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Intervista a Marcos Chicot

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Con un’accoglienza professionale e lo sguardo indagatore, Marcos Chicot mi aspetta per scoprire nei miei occhi se deve difendersi da tranelli o può concedermi confidenze. In men che non si dica ci si trova a chiacchierare amabilmente, quindi direi che ha optato per la seconda ipotesi.



 

Pur essendo tu salito agli onori della cronaca con un romanzo storico al 100% - L’assassinio di Pitagora -, con Il teorema delle menti sembri suggerire un dialogo, se non addirittura una propedeuticità, tra storia e contemporaneità. Come mai questa urgenza di tornare al presente? Quale sforzo narrativo ha comportato l’approccio storico, quale quello contemporaneo?
Ho sentito più che altro l’esigenza di raccontare una sola storia, unica, ma in due epoche, quella passata e quella presente. Volevo essere rigoroso su tutti e due i fronti: questo ha comportato difficoltà in entrambi i casi, nel primo a causa delle troppo poche notizie -soprattutto su Cartagine, città quasi sparita dagli annali della storia- e per l’altro verso la troppa mole di materiale ha reso affatto facile la selezione delle informazioni e la loro ricostruzione perché il tutto fosse appetibile, soprattutto per l’argomento che mi interessava, il cervello e la manipolazione della mente.


Nei tuoi scritti il passato sembra non essere solo un divertissement, una mera location in cui ambientare fatti potenzialmente universali, bensì una tappa fondamentale per la crescita umana. Cos’è per te la Storia?
La Storia è innanzitutto un modo per me di parlare di quello che mi interessa, sono un grande appassionato di Storia e per raccontare e conoscere davvero quello che è accaduto è necessario studiare molto, chiaramente poi ridimensionando i tanti studi in formato thriller (chi mi leggerebbe se scrivessi un saggio?!). In questo caso ho avuto la fortuna di poterci affiancare un’altra mia grande passione, lo studio della mente.


A proposito di mente, la psicologia è un vero e proprio personaggio cardine nella tua scrittura e in questo caso i protagonisti sono espressamente degli psicologi, quanto ha pesato la formazione da psicologo in queste scelte? Quanta parte di te c’è?
Sono, come dicevo, un appassionato e mi considero anche piuttosto esperto del settore, c’è molto di me, non tanto nella caratterizzazione psicologica dei personaggi, quanto nelle ricerche che loro effettuano, vorrei che fosse chiaro che ogni cosa di cui parlo, dall’ipnosi alla tecniche di manipolazione, così come ho fatto per i fatti storici, è presa da fonti reali e scientificamente provate, ci tengo a che il lettore sia sempre informato su cosa è finzione e cosa no.


Parlando di lettori, intessi con loro un curioso rapporto quasi amicale, nei tuoi libri si parla anche di tutto quello che succede intorno alla loro lavorazione, rimandi ad altri canali di comunicazione dove scambiarsi informazioni.. insomma punti a svelare gli arcani che, abitualmente, restano nebbiosi intorno alla composizione di un’opera. Perché questo rapporto così confidenziale?
Ci sono due ragioni fondamentalmente, una è che a me come lettore sarebbe piaciuto che i miei scrittori preferiti mi raccontassero come avevano scritto un libro e perché, e perciò io voglio che i miei lettori facciano con me questo tipo di esperienza, la seconda ragione è che io parlo di questi temi perché desidero condividerli, e che gli altri apprendano e riflettano su questi temi. Che sono tutti profondamente comprovati e studiati.


Come ripartisci il tempo dedicato allo studio e quello della scrittura?
Di norma studio grosso modo un paio d’anni prima di mettermi a scrivere, quindi arrivo alla scrittura pronto e sicuro delle mie nozioni, tuttavia c’è sempre anche un lavoro di approfondimento al dettaglio in corso d’opera.


È della necessità di condividere di cui parlavi pocanzi, in un certo senso una fiducia nel lettore, che è figlia anche la decisione di rendere note le cause sociali che sposi e alle quali contribuisci grazie ai proventi dei tuoi libri?
La Letteratura mi dà la possibilità, per fortuna, di avere un gran numero di persone alle quali mi rivolgo, e credo sia un buon modo per condividere il fare qualcosa di utile; è una scelta molto personale ovviamente, ma dicendo che devolvo il 10% dei miei introiti per associazioni che lavorano con persone affette da deficit mentali credo di lanciare almeno uno spunto di riflessione per chi può e vuole fare qualcosa per chi ne ha bisogno.


Il teorema delle menti è un titolo che sembra rimandare alla dimensione pitagorica, e quindi alla storia narrata nel precedente romanzo, è così? Perché leggendo questo secondo libro risulta invece, al di là del richiamo ai personaggi, molto diverso dal precedente.
E infatti lo è. Per me i due libri sono completamente indipendenti, e mi piacerebbe che così li percepisse il lettore. Il teorema delle menti è il titolo italiano, ma quello inglese, che è quello che calza meglio al romanzo è Lord of Minds, che richiama davvero la trama e l’anima del mio lavoro, più esaustivo anche di quello spagnolo che fa riferimento alla confraternita della mente, collegandosi in primis alla trama.


Abbiamo parlato di studio meticoloso delle fonti, di scrivere come un lavoro molto impegnativo. Ma quali sono i tuoi svaghi letterari? Cosa ti appassiona da lettore puro e semplice?
Mi piace molto anche da lettore leggere per imparare, quindi leggo volentieri romanzi storici, mi appassiono spesso al tema che viene trattato in un libro; ma leggo anche per divertirmi, così mi piacciono libri che appartengono a generi molto diversi, mi piace tanto la saga de Il Trono di Spade di George R. R. Martin, meravigliosamente scritto, Millennium di Stieg Larsson, che leggo e rileggo per indagare i meccanismi di scrittura, e sono cresciuto con I pilastri della Terra di Ken Follett.


Hai sempre citato il tuo ottimo rapporto con i blog che si occupano di letteratura, che all’inizio della tua carriera hai contattato tu stesso per proporre il primo lavoro. Ora che le parti si possono dire invertite, dal momento che sei ormai ben noto nel panorama della letteratura internazionale, il tuo rapporto con i media è cambiato?
Avevo e ho tutt’oggi un ottimo rapporto con i blog letterari, che ritengo in molti casi fonte di una grande freschezza di pensiero e comunicazione. Ho proprio in questo periodo in uscita in Spagna una commedia, genere molto legato alla cultura locale (e che perciò non so se sarà tradotto), scritto che ha vinto il Premio Francisco Umbral, e che tenevo nel cassetto, ma che ora tiro felicemente fuori mentre mi documento per il mio prossimo romanzo, e sono già in contatto con un’infinità di blog, molti dei quali sono quelli che mi hanno dato appoggio fin dal primo libro.

 


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