
Lois Lowry è una scrittrice statunitense nata nel 1937 alle Hawaii. Da fotografa e giornalista freelance che era negli anni Settanta, si è dedicata alla letteratura per ragazzi, vincendo due volte la prestigiosa Medaglia John Newbery. In occasione dell’uscita del suo nuovo libro, ci dà la possibilità di porle alcune domande via e-mail, dalle cui risposte emerge tutta la sua dedizione e delicatezza che ritroviamo all’interno delle sue opere. La foto è di Rania Matar.
Come è nata l’idea per il tuo All’orizzonte?
L’idea per questo libro è nata quando, da adulta, ho guardato una fotografia che ritraeva me a tre anni e ho realizzato che dietro di me, all’orizzonte, c’era la nave “Arizona”, che ha trasportato più di 1100 uomini, morti poi a Pearl Harbor. Nello stesso momento ho incontrato un uomo giapponese, di nome Allen Say, una vecchia conoscenza dell’infanzia, con il quale ad undici anni ci guardavamo con paura e diffidenza. In quell’attimo, sono stata fulminata dall’intuizione che siamo tutti così connessi l’uno all’altro. Mi ci è voluto un po’ di tempo per capire che cosa fare con questa folgorazione e il risultato è stato questo libro.
Perché hai scelto di raccontare questa storia secondo il genere della poesia, invece di scrivere un romanzo?
Molte volte per uno scrittore è quasi il libro che ti dice la forma in cui vuole essere scritto. Con All’orizzonte è successo così. Non c’era nessuno degli elementi di un romanzo tradizionale: non c’era un personaggio principale o una trama vera e propria, solo immagini. E certamente questo è ciò che è la poesia: un insieme di immagini selezionate, distillate nella loro essenza. Sono fortunata che il mio editore l’abbia vista nello stesso modo e che abbiamo concordato che fosse il genere giusto. Il mio pensiero è solo per le parole, se scelgo quelle adatte e se riesco a metterle insieme in un modo che abbia significato e bellezza.
Anche questo libro è pensato per i ragazzi. Pensi che scegliere il genere della poesia sia ugualmente efficace e in grado di arrivare a loro oppure potrebbe rivelarsi un ostacolo?
La poesia classica che i ragazzi studiano a scuola è spesso qualcosa di oscuro e difficile. Ma questo libro è scritto in uno stile molto semplice. Penso che lo troveranno facile da leggere, facile da capire e non si faranno intimidire dalla forma. È ingannevole perché, anche se sembra poco impegnativo, in realtà tratta questioni complesse e difficili. Gli insegnanti lo apprezzeranno per questa ragione!
Le storie di cui parli all’interno del libro sono vere o sono frutto di finzione? Nel caso in cui siano vere, come sei venuta a conoscenza di queste informazioni?
Ogni persona menzionata nel libro è reale. Tra l’altro ho avuto un’esperienza commovente recentemente. Una delle poesie di Pearl Harbor parla di un giovane, James Myers, ucciso nell’attacco giapponese, che ha lasciato orfani i figli piccoli, Jimmy e Gordon. Qualche settimana fa ho ricevuto un’e-mail da un uomo che si è presentato dicendo “Sono Gordon”. Era il ragazzino rimasto orfano nel 1941. Ovviamente ho fatto molta ricerca; ho dovuto trovare queste persone, individuare quelli che si sarebbero prestati meglio per ciò che stavo scrivendo. Ha implicato scavare moltissimo su Internet. È stato facile trovare una lista di quelli deceduti sulla nave “Arizona”, ma poi ho dovuto approfondire, andare indietro con gli articoli di giornale e con i libri ovviamente, trovare i dettagli che li avrebbero portati in vita tra le pagine. Ho seguito lo stesso processo con le vittime di Hiroshima. Sono stata su entrambi i luoghi della memoria: il primo a Pearl Harbor e il Museo della Pace a Hiroshima, dove tra l’altro ho visto il triciclo rosso che a tre anni Shinichi Tetsutani stava guidando la mattina in cui è morto. È stato davvero commovente!
Nel libro hai scritto che ci sarà sempre un legame tra i ragazzi sulla nave e la bambina sulla spiaggia. Che cosa hai voluto intendere e come questo legame impatta nel presente secondo te?
Permettimi di rispondere a questa domanda con una riflessione personale. Avevo un figlio che era un pilota di caccia dell’US Air Force. Quando ha stazionato in Germania, ha incontrato una donna tedesca, di cui si è innamorato e che ha sposato; alla fine hanno avuto una bambina, la mia unica nipote. Quando la bambina aveva due anni, mio figlio è rimasto ucciso durante un volo su un F-15. È stato cremato in un cimitero in una città della Germania, vicino alle tombe dei tedeschi, per lungo tempo nostri nemici, che morirono sul fronte russo. Ecco: quando mi reco in Germania a far visita a mia nuora e a mia nipote, rifletto sempre sui legami umani che ci uniscono, sull’insensatezza della guerra che ha generato le tragedie che abbiamo subito. Siamo tutti umani e abbiamo condiviso tutti le stesse speranze e sogni e siamo stati tutti vittime di odio e pregiudizio. Questo è il nostro legame ed il legame tra i ragazzi sulla nave e la ragazzina sulla spiaggia.
Ma nel libro scrivi che non è ancora tempo per essere amici. Secondo te che cosa è necessario per rimarginare le ferite?
La poesia parla del giorno in cui a undici anni ho guardato con paura e sospetto ad un ragazzino giapponese mio coetaneo. Eravamo nemici e non sapevamo come diventare amici. Il tempo è stato guaritore. Allen Say ed io ormai abbiamo circa ottant’anni e siamo diventati amici stretti quando ne avevamo sessanta. Credo che occorra imparare che non abbiamo più tempo: il mondo si muove con velocità ed è scoraggiante vedere quanto il pregiudizio, l’odio e la guerra continuino. Forse i ragazzi di oggi saranno portatori del cambiamento di cui abbiamo bisogno.
In The Giver sono affrontati molti temi (la rivincita, il rapporto tra artisti e il potere, la paura del diverso, la discriminazione, la memoria, e così via). In questo libro quale messaggio vorresti che raggiungesse i ragazzi?
All’orizzonte parla del costo dell’odio sopportato dalle persone e ci incoraggia a trovare e ad apprezzare i modi in cui siamo tutti connessi l’uno con l’altro.
Hai qualche progetto in corso?
Sì! Attualmente sto lavorando su un libro che combina una storia vera con elementi di finzione: ha a che fare con una serie di eventi che sono avvenuti duemila anni fa, su cui noi sappiamo veramente poco, e crea la storia che potrebbe aver causato questi eventi. Molta ricerca! Molta immaginazione!