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Intervista a Manuela Dviri

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Manuela Vitali Norsa, coniugata Dviri, è giornalista (collabora con  “Corriere della Sera”, “Vanity Fair” e con alcune testate israeliane tra cui “Yediot Aharonot”), scrittrice e da anni impegnata concretamente per la pace tra i popoli, con particolare dedizione allo stato di Israele. Vive tra l’Italia e Tel Aviv.  La raggiungo al telefono, poiché in questo momento si trova in Italia per l’uscita del suo nuovo libro e lo sta portando in giro tra Padova, Ancona e Roma.




“Estate, fine della scuola: correre lungo i corridoi per cercare l’annunciazione, la promozione, il voto. Scorrere i nomi con la saliva che non va né su né giù, e deglutire non serve a niente e le orecchie che ronzano e papà che, già immagini, ti guarderà bene o male secondo  un numero. Il più è trovarlo quel numero, dov’è? Dove sono i miei voti, dove sono io, dov’è il mio nome?”. L’ultimo della lista, fuori concorso. Desidero utilizzare questa immagine, che assume una forma tridimensionale in ognuno, nei bambini che siamo stati, quale ringraziamento per aver accettato questa conversazione.  Manuela, ti chiedo subito per impellenza: e un mondo senza noi come lo immagini? Come sarebbe un mondo nel quale tutti festeggiano lo shabat?
Penso che ai più sembrerebbe del tutto normale, un mondo senza ebrei. E forse si direbbero  che non ci si sta, guarda un po', neanche poi tanto male  senza di loro… anche se il presidente francese ha recentemente dichiarato che la Francia senza ebrei non sarebbe più la Francia. E credo che abbia un po' ragione. Quanto a un mondo solo di ebrei in cui tutti festeggiano il sabato, non riesco proprio a immaginarlo. 
 
 
Nel tuo libro Un mondo senza noi ho incontrato in un equilibrio quasi invidiabile radicamenti, voli pindarici, osservanza e pace: sono caratteristiche più tue, di Manuela, o le riscontri nella maggior parte delle persone con discendenza ebraica?
Grazie. Non le riconosco poi tanto neanche in me, ma comunque semmai sono mie, non degli ebrei in generale.
 

Ti senti in armonia o in disaccordo con Primo Levi nel suo aforisma “Ognuno è ebreo di qualcuno. Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele”?
Adoro Primo Levi ma in questo caso  non sono del tutto d'accordo con questo straordinario uomo e scrittore. La sua conoscenza del Medio Oriente è un po’ teorica, non essendoci mai stato, e ciò che succede tra israeliani e palestinesi secondo me, appartiene, letteralmente, a un'altra storia.

 
Durante la scrittura del libro, mentre continuavano a fare capolino in te i tuoi antenati con ancora tante confidenze, e mentre dall’Italia osservavi Israele, e durante i cui giorni ti immaginavi un libro sempre più denso,  hai cambiato senso al messaggio che volevi lasciare  quando hai deciso d’iniziarne la stesura, oppure il tuo scopo quello è, e tale è sempre rimasto fino all’uscita in libreria?
Non avevo un intento preciso quando ho iniziato a scrivere il libro, tranne quello di raccontare una storia che potesse lasciare il segno nel lettore, lasciandolo  diverso da quello che era quando aveva  iniziato a leggerlo, con un'emozione in più, una conoscenza in più. Scrivendolo credo di essere diventata anch'io diversa da quella che ero all'inizio, di avere imparato tanto  e avere provato fortissime emozioni. Ho trovato un patrimonio inestimabile: sia genetico, che emotivo.
 

Se ti chiedessero di esprimere il tuo messaggio con una frase di solo sei o sette parole, quale sarebbe?
No alla retorica, all'ipocrisia, all'odio.  5 parole. Va bene?
 

Non ho sufficiente forza per chiederti né farti parlare del tuo Ioni, ma lo cito soltanto per arrivare al 26 febbraio: quale concetto credi rappresenti, per non usare antitesi come vita e morte, privazione e ringraziamento, guerra e pace? Fuori dagli stereotipi, potrebbe anche non esserci una ragione di come questa data sia piena di nomi e ricorrenze o senza una ragione, non c’è pace?
Quattro nipoti, in anni diversi, sono nati il 26 febbraio, giorno della morte di mio figlio Ioni, ed è un bellissimo regalo che lui ci ha fatto. Il 26 febbraio è un giorno in cui festeggiamo amore  e vita, molto personale, molto intimo. Altro non so, tranne che l'energia di Ioni continua ad esistere con noi e dentro di noi.


Trovarsi tutti insieme, diciamo nel 2020, e immaginarci conniventi, pacifici, smilitarizzati. Che cosa potrebbe essere accaduto secondo te, in questi cinque anni? Può esistere un fattore, o più fattori, in seguito a cui qualcosa scoppia, qualcosa muore, qualcosa rinasce e la pace trionfa, come nelle fiabe?
Riesco a immaginare una situazione del genere solo dopo una immane catastrofe. Forse solo dopo qualcosa di simile gli esseri umani riuscirebbero a vivere in pace tra di loro. Forse. Le fiabe, purtroppo, sono solo fiabe.

 
Auspico - proprio come te - un mondo senza né noi né voi, fatto di persone che vogliono amare, condividere e soprattutto evolvere. Senza scomodare "pace interiore", "bontà", o altri termini e parole grosse, cosa manca davvero - interiormente, in ciascuno - perché il sogno si avveri?
La volontà e lo sforzo di farlo. 


Ti va di articolare maggiormente questa volontà e questo sforzo?
Intendo che ognuno dovrebbe assumersi maggiore responsabilità nell’essere. Avere il coraggio di dire anche quando la verità è scomoda. Faccio un esempio: In tanti anni che vengo in Italia per il giorno della memoria, non ho mai sentito nessuno ammettere “Mio nonno era un fascista” oppure “Mio zio era un repubblichino”. Nessuno, sempre tutti bravi. Soltanto una volta, in Germania, una ragazza ha ammesso: “Mio padre era un nazista”.

I libri di Manuela Dviri