
Quand’è che hai cominciato a fare il giornalista? Volevi fare lo scrittore di romanzi o il giornalista?
Ti racconto questo aneddoto: abitavo a Torino e avevo una nonna sul lago di Como, Ida, che aveva una stupenda collezione di Urania, i romanzi edicola di Mondadori. Da piccolo io volevo scrivere un Urania con la copertina di Karel Thole. Una leggenda sostiene che Thole non li leggesse, gli Urania, però se li faceva raccontare da Lippi (editor Mondadori, ndr) il quale è uno affascinantissimo quando parla e glieli raccontava in maniera così vivida che Thole ha fatto alcune delle copertine più belle che si siano mai ricordate. Tant’è che Michele Mari ha fatto un bellissimo libro che si chiama Le copertine di Urania, dedicato alla capacità immaginifica di questo artista. Io lo volevo, volevo Karel Thole. Da bambino m’immaginavo che avrei scritto una storia di aeroplani, perché mi piacevano, e doveva esserci una nuvola a forma di teschio che avrebbe spaventato gli altri bambini. Non avrei mai voluto fare il giornalista, mi ci sono trovato. Stavo a Torino, poi a un certo punto mi sono stufato e siccome mio figlio era piccolo, non volendo metterci troppa strada per andare a trovarlo, ho pensato di andare a Milano, un’altra città grande e piccina. Avevo telefonato a Renato Fumi, direttore di una rivista di informatica che si chiamava Internet News…Collaboravo con loro, non è che fossi proprio redattore ma facevo il lavoro sporco sul cd-rom, vari cd–rom da allegare alla rivista. Così mi sono spostato a Milano e mi sono trovato a fare il giornalista ma senza accorgermene, senza neanche volerlo fare. È stata mia moglie Angela che mi ha spinto a fare l’esame di Stato.
Ma se lavori di mattina come fai a scrivere libri per te? Scrivere, scrivere, scrivere…
A me piace scrivere di notte, un po’ perché sono lentissimo. C’è un momento in cui uno deve scegliere se vuole fare il professionista, o no. Fare il professionista vuol dire fare un libro all’anno, sbattersi tantissimo ed essere molto presenzialista, stare appresso all’agente, alle presentazioni... io ho preferito fare altro, nel senso che non ho voglia di avere l’assillo di dover creare letteratura: per me richiede dei tempi lenti, di lunghissima brasatura. Per fare un libro ci posso mettere anche cinque anni. A La vergine delle ossa ho cominciato a lavorarci intorno a una decina d’anni fa - nel frattempo ho fatto uscire il romanzo L’inglesina in soffitta che appunto considero il mio quinto romanzo, non il quarto com’è in ordine di pubblicazione – e inizialmente lo avevo studiato come una storia di fantascienza. Arrivato circa a metà ho detto no, non sta in piedi, non è fantascienza e l’ho rifatto tutto completamente.
Perché un romanzo sia di fantascienza o di un qualsiasi genere, deve avere caratteristiche ben precise?
