
Louis Sachar è un autore innamorato dell'infanzia: da lontano lo si riconosce per il cappellino con la visiera, da vicino perché quando parla dei suoi lettori torna bambino un po' anche lui e gli brillano gli occhi. Ha studiato legge, e poi si è messo a scrivere. Nei suoi libri ci sono classi e studenti, ma anche ragazzi che scavano buchi nel deserto, sfidandone le temibili creature a colpi di cipolla, ci sono giocatori di bridge.
Non possiamo non cominciare dal cibo... Hai assaggiato qualcosa di speciale in Italia?
La bottarga. In America naturalmente si mangia italiano, ma è molto più pesante!
E tra gli scrittori italiani hai trovato qualcosa di nutriente?
Non so se lo considerate italiano, ma sto leggendo Marco Aurelio, è uno dei libri che consiglierei senz'altro.
Non esattamente italiano... hai letto altri classici latini o greci?
Veramente no.
Ma che tipo di “mangialibri” sei?
Mi è molto difficile trovare un libro che mi piaccia e una volta che l'ho trovato lo mangio tutto. Se mi piace davvero, non vado troppo veloce, perché non voglio arrivare alla fine, cerco di risparmiarlo. Qualche libro l'ho riletto, ma di solito non lo faccio. Però quando trovo un nuovo autore che mi piace vado avanti leggendo tutto il suo lavoro.
Hai avuto il coraggio di scrivere un libro intero - Il voltacarte - su uno sport complesso come il bridge. Ma come hai fatto? Tu giochi a bridge?
Ho imparato dai miei genitori, quand'ero piccolo, ma ho ricominciato a giocare a quarant'anni, con un'ora settimana. Ora gioco quasi ogni giorno.
Quindi hai scritto la storia per spiegare il gioco?
No, la cosa più importante è la storia. Ho voluto cogliere un'occasione.
Ti basi sempre su esperienze reali?
Prendo soltanto spunto dalla realtà, ma mi ci vogliono un paio d'anni per scrivere un libro: alla fine è come se conoscessi i miei personaggi, come se fossero reali. Qualche volta non mi sembra nemmeno di scrivere, ma solo di stare a guardare.
Come mai ci vuole così tanto tempo? Come funziona per te la scrittura?
Penso che le mie migliori idee si evolvano mentre scrivo la storia. Le idee da cui parto non sono buone quanto le idee che vengono dopo. Comincio semplicemente con una piccola idea che mi permette di partire, e poi scrivo un po' ogni giorno e vado oltre. E' quasi come fare un esperimento in laboratorio, tornando a vedere cos'ho sbagliato... Scrivo un po' ogni giorno: la storia cambia e io cambio idea, e quindi, dopo circa sei mesi, in media, finalmente riesco ad avere una primissima bozza. La prima bozza è terribile, non la lascerei leggere a nessuno! Ma in testa, adesso, ho una visione della storia; la riscrivo una seconda volta e ora ho un'idea molto migliore di cosa succederà, di chi sono i personaggi e di che cosa mi piace della storia. Così scrivo più a lungo ogni giorno, circa due ore. E continuo ad avere nuove idee mentre scrivo e a cambiare idea. In circa tre mesi ho finito anche quella stesura e poi ne faccio un'altra, e un'altra ancora... e per ogni stesura penso in continuazione a come rendere la storia migliore e a che cosa dovrebbe succedere dopo. Ma a mano a mano che la stesura procede mi concentro sull'arte del racconto piuttosto che su cosa accade.
Chi è il tuo lettore ideale?
Potrei immaginare un lettore molto intelligente, ma al tempo stesso cerco di rendere la mia scrittura molto chiara perché non voglio annoiare... che abbia un buon senso dell'umorismo... e forse è tutto... mentre per l'età dipende dal libro.
E la prima persona che legge quello che scrivi?
Mia moglie, ma non è il mio lettore ideale: ha gusti diversi dai miei. In ogni caso, non parlo mai della storia prima di aver finito di scrivere.
Quando hai cominciato a scrivere? E perché proprio libri per ragazzi?
Durante il mio ultimo anno di Università. Perfino a 22 anni sentivo di avere il peso del mondo intero sulle spalle, con tutti i miei libri, i corsi, e quello che non andava. E ogni giorno passavo un paio d'ore ad aiutare in una scuola elementare: era così piacevole vedere i ragazzi pieni di gioia, speranza e impazienza, mi piacevano così tanto che ho pensato di scrivere per loro. Poi negli anni ho visitato molte scuole come autore, e qualche volta mi dicevo “andare di nuovo in una scuola, a rispondere alle stesse domande...” ma poi arrivo là e i ragazzi sono così entusiasti e questo mi ispira sempre. Alla fine mi annoio delle mie risposte, ma adoro il loro entusiasmo. Hanno letto i miei libri, sono eccitati di vedermi, ed è elettrizzante per me e per loro.
Quindi che cos'è per te “essere bambini”?
Credo che sia quell'età in cui il mondo è aperto. La maggiorparte dei bambini che incontro sono molto impazienti e hanno grandi speranze, e si sentono come se potessero far qualunque cosa e stanno solo provando ad imparare e a crescere e non vedono l'ora di entrare nel mondo. Penso che questa sia la ragione per cui mi piace scrivere di ragazzi, perché possono ancora essere qualunque cosa. Se scrivi di adulti, sono già sistemati, non ci sono molte possibilità rimaste aperte per gli adulti.
E' per questo che i tuoi personaggi hanno così tanta energia, e lanciano messaggi così positivi?
Credo che tutti, in fondo, abbiano del buono. E in effetti, se c'è un messaggio che sembra ricorrere in tutti i miei libri è proprio imparare a credere in se stessi.
I libri di Louis Sachar