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Intervista a Luca Zaffini

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Quando ti capita tra le mani uno dei romanzi di fantascienza più originali che hai mai letto (e ne hai letti parecchi!) e l’autore è per giunta italiano, non puoi proprio esimerti dal metterti in contatto con lui e organizzare una breve intervista. E noi infatti non ci esimiamo.



Cyberpunk, religione, esoterismo, comicità: la contaminazione tra atmosfere molto diverse tra loro sembra essere il tuo marchio di fabbrica...
È vero. Fin dai primi racconti ho cercato di rompere le barriere che ingabbiavano la narrativa di genere, ma, più che un fine, è sempre stata una cosa naturale. Butto nella scrittura quelli che sono i miei interessi, le cose che mi divertono, senza soluzione di continuità, senza rispettare quelli che dovrebbero essere i topoi della narrativa di genere. Anzi, sfidandoli e mettendoli in ridicolo. Mi piace molto l’effetto che fanno i forti contrasti. In Painlog si alternano orrore e ilarità, scintillio e tenebre, eroismo e meschinità. È un cyberpunk a cui ho spento la luce.

Il tema dell’Inferno ha da sempre affascinato scrittori e poeti, e Painlog ci regala una visione infernale particolarmente originale. Ma, romanzo a parte, come immagina un eventuale Inferno Luca Zaffini?
Non credo affatto nell’inferno. Ma dovendolo immaginare, direi che l’ipotesi in Painlog potrebbe non essere campata per aria.

Su cosa ti sei basato per creare il linguaggio a tratti molto peculiare dei tuoi personaggi? E per disegnare la mappa di questa Italia futura?
Il linguaggio mi è venuto spontaneo. Mi sono limitato a immedesimarmi completamente nei personaggi, sentendomi libero di scrivere sulla pagina tutto ciò che mi veniva in mente, senza censure di sorta. Ho cercato il linguaggio più realistico possibile, e soprattutto ho provato a dotare ogni personaggio di una voce propria. Non è comunque frutto di una costruzione a tavolino: è semplicemente un gergo che mi divertiva e che sentivo giusto per quell’ambientazione. La città in cui si svolge la primissima parte del romanzo è Adriapolis, una metropoli che si estende dal Conero al Po... riunisce praticamente i maggiori centri tra le Marche e l’Emilia Romagna. Mi sono limitato a immaginare lo sviluppo che potrà esserci nei prossimi secoli in queste zone.

Il Van Impe del tuo romanzo è Jack Van Impe, il predicatore americano definito ‘la Bibbia che cammina’, uno dei personaggi più controversi del cristianesimo a stelle e strisce?
Proprio lui. Mi ha colpito molto la sua teoria, realmente espressa qualche anno fa, sull’inferno. Gli è valsa un premio Ignobel. Invece secondo me era una teoria non del tutto balzana, anche se ovviamente priva di evidenza scientifica. Ho mandato una e-mail alla sua segretaria, ottenendo l’in bocca al lupo per il romanzo e ovviamente l’autorizzazione a citare questa teoria. Che comunque è di pubblico dominio.

Quale dei 9 Sephiroth della religione che è alla base di Painlog senti più vicino alla tua idea di religiosità? E comunque come ti poni di fronte alle tematiche religiose?
L’idea che mi è più affine è espressa appieno nel romanzo: equilibrio. Perché ci sia armonia nessun Sephiroth deve prevalere sugli altri, quindi nessun aspetto di Dio deve essere in primo piano, per evitare pericolose derive. Forse, se così fosse anche nella realtà, ci sarebbe risparmiato molto dolore. Circa la religione (tutte le religioni) mi pongo con una curiosità agnostica.

Stai già lavorando ad un nuovo libro?
Sì, ho completato la pianificazione di un romanzo, Vissitudine è il titolo provvisorio, è un thriller con venature fantastiche. È ambientato in Italia nel 1962, 2000 e 2007, con tre vicende che si intrecciano. Mi sto allontanando dalla scrittura di genere, ma ancora mi serve un po’ di esoterismo per rendere credibili alcune strane idee che ho piazzato nel romanzo. È forse più ardito di Painlog, come premessa. Ma al contempo spero di renderlo credibile e di offrirlo a un pubblico più vasto.

Quali sono gli scrittori ai quali guardi con più attenzione?
Quelli che mi fanno fermare davanti allo scaffale di una libreria sono di solito William Gibson, Neal Stephenson, Richard K. Morgan, un po’ Neil Gaiman e Jonathan Coe.

Da grande vuoi fare lo scrittore di genere (fantascienza, ad esempio) o hai in mente di dedicarti anche ad altro?
No, non sento più il richiamo della fantascienza. Mi ha dato tanto, ma forse io non ho più nulla da darle, e l’ho spesso tradita con l’horror e il fantastico. Painlog è stato l’addio alla fantascienza. Ora mi interessano nuove tematiche e altre sfide. In primis quella di sfondare le barriere dei generi, portando il fantastico, l’horror e l’esoterismo nella narrativa mainstream.

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