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Intervista a Mariagiorgia Ulbar

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Di poesia si può discutere ovunque, anche dove meno te lo aspetti. Incontro la neovincitrice della XXX edizione del Premio Letterario Giuseppe Dessì per la sezione Poesia (con la silloge Gli eroi sono eroi, edita da Marcos Y Marcos) in un piccolo bar un po’ fuori del tempo, nel cuore di Villacidro. Mariagiorgia Ulbar è nata nel 1981 a Teramo, dopo i 18 anni ha vissuto a lungo a Bologna e per brevi periodi in Germania e Inghilterra e ora vive tra Roma e l’Abruzzo. I suoi testi raccontano di luoghi visitati o solo immaginati, di epica e piccoli oggetti. Di eroi di gesso, gite sul confine e percorsi nell’abisso, speleologia della parola e del ricordo.




In un tuo verso dici “è un uomo che mangia miele come mangia chiodi”. A me ha fatto pensare a un poeta. Questo doni al foglio ancora bianco, miele e chiodi?
Il testo si riferisce a una persona in particolare, è un pensiero su dei versi che ho ricevuto ma anche un altro modo di chiamare e definire la scrittura, il processo creativo. Credo che scrivere sia proprio questo, mangiare miele e chiodi ma non uno alla volta, entrambi: insieme e non distinti.

Oltre che poetessa sei traduttrice dal tedesco e dall’inglese. Quanto conta la tua sensibilità nel rendere in altra lingua parole scritte da altri?
Conta tanto. Il lavoro di traduzione è per me un’officina di poesia. Mi dà ispirazione, perché sblocca qualcosa nel cervello, il pensiero ne accelera il ritmo. Ogni traduzione è un movimento, un passaggio da una lingua all’altra, una scoperta per arrivare al nocciolo del significante che poi diventa significato. Le lingue germaniche e anglosassoni, influenzano tanto anche la sintassi dei miei versi, mi piace capovolgere i sintagmi per creare nel lettore un senso di straniamento e provocare una rottura che potenzia l’attenzione ([…] ma ho cercato per tempo siderale/l’idioletto di me e te allora, non trovato - Mio padre era un Re). Dell’endecasillabo, che pure è ricorrente nella mia poesia, ho provato talvolta a spezzare l’incedere musicale ed epico, quando ciò che intendevo esprimere mi richiedeva di spezzare l’abitudine dell’orecchio interno del lettore italiano.

Il mare e gli oggetti che dal mare arrivano sono parte essenziale del tuo immaginario. Il futuro, il presente e il passato sono pozzi e abissi da cui pescare?
È vero, il mare è occorrente e ricorrente in Gli eroi sono eroi. Non sono nata esattamente sul mare, ma in un territorio collinare, alla stessa distanza fra il mare e il Gran Sasso. Ho vissuto per 14 anni a Bologna e in quel periodo non ho visto mai o quasi il mare. L’ho rincontrato l’anno scorso, quando sono andata a lavorare e vivere in una cittadina adriatica, ed esso è ricomparso in me prima come ricordo dimenticato, poi come presenza - prima di dovermene mio malgrado allontanare di nuovo. Il mare è necessità immanente e la montagna è la parte ancestrale e profonda di me stessa. L’abisso compare in alcuni miei versi esplicitamente, in altri in maniera sommersa ed evocativa. C’è un’attrazione per ciò che sta sotto, una sorta di fascinazione per il sublime che si trova nel contingente. Nei miei testi non compare un pozzo eppure la presenza in esso di pietre e di acqua coincide con altre costruzioni, come le dighe o le piscine basse, costituite dagli stessi elementi: provo una sorta di timore per questi due elementi, l’acqua e la pietra, quando si accompagnano e questo finisce per affiorare nella mia scrittura, come simbolo.

Come lettrice di poesia, cosa cerchi nei versi altrui?
Leggo tanta poesia, ma raramente un unico autore mi piace nella totalità di ciò che ha scritto. Passo da una silloge all’altra, da un autore a un altro e pesco cose che mi piacciono. Non ricordo sillogi, ma singoli versi che mi colpiscono o brevi testi. Nella poesia cerco talvolta il ritmo dell’epica, altre la sincope e la pausa che sospende, mi piace quando parole semplicissime diventano fulgide e totali quando accostate ad altre, in modo che traspaia chiara la loro essenza più pura. Non sono una fanatica di metrica e tradizione, di manierismi per i quali nessun errore è compiuto. Mi piace quando chi scrive cerca un pertugio nella lingua che riveli l’essenza delle parole, la luce verso la poesia, pur rischiando l’errore del verso “sporco”, corrivo o troppo enfatico. Sono disposta a scusare questi errori se un autore è capace di versi che illuminano la pagina e la mente.

Credo che, al contrario della narrativa edita dalle major, la poesia abbia più possibilità di venir letta e apprezzata da giurie autorevoli (come questa del Premio Dessì) anche quando pubblicata da editori molto piccoli o ignoti. È così? Qual è la tua esperienza?
Rischio di essere impopolare, ma credo che il disordine, la poca fortuna commerciale del settore della poesia portino, unitamente – ahimé – alla piaga del dilettantismo, del narcisismo un po’ penoso di certi ambienti e delle edizioni a pagamento, una maggiore libertà e meno pregiudizi. Chi legge poesia in Italia sa perfettamente che il buon libro può nascondersi anche dietro una copertina orribile con i pixel dell’immagine in evidenza o all’interno di un libriccino stampato in tipografia che non ha il codice Isbn, così come sa che, se vuole leggere, se vuole conoscere e capire il panorama della poesia italiana, deve saper cercare, chiedere, scoprire e scovare senza grossi aiuti dall’esterno. Mi sembra che, contrariamente a quanto si senta dire in giro, ci sia una forte energia che serpeggia, e che la maggior parte delle volte si riversa in progetti, esperimenti e sfide degne di ammirazione (basta pensare alla scelta della mia casa editrice, la Marcos y Marcos, che in un momento di cosiddetta crisi dell’editoria, sceglie di puntare su un incremento di pubblicazione di libri di poesia oppure il mio progetto di una piccola collana che si chiama Isola e pubblica libriccini che mettono insieme poesia e illustrazione oppure le neonate Edizioni Nervi, che tornano alla stampa a caratteri mobili, producendo libri di poesia fatti interamente a mano che sposano la sostanza alla forma, in barba alla concezione di libro usa e getta che ha fatto terribili danni negli ultimi anni). Ho occasione di credere che le cose si stiano muovendo in avanti, non indietro, come invece accade per altri settori.