
Abbiamo raggiunto telefonicamente Louise O’Neill, giovane e prolifica scrittrice irlandese in Italia per partecipare a “Il Tempo delle donne” alla Triennale di Milano. Classe 1985, giornalista freelance per diverse testate del Regno Unito, Louise è stata eletta dal quotidiano “The Guardian” miglior scrittrice YA vivente. I suoi romanzi sono dei bestseller internazionali, acclamati da pubblico e critica, le sue tematiche importanti e molto attuali. Femminista di trincea, narratrice della società contemporanea, la O’Neill non racconta tanto la violenza sulle donne in sé e per sé, quanto la violenza del maschilismo imperante ai giorni nostri.
Sei una scrittrice e una giornalista socialmente molto impegnata. In che modo cerchi di far riflettere il tuo pensiero sul tuo lavoro? Credi che socialmente ci sia una differenza tra i due veicoli, letteratura e giornalismo?
È un’ottima domanda, la tua. Il mio lavoro come giornalista ha molto a che vedere con i temi che mi sono più cari, parlo del femminismo e delle questioni di genere, ma sono tutte cose che cerco di analizzare e trattare soprattutto con il mio lavoro come scrittrice. Più volte prima di cominciare un romanzo mi sono imposta coscientemente di non scrivere dei romanzi femministi, ma alla fine, con il procedere della storia, mi sono ritrovata a parlare dei temi di cui abbiamo appena detto e ho capito che non posso fare a meno di trattarli. Diciamo che sono cose che vengono fuori naturalmente, ecco. Ogni scrittore si occupa di ciò che sente più vicino a sé. Io sono una donna che vive nel mondo di oggi, non posso non vedere ciò che succede e come scrittrice e giornalista uso le piattaforme che ho a disposizione per far sentire la mia voce.
Il movimento #metoo, che ha spopolato sui social e su tutti gli altri media, ha fatto tremare le fondamenta dell’oligarchia maschilista hollywoodiana. Credi che in qualche modo abbia influito anche sulle piccole realtà? Sulle persone comuni?
Penso che tutto quello che è successo, il movimento #metoo, le accuse a Weinstein e le indagini del “New Yorker” siano state un salto in avanti. Ma questo tipo di razzismo, questo tipo di maschilismo, fa letteralmente parte delle istituzioni di cui stiamo parlando, è parte integrante della struttura di questo mondo. Per scardinarlo serviranno anni. Ed è importante che non dimentichiamo il lavoro fatto finora, quello degli anni ottanta e novanta, soprattutto. C’è moltissimo da fare per assicurare la parità dei sessi e dobbiamo spingerci sempre più avanti per continuare ad avere dei risultati significativi. Dobbiamo lavorare assieme per rendere il mondo più giusto ed equo.
Quale pensi che sia il ruolo della letteratura nel femminismo? E come credi che debba procedere uno scrittore per perorare la causa e allo stesso tempo raccontare storie tanto dure?
La domanda fondamentale che si deve fare ogni scrittore, secondo me, è quale segno si vuole lasciare e quale messaggio si vuole mandare con la propria opera. Non tutti i lavori sono socialmente impegnati, il che è giustissimo perché la letteratura dev’essere anche una fuga dalla realtà, spesso, dev’essere creatività, ma io con i miei lavori cerco di fare altro. Cerco di sfidare la cultura dominante per dare voce a chi non ce l’ha, a chi spesso è lasciato indietro. Con questo non voglio dire che ci siano lavori migliori e lavori peggiori, ogni scrittore deve trattare ciò che preferisce e, visto che il nostro mondo spesso può sembrare un posto molto brutto e oscuro, la letteratura deve anche essere un modo di tranquillizzarsi. Questi due credo che siano gli scopi fondamentali della letteratura.
Nel tuo romanzo Te la sei cercata la protagonista è vittima di uno stupro ma, a causa del pensiero dominante, lei stessa viene spogliata dalla veste di vittima per diventare una complice di ciò che le è capitato, per diventare quasi lei stessa una carnefice. Da cosa credi che dipenda questo assurdo capovolgimento dei ruoli?
Incolpare una vittima come fosse lei la vera colpevole è purtroppo qualcosa che accade molto spesso. Credo che dipenda anche dal fatto che la nostra morale, il nostro pensiero dominante, ci fa credere che le donne devono essere perfette in tutto. Da loro ci si aspetta che siano buone, diciamo. Per gli uomini è l’esatto opposto, si tende a giustificarli con frasi e pensieri semplici e semplicistici, sai, “sono solo ragazzi”! Dipende dalla cultura, forse, perché ovviamente non tutti gli uomini sono così. Ci sono persone che non si sognerebbero nemmeno di fare una cosa del genere. Bisogna guardare in certi casi alla disparità sessuale che c’è tra uomini e donne.
Un’ultima domanda. Sei una scrittrice molto, molto giovane. Hai qualche consiglio per gli esordienti o aspiranti tali?
Sì, leggete! Leggete tanto e tante cose diverse. È importantissimo leggere, cercare di non copiare nessuno ma di trovare la propria voce e non scoraggiarsi davanti un rifiuto.