L’importante sono i personaggi. Un personaggio di genere è diverso da un personaggio non di genere. Il personaggio di genere arricchisce ed è molto semplice perché porta avanti un aspetto della sua personalità. È un po’ una metafora di qualcosa, non è un personaggio a tutto tondo che si trova a reagire emozionalmente quanto un attore che manda avanti una parte, cioè interpreta se stesso. Nella letteratura diciamo così “bianca”, come dicono i francesi, ossia la letteratura non di genere, un personaggio è interessante per come la sua psicologia complessa reagisce all’ambiente. Se tu lo calassi in una storia di genere avresti troppa roba, avresti un personaggio esposto a delle emozioni tali che non diventerebbe credibile. In un thriller molto violento, che ne so, "Seven", per dire, i personaggi sono molto credibili però appunto portano avanti una sfaccettatura della loro personalità: sono due poliziotti, uno riflessivo e uno più impulsivo, e ognuno sviluppa quella parte. Se tu calassi in quell’ambiente un personaggio molto proteiforme che reagisce, che sente, che soffre, non ce la faresti più a gestirlo. Saresti sempre lì a raccontare come si trova rispetto alle cose che succedono e non riusciresti a dargli il tempo di far succedere niente. Questi sono personaggi di genere, anche quando sono personalità molto complesse come quelle che io ho preso, due delle personalità più complesse dell’Ottocento cioè Emilio Salgari e Cesare Lombroso. Basta leggerli: hanno scritto moltissimo entrambi e in tutto quello che scrivevano raccontavano se stessi. Ecco, io mi sono trovato a scegliere la strategia classica del genere: prendere un personaggio e sviluppare in sostanza una parte della sua personalità ma non esclusivamente quella, perché altrimenti ne avrei fatto una macchietta. Se lo lasci a espandersi, ti ritrovi un personaggio ingestibile in una storia di genere. E quindi come fare a trovare l’equilibrio perché questa persona sia se stessa con la sua complessità di sfondo, però portato avanti solo in un aspetto? Io ho pensato di far parlare loro: quasi tutto ciò che dicono Salgari e Lombroso sono cose che hanno scritto. Sono delle citazioni legate all’ambiente. È stato divertente soprattutto con Salgari, avendo il vantaggio che Salgari era quasi tutto su Liberliber quindi potevo andare a fare una ricerca “full text” per trovare citazioni dei suoi personaggi, perché lui sostanzialmente si identifica con Yanez.
Il personaggio di Salgari mi è sembrato davvero un pazzo. Una personalità che si diverte, da scrittore, a prendere in giro quelli che gli stanno intorno con le parole e con la finzione.
C’è un’ambiguità di fondo. Fino alla fine non si capisce, e non si capisce nemmeno alla fine in realtà, se Salgari ci fa o ci è. Fa finta di essere pazzo perché vuole stare vicino alla moglie che è stata messa in manicomio, quindi gli conviene fare il pazzo con Lombroso, oppure è veramente uscito di senno e potrebbe esserlo perché infatti poi tenta il suicidio come fa esattamente Salgari? Salgari era affascinante per questo: era disposto a tutto pur di proteggere la propria fantasia, era disposto anche a morire. Una volta sfidò a duello un giornalista che aveva messo in dubbio che egli fosse un capitano di mare. Ora, Salgari non era capitano di mare, aveva fatto l’Istituto Paolo Sarpi da cui lo avevano cacciato, tuttavia sfidò quel giornalista.
A proposito di personaggi, parliamo di U.G. Se c’è una cosa che ho trovato poco verosimile è come quest’uomo dopo torture, vessazioni e botte potesse sopravvivere, così quando lo liberano sembra fresco come una rosa. No?
Questo è il superuomo del romanzo di genere, chiaro. C’è anche da dire che il personaggio Salgari non sarebbe sopravvissuto mentre U.G. è un personaggio brutale, in un’epoca brutale, quando i carabinieri erano davvero brutali. È disumano quanto i suoi carcerieri. Sono bestie dello stesso livello: appena fuori la prima cosa che pensa di fare è fare la bestia. È una bestia ma è anche un furbo, in grado di condurre un’indagine ma ci sono delle cose con cui uno non può fare i conti, e U.G. ne farà una talmente grossa da non poterci fare i conti in nessun modo. Ecco perché alla fine sceglierà di rimanere pazzo nel manicomio di Lombroso. Un posto terribile anche se meno di quello che può sembrare, i veri incubi nella psichiatria arrivano poi negli anni Trenta con la lobotomia, con l’elettricità, mentre nell’Ottocento tutto quello che sapevano fare era legare e picchiare: botte e catene. Negli anni Trenta alle botte e alle catene si sommeranno le torture elettriche e l’elettroshock. Mia sorella, che si occupa dell’assistenza a persone con problemi psichici, mi diceva che a umanizzare la psichiatria più che Basaglia è stato lo psicofarmaco. “Tu non hai mai visto la violenza di una crisi psicotica in pieno sviluppo: se la vedi capisci perché nell’Ottocento ti legavano e ti mettevano al buio.
Parlando per generi: se La vergine delle ossa ha il sapore del romanzo storico come L’inglesina in soffitta, il tuo primo romanzo I biplani di D’Annunzio si può definire un’ucronia steampunk?
