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Intervista a Mariolina Venezia

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Mariolina Venezia, lucana di nascita ma residente a Roma dopo diversi anni trascorsi in Francia, è una sceneggiatrice e scrittrice prolifica. Vanta un Premio Campiello ed una produzione di libri di poesie e romanzi estremamente interessante e versatile. Recentemente la sua serie di gialli con protagonista la PM Imma Tataranni ha conquistato il cuore dei lettori italiani, diventando anche una applaudita fiction televisiva. Mariolina si presta volentieri ad un’intervista telefonica, rivelandosi persona estremamente piacevole e ricca di entusiasmo.




La tua produzione letteraria, fino a questo momento, ha abbracciato diversi generi, dal romanzo storico, ai racconti, fino ad arrivare al giallo, nei romanzi che hanno per protagonista Imma Tataranni. Da cosa è determinata questa scelta diversa di stili e quale ti appassiona maggiormente, come scrittrice?
Diciamo che questa versatilità ha a che fare con la mia storia di lettrice, perché sono stata una lettrice onnivora. Ho iniziato a leggere quando ero bambina, forse prima ancora di andare a scuola; mi appassionavano le storie. Sono diventata subito, come dicevo, una lettrice onnivora, che poteva leggere dai grandi romanzi del Novecento alla letteratura rosa e ai romanzi di fantascienza. Potevo leggere qualsiasi cosa e qualsiasi cosa mi interessava, perché mi interessava proprio l’oggetto libro, l’oggetto romanzo, la scrittura. Quindi mi hanno sempre affascinata gli stili diversi e questo è uno dei motivi per cui mi diverto a cimentarmi in forme diverse di narrativa.

Una vera mangialibri come noi, insomma! Anche le scelte linguistiche variano a seconda del genere letterario in cui decidi di scrivere? In che modo?
Cerco di trovare il linguaggio più adatto per narrare la storia che sto raccontando. Per esempio, devo dire che c’è una notevole continuità fra Mille anni che sto qui e i romanzi di Imma Tataranni, nonostante siano due generi molto diversi, come la saga e il giallo, che tuttavia si riferiscono allo stesso territorio e allo stesso ambito geografico, anche se in tempi diversi. In quel caso c’è una ricerca sul dialetto e su come il dialetto si riflette sull’ italiano parlato. Questo si può notare sia in Mille anni che sto qui sia nei gialli, dove in qualche modo proseguo quello che avevo introdotto. Ho scritto un altro romanzo, Da dove viene il vento, in cui invece non c’è affatto questa ricerca sul dialetto, ma utilizzo una lingua più letteraria, un italiano più standard. Quindi diciamo che mi pongo sempre il problema della lingua e di come la lingua, che è lo strumento dello scrittore, possa il più possibile esaltare la storia che si racconta.

Il tema della memoria è ben presente nei tuoi scritti. Quanto è importante conoscere la propria storia e quella del proprio territorio?
Non ne faccio soltanto una questione di territorio e di storia. A me interessa la memoria di per sé, la memoria proprio come meccanismo mentale, per esempio. Infatti, i romanzi di Imma Tataranni inaspettatamente hanno tra le loro fonti letterarie non Camilleri ma Proust, perché una cosa che mi affascina molto è proprio il funzionamento della mente umana e la memoria è una parte molto importante della nostra mente.

Dai tuoi romanzi traspare un amore profondo per la Basilicata. Quanto è stata formativa la tua terra e quanto la trovi cambiata ultimamente?
Trovo che la Basilicata sia una terra molto interessante da raccontare, perché è una terra di grandi contrasti, dove le cose sono avvenute e avvengono in maniera più esagerata, potrei dire, che altrove. Quindi i segni sono più netti. Mi spiego meglio: in Basilicata avviene in maniera più estrema ciò che avviene in tutta Italia, quindi mi sembra una terra portatrice di grandi valori metaforici. La Basilicata è sicuramente molto cambiata, perché è una terra dove il tempo è rimasto fermo a lungo e dove invece l’arrivo della globalizzazione e le accelerazioni temporali sono più evidenti che altrove, come è nell’ indole della Basilicata stessa.

Essere una sceneggiatrice aiuta a scrivere un buon romanzo?
Sicuramente essere una sceneggiatrice dà una certa attenzione alle storie e alle strutture delle storie, anche se in realtà, quando scrivo, sono molto letteraria, mentre, quando faccio sceneggiature, rispetto le regole della sceneggiatura. Ho iniziato a fare la sceneggiatrice proprio perché la vocazione della mia scrittura è una vocazione visiva. Prima ancora di pubblicare sia libri di narrativa che sceneggiature, avevo scritto poesie e libri di poesia (pubblicati in Francia). Queste poesie erano molto visive e si potevano definire quasi dei quadri fatti di parole. Proprio da lì nasce da una parte la mia attività di sceneggiatrice, dall’altra quella di narratrice.

Imma Tataranni, che moltissimi lettori conoscono ed amano, è una femminista sui generis o una femmina vera, nonostante gli improbabili outfit?
Devo dire che, nonostante abbia trascorso la mia adolescenza negli anni ‘70, quando era un fenomeno molto forte, ho sempre visto con un po’ di insofferenza il movimento femminista, non perché pensi che quelle lotte