
La storia di questa intervista - credeteci o no - è un po' colorata di noir. Avevo approfittato, qualche settimana fa, della gentilezza di Luigi per strappargli qualche dichiarazione prima dell'inizio di una affollatissima presentazione in una libreria del centro di Roma, ma pochi giorni dopo ignoti mi hanno rubato il laptop in cui serbavo quell'intervista e la recensione al suo ultimo romanzo. Tutto perduto, quindi. Ho ricominciato da capo. Riscritta la recensione, ho contattato De Pascalis scusandomi per l'accaduto e gli ho riproposto le mie domande, con qualche integrazione per gradire. Invece che indispettirsi, lui si è mostrato disponibilissimo a ricominciare il nostro dialogo.
La fascinazione per Giuliano non è nuova per te. Prima ancora che ne Il mantello di porpora traspare per esempio dalle pagine della saga di Caio Celso. Dove nasce l’interesse per questo imperatore romano così diverso da tutti gli altri?
Giuliano mi ha interessato per molti motivi. Anzitutto perché è stato un uomo che dopo aver subito un gravissimo trauma infantile ha passato la vita intera a farci i conti; uno come tanti da questo punto di vista. E poi mi hanno intrigato la sua onestà intellettuale, il suo coraggio nel voler cambiare a tutti i costi il mondo, il suo dover sempre risalire la corrente con fatica senza desistere mai. La cosa che di Giuliano mi ha più affascinato è però quel suo non accontentarsi, quel porsi modelli alti, difficili, per raggiungere i quali fu disposto a tutto. Voler emulare Marco Aurelio, Alessandro il Macedone e Achille non è uno scherzo neppure per un imperatore romano! Se penso che oggi i figli sono spesso peggiori dei padri, mi rendo conto di quanto sarebbe rivoluzionario e salutare l’esempio di Giuliano. Quale politico avrebbe oggi la capacità morale e intellettuale per discutere con i filosofi migliori del suo tempo, per imporre una visione amministrativa moderna ed efficiente ai propri funzionari corrotti e incapaci e per mettersi alla testa dei propri soldati combattendo in prima linea contro eserciti numericamente superiori, vincendoli? Se ci fosse, un politico così, lo voterei subito, di qualunque partito fosse. Altro che apostata! Da parte mia ho cercato di raccontare questo personaggio attraverso le sue molteplici sfaccettature - la sua paura del buio, la sua ricerca disperata di equilibrio per mezzo della filosofia, della religione e del mistero, il suo bisogno di affermarsi come persona prima che come regnante, la sua fondamentale solitudine, le sue visioni allucinatorie, il suo colloquio continuo col proprio dio, Helios. Un’avventura pluriennale che ha implicato una ricerca enorme e una grande fatica... ma rifarei tutto.
Hai scelto una citazione in calce al tuo romanzo che fa riferimento alla crisi greca. Quanto c’è di omaggio al ruolo della Grecia nella storia della cultura occidentale nella tua scelta di parlare di Giuliano proprio in questi anni?
Molto, perché la Grecia è stata la culla dell’Occidente. L’ideologia di stampo anglosassone che serve solo a giustificare un’economia di rapina a livello globale è molto vicina ad esserne la bara. Io sto con la civiltà mediterranea e con quello che rappresenta nella nostra storia.
Facciamo un bel “what if”, vuoi? Come sarebbe il mondo se l’utopia religiosa e culturale di Giuliano si fosse realizzata?
Sto leggendo in questi giorni il saggio di Maurizio Bettini Elogio del politeismo (Il Mulino) e sono assolutamente d’accordo con la sua tesi di fondo. Nelle culture politeiste gli déi degli altri erano visti come risorse. Un processo mentale che implicava interesse, curiosità e voglia di conoscere in tutti i campi; apertura, insomma, e non chiusura mentale in difesa di una verità unica. Diciamo le cose come stanno: l’unico vero contributo del monoteismo alla storia dell’uomo è la guerra di religione. Le guerre nel mondo antico si facevano, certo, ma mai per divergenze di opinione su quale fosse il “vero” Dio. Quanto alla tua domanda, considerate le feroci repressioni che avvennero da Teodosio “il grande” in poi, la distruzione sistematica dei centri di cultura e religione pagane e la chiamata in mora di un pensiero raffinato e plurimillenario pur di aderire ciecamente e stoltamente al credo religioso di pastori transumanti e semianalfabeti asserviti a un dio che si autodefinisce “geloso”; e considerato che il progresso ricominciò a partire dal Rinascimento, quando con la caduta di Costantinopoli si riscoprì il pensiero classico attraverso libri in lingua greca, direi che senza il cristianesimo saremmo grosso modo mille anni più avanti di come siamo. Una cosa inimmaginabile.
Come la mettiamo con tutta la retorica dell’Europa come roccaforte dalla radici cristiane? Perché nessuno parla mai delle nostre radici pagane, ben più profonde?
Non c’è dubbio che la Storia la scrivano i vincitori. Dunque non ha molto a vedere con la realtà dei fatti. Se a questo aggiungi il totale asservimento ai poteri dominanti dei mezzi di informazione e delle grandi macchine per la costruzione dell’immaginario collettivo (cinema, tv, libri, giornali, rete) direi che la nostra capacità di cogliere e decodificare il reale è quasi inesistente. Dal Dio unico al pensiero unico il passo è breve!
Il racconto di Evemero è anche una lunghissima lettera d’amore?
Sì, è una lettera d’amore che non ignora la disillusione e il disincanto. Ed è un amore che finisce per unire per il resto della vita due persone che a rigore di logica non sarebbero mai dovute stare insieme, Evemero, un eunuco, e Sophia, la schiava siriana che ho immaginato aver dato un figlio a Giuliano. Una coppia nata da un naufragio, eppure non inconsapevole di cosa siano amore e rispetto reciproco.
Perché la scelta di procedere nel racconto con due manoscritti di persone molto diverse tra loro (da molti punti di vista)?
Sentivo il bisogno di raccontare l’evolversi e il sedimentarsi dei cambiamenti in atto durante e dopo il regno di Giuliano. Per farlo in maniera efficace ho capito che era necessario almeno lo spazio di una generazione. Dunque il primo manoscritto del romanzo l’ho fatto scrivere da Evemero, l’eunuco pagano, un personaggio storico che seguì Giuliano sino alla fine e di cui non si sa quasi niente; il secondo l’ho fatto scrivere da Mardonio, il figlio di Giuliano, un personaggio di fantasia perennemente in bilico tra odio e amore nei confronti del padre naturale. Spinto da quest’odio-amore, Mardonio è prima un fanatico cristiano; poi, coinvolto in un omicidio particolarmente efferato che non sa evitare, rifiuta sia paganesimo che cristianesimo e, più in generale, il mondo nuovo nato dalle ceneri fumanti dell’antico e si rifugia in un disincantato stordimento da cui non riusciranno a liberarlo neppure l’amore e l’affetto di una nuova famiglia, nella casa di Astakos dov’è cresciuto. Alla fine, comunque, Mardonio riuscirà a fare pace con la figura del padre naturale.
I libri di Luigi De Pascalis