Sai cos’era L’inglesina in soffitta? Il contrario esatto del giallo di provincia. Il giallo di provincia è un fatto giallo che evidenzia le miserie e le viltà di un piccolo ambiente, nasce e muore in quel piccolo ambiente. Ne L'inglesina in soffitta è esattamente il contrario. In un piccolo ambiente un misero omicidio, una cosa tristissima, una lite tra contrabbandieri finita col morto ammazzato si allarga si allarga si allarga fino a diventare l’epicentro di una crisi a livello mondiale. La crisi della seconda guerra mondiale: il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki che parte come epicentro da una piccola lite tra contrabbandieri sul lago di Como. Steampunk non ne ho mai fatto per davvero ma mi piace tantissimo. Lo steampunk è una questione estetica. Steampunk l’ho un po’ accarezzato ne La balena del cielo ma lo steampunk è una roba inglese, la fanno gli inglesi. Non mi sognerei mai di scimmiottare una cosa che fa parte di loro: io ho solo reso omaggio a questo genere.
I tarocchi di Eusapia Paladino sono entrati nel romanzo per dare una chiave di lettura alla scultura o come tocco esoterico perfetto? Lombroso aveva davvero una relazione con lei?
In realtà nel libro loro giocano e si attraggono. Eusapia Paladino era una medium napoletana molto stimata e Lombroso nasce come studioso di pellagra, giovane medico militare. Fa tutta una parabola umana e scientifica e verso la fine, quando ormai raggiunto onore e gloria, rimette tutto in gioco andandosi a fissare sul fatto che lo spiritismo doveva essere studiato scientificamente. Diventa spiritista perché questa Eusapia Paladino durante una seduta spiritica gli fa vedere il fantasma della sua mamma. Eusapia Paladino era sincera? Era una sfruttatrice? Non lo sapremo mai. Io non ne ho voluto farne una sfruttatrice. È una che gioca con lo spiritismo, è una che sicuramente ci vive quindi attenta ai soldi però non è mai cattiva e non è mai veramente in malafede. Tant’è che alla fine è lei che attraverso i tarocchi, stupendo se stessa, riesce a trovare la chiave di tutto. Per lei mi sono un po’ ispirato a Whoopi Goldberg in "Ghost". Io stesso leggo i tarocchi, è una benzina per il cervello.
Sei il terzo scrittore che incontro, una dei quali l’ho intervistata per Mangialibri, che legge tarocchi!
Be’, poi c’è Jodorowsky. Li leggo anche molto bene perché i tarocchi sono un normalissimo gioco di simboli che mettono in movimento le cellule grigie. Non è che il tarocco veramente preveda il futuro o ti dice che cosa devi fare, no, però ti aiuta a capire, ti aiuta a mettere a fuoco e giocando con dei tarocchi molto speciali i personaggi del romanzo cominciano a ragionare, a mettere in moto le cellule grigie, riescono a mettere insieme tutti i pezzi del puzzle che hanno nella loro testa e capire quello che in fondo sapevano da sempre: chi era l’assassino, chi era la persona pericolosa. Trovano la spiegazione giocando con i tarocchi. Tutte le grandi invenzioni sono state fatte giocando: il post-it l’hanno scoperto giocando con le colle che non attaccavano. Così loro giocando con i tarocchi pensano, ragionano, mettono insieme i fatti. Che non sono giocosi: dall’altra parte ci sono Salgari e U.G. - cui si è aggiunta la prostituta Marianna, un personaggio molto simbolico - che non giocano, per loro è tutto terribilmente serio. In realtà il tarocco non viene dal mondo degli spiriti, viene dall’umanità, è una benzina per il cervello.
Secondo te uno scrittore, ovunque nasca, deve avere degli appigli con la realtà?
