano de La notte di Antonioni, l’Alberto Sordi di Ladro lui, ladra lei sono per me reali, in “carne e ossa” quanto Livio Berruti, il generale De Lorenzo, Pier Paolo Pasolini e il presidente Gronchi. La Roma del 1960, per me, è quella popolata dagli spettri incipriati di Gassman e Mastroianni (quelli del film Fantasmi a Roma) tanto quella di Arbasino e la Betti che mangiano alla fiaschetterai di via della Croce.

Raffaele Donnarumma nel suo saggio Ipermodernità vede soprattutto nel tuo esordio (Perceber) qualche rimando a Pynchon. In quest’ultimo libro forse il riferimento all’autore americano resta, perlomeno nell’odore di complotto che aleggia su tutto il romanzo. Ti sembra sia così?
Pynchon è uno degli scrittori che ho amato di più; anche se i suoi ultimi due romanzi sono stati una grossa delusione. Sicuramente, alla base dello sgangherato tentativo di colpo di Stato che racconto nel romanzo c’è qualcosa della teoria del complotto pynchoniana; ma anche, e probabilmente di più, il Monicelli di Vogliamo i colonnelli.

Leggendo il libro si ha la sensazione che manchi una vera e propria trama. Più che ricordarci chi ha fatto cosa, ci restano in mente i colori, i profumi, i ritagli di giornale, pezzi di mosaico che vanno a comporre un anno/una generazione. Era questo il tuo scopo?
Non era mia intenzione comporre una specie di Almanacco del 1960. Volevo raccontare una storia, o forse più d’una… C’è quella del golpe mancato e quella di John Fante che viene a Roma per scrivere un film per De Laurentiis. Questi sono i due plot principali, attraverso i quali volevo raccontare da una parte la Roma “nera” dei servizi segreti, della speculazione edilizia e della politica del Palazzo, e dall’altra la Roma dorata della dolce vita, vista con gli occhi di uno scrittore americano.

Perché hai scelto proprio l’anno delle Olimpiadi? C’è una vena di polemica contro il governo Monti che ha deciso di non ricandidare (per fortuna!) l’Italia alle olimpiadi del 2020?
No, nessuna vena polemica! Ho iniziato a pensare a questo libro otto-nove anni fa…

Ultima cosa. Hai scelto tu Catherine Spaak come front cover? E se sì, perché?
Sì, l’ho scelta io. Olimpia, la protagonista femminile del romanzo, è disegnata sul modello della Spaak de I dolci inganni e di La voglia matta. Appena ho visto la foto, ho detto: “Eccola, questa è la copertina!”.

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