È una realtà che passa attraverso uno specchio deformante però deve esserci una certa realtà, se no è un pasticcio. Se tu metti una roba amorfa davanti a uno specchio deformato non è divertente, è come avere un’altra cosa senza forma. Invece se ci metti un’immagine che conosci bene, la vedi diversa, e fai attenzione a dei particolari che altrimenti non avresti notato. Wells scrive un romanzo bellissimo ambientato nell’Ottocento: arrivano i marziani e cominciano a uccidere tutti. Non si capisce da dove vengono, che cosa fanno, neanche che cosa vogliono di preciso. Hanno delle macchine invincibili, vanno avanti e distruggono. Wells fa un romanzo che ha impressionato moltissimo gli inglesi del suo tempo perché ci sentivano qualcosa che ronzava nell’orecchio ma non capivano cosa: era la metafora di una cosa ben precisa. Wells aveva fatto il lanciere di bengala nella guerra in India e voleva far assaggiare agli inglesi cosa significava essere un indiano dell’India nel momento in cui arrivavano gli inglesi con le navi di ferro. Cosa voleva dire vedere questa gente che parlava un’altra lingua, aveva degli scopi incomprensibili ma sparava, uccideva, andava avanti, depredava tutto senza nemmeno curarsi di governare. Non per fare ma per andare avanti. Quindi i marziani. Wells avrebbe potuto fare un libro di denuncia ma non avrebbe avuto lo stesso peso, allora ecco una realtà passata attraverso lo specchio deformante. Questo lo faccio anche io, consapevolmente. Le mie storie sono dettagliate fino a quanto riesco a fare, fino a dove si può fare, fino a quando ha un senso fare senza diventare pesanti, però poi è uno specchio deformato per cui una prima guerra mondiale, credibile, assolutamente vera, scopri che l’hanno vinta gli austriaci, e scopri il perché.
Che mi dici degli eBook?
Io credo ci sia assolutamente bisogno di pirateria sui libri e ci sia bisogno che la gente possa assaggiare le cose e poi decidere se gli piace. Secondo me uno comincia a leggere perché si trova così ad avere la curiosità di questi arnesi. Ho alcune idee su come deve essere fatto un ebook, tutti i miei ebook adesso sono usciti con Delos che è un piccolo editore milanese specializzato. Ci vuole molta passione per fare gli ebook, non è una cosa che ti possa portare soldi, nemmeno all’editore. Uno non ci pensa ma c’è un grosso lavoro editoriale dietro per ottenere una cosa che non venderai mai e che la gente si copierà. Ho pensato di mettere insieme tutti i miei racconti e di venderli a un prezzo ultrapopolare, sotto l’euro, dando non la semplice trasposizione di un libro di carta ma una cosa ad hoc, cioè un libro da leggere senza stancarsi la vista, da vendere a meno di una traccia audio, da lasciare senza protezione in modo che ognuno lo possa copiare e farne ciò che vuole. Ebbene questo – che non è ancora la mia idea di ebook, è un abbozzo – è il quarto libro più venduto nelle librerie di Telecom Italia. E le altre cose a cui ho lavorato, in uscita il 21 dicembre se tutto va bene, pensate esattamente per quella piattaforma e non come trasposizione di un libro di carta, andranno ancora meglio secondo me. L’ebook è nato male, è nato per portare su un ebook reader quello che c’è sulla carta. Sono delle tristi macchinette grigie, con pagine grigie che hanno questo schermo a risoluzione incredibile che ti dà la sensazione della carta. Ma se io la carta non la voglio? Io penso a macchine come l’Ipad, il cui schermo non sembra un foglio di carta ma lo schermo del cinema, una finestra aperta sul mondo. Non deve essere questa cosa monastica, grigia dell’ebook reader dove tu devi leggere il libro e non fai nient’altro.
Anche secondo me gli ebook devono essere qualcosa di diverso e che ne so, se prendo un ebook sulle farfalle devo poter sentire il rumore dello svolazzare di un tipo piuttosto che di un altro e vedere cose che la carta non può mostrarmi. Ma poi si stancano gli occhi Masali, questo dicono…
Ma non è vero, gli ebook dimostreranno che non è così perché saranno nati pensando a quella piattaforma, saranno contenuti pensati per quella piattaforma. Io faccio aeroplanini, sono un aeromodellista, ti potrei fare vedere come si costruisce un modello, gli aeroplani che volano, se ti faccio un disegno tu più o meno capisci, se ti faccio vedere capisci meglio. Ti faccio vedere come incollare, faccio un’animazione, ti faccio un modello con tutte le parti da tagliare e ti mostro come si attaccano, entri anche dentro e te lo giri. Al momento il diverso che può dare l’ebook è la multimedialità ma anche il ritmo dell’ebook è diverso. Tu dici: “Ti si stancano gli occhi” ma io non voglio leggermi Guerra e pace perché mi romperei le palle, perché faccio prima a prendermi un libro. Io voglio vedere invece delle cose, voglio dei contenuti adatti. Io voglio per esempio che un giorno prendo la metropolitana e a un certo punto il mio iPad mi dice: “Tu prendi sempre la gialla da Porto di Mare al Duomo. Sono 14 minuti. Visto che ti è piaciuto il racconto di Tizio, ti do questo racconto di Caio fino alla fermata prima, arrivi a Missori e l’hai finito. Te lo scarichi, costa un accidenti di niente insomma pochissimo, proprio perché sei tu”. Poi sarebbe bello che anche a seconda di dove ti trovi, ti vengano presentati dei libri. Per esempio uno va in vacanza sul lago di Como e il suo iPad gli dice: “Sai che qua hanno ambientato alcuni romanzi? Uno pallosissimo si chiama I promessi sposi, non te lo consiglio perché non ti piacerebbe. Poi ci sono dei romanzi di un certo Andrea Vitali che invece meriterebbe di essere letto e poi c’è un certo Luca Masali…”
Uhm, mi fa un po’ paura la macchina così esperta di me…
Se il sistema lo hai configurato tu, ne hai il controllo tu ed è il tuo personal shopper, lo hai lì sul tuo computer, lo zittisci quando vuoi e i dati non li comunica a nessuno, è un conto. Se è un Grande Fratello che spia tutto quello che fai, è un altro. Ma io lo vedo più come una cosa giocosa che viene fuori dal social network: il motore ideale per questo sistema che ti può suggerire un titolo che ti piace è la tua comunità di Anobii per esempio. Ci sono persone che sono la tua comunità, siti come Mangialibri per esempio, e non un marketing che ti spia. Le community di appassionati di qualcosa sono un potentissimo strumento di divulgazione sia delle conoscenze sia dei falsi miti, e così sarà anche dei libri. A fare la fortuna di un libro secondo me sarà Facebook, ma non solo. Quando io ero ragazzino e tu bambina, abbiamo visto la nascita di cose come il cult, che non esisteva prima. Il cult è una cosa considerata stupenda da una piccola nicchia di persone. Detto in altre parole: una cosa considerata figa da un gruppo di persone che si sentiva alternativo, altro rispetto ai genitori, alla società, al mondo, quello è stato l’inizio della possibilità di fare in modo che il tessuto omogeneo culturale si rompesse almeno in parte, si formassero delle isole. Il cult era lo scegliere il tuo riferimento culturale personale. Ti sentivi in sintonia con quella certa cosa e in sintonia con le persone che avevano lo stesso orientamento. Il cult è una risposta alla monocultura della televisione di allora. Quando ero bambino mi potevano chiedere che ne so: “Hai visto Belfagor?” perché c’era quello e non c’era altro, un canale o forse due, tutti guardavano quello e la cultura passava solo da lì. Non c’era alternativa perché quando c’era lo sceneggiato la gente non usciva di casa, non andava al cinema (tant’è che il cinema faceva spoiler sugli sceneggiati per invogliarti ad abbandonare il piccolo schermo). Da questa monocultura, dove c’era completa omogeneità culturale di gusti e di pensiero, il cult è stato un rompere, no? E' cominciata una controcultura dal ’68, una controcultura giovanile che dichiarava: “Noi siamo altro, noi facciamo altro, noi siamo diversi”. Prima non c’era questo concetto. E infatti aveva cominciato a tirare giù questo monopolio che adesso è molto meno forte perché tra internet, 10.000 canali satellitari, e tutto il resto, la scelta è molto ampia. E la gente sta cominciando a polarizzarsi secondo quello che sente più se stesso, sta cominciando davvero a formare delle figure e delle correnti. Il cult sta diventando un punto di aggregazione che rompe una monocultura dominante. Penso che il social networking riesca a pilotare questo meccanismo, a fare nascere veramente una società policentrica, che ancora non è. Forse lo diventerà, è una possibilità, un consiglio.
Quindi sei ottimista? Non condividi il disagio di molti scrittori italiani che dicono: “Vado via! … Che schifo di paese!”?
La gente è fatta a modo suo. Io non vado da nessuna parte ma perché non me ne frega niente. Io sono cittadino del mondo quindi nel momento in cui sono attaccato al mio computer chatto con tutti quelli che parlano inglese, non vedo perché andarmene. Il mondo abbiamo dimostrato che è chiuso, solo la fantascienza ti può portare in un altro pianeta, ancora non fisicamente però. Quindi sì, assolutamente, ottimismo. E penso che avremo vinto una grossa battaglia quando non ci sarà più la lista dei best seller perché non si riuscirà più a distinguere se un libro ha venduto più di un libro o di un altro, non si saprà come misurarlo, secondo quali parametri. Non serviranno nemmeno più. È bellissimo il sistema di Google, per esempio, che vuole farti leggere i libri a consumo: tu vai lì e per una frazione di centesimo ti scarichi le pagine che hai voglia e ti leggi quello che vuoi, te lo smonti. Infatti l’ebook deve essere smontabile, se non si può smontare l’ebook non si va da nessuna parte. E qui c’è anche una bellissima metafora che ci porta lunghissimo ma va be’. C’è una ragazzina di Roma, la figlia di un amico modellista, che è una grandissima appassionata di libri, una ragazzina di quindici-sedici anni con una passione che neanche io ho mai avuto a quell’età. Mi raccontava che le piaceva riscriversi i finali dei libri fantasy… non è che non le piacevano, voleva farseli diversi. Tipico dei quindicenni, però prendiamo anche una storia come quella della città di Troia: cantata e ripetuta dagli aedi che andavano nelle piazze e ripetevano ciò che vedevano piaceva di più limando e migliorando fino a renderla meravigliosa. Poi è arrivato Omero che ha fatto come quando si schiaccia una zanzara in un libro, pha!, l’ha spiaccicato, l’ha scritto, e nessuno più ha potuto cambiarlo. La storia è rimasta lì, come un insetto spiaccicato che è lì e non si muove. Finché poi non è arrivata prima la Rai, poi le belle chiappone del marito dell’Angelina Jolie a far vedere che invece si poteva ancora giocare, cambiando e modificando il mito. E infatti un media vivo come il cinema se ne frega, non ha da onorare una tradizione, non ha paura di prendere la parola di Omero, cambiarla, massacrarla, maciullarla e, se vuole, far fare il karate e il kung fu a Ulisse. Il cinema è un media vivo, la letteratura è un media morto al momento e per questo credo tanto nell’ebook. Ogni tanto mi chiedono se l’ebook cambierà il modo di scrivere. Secondo me necessariamente, bisognerà fare la stessa operazione di quando è nato il cinema. È ovvio che anche la scrittura dovrà necessariamente non adattarsi ma crescere insieme alle nuove possibilità espressive. Gli scrittori dovranno assolutamente imparare a padroneggiare queste cose. Se adesso uno vuole scrivere per il cinema non gli basta essere uno scrittore, deve sapere la grammatica della sceneggiatura se no non vale niente. E qui dovrai conoscere la grammatica degli ebook.
A parte gli ebook, stai pensando a un nuovo romanzo?
Stavo pensando al seguito de L'inglesina in soffitta. che comincia con un “furto” letterario totale da Garcia Marquez, così: “Quel giorno, davanti al plotone di esecuzione, il Poldo era contento di essere un coglione”. Nel seguito avremo Goering che tenterà una sua ultima carta disperata per salvarsi il culo attraverso un personaggio ispirato alla figura di un’aviatrice tedesca, Hanna Reitsch, una sincera nazista e un’aviatrice dalla incredibile capacità tecnica, una campionessa di volo a vela, la prima donna ad attraversare le Alpi con un aliante di legno - a quell’epoca erano tutti di legno e tela. È lei che ha pilotato quella che verso la fine della guerra chiamavano “l’arma di rappresaglia” tedesca: un missile, un aeroplano con un motore a razzo che portava bombe all’interno, lei riuscì a pilotare questa bomba volante.
I libri di Luca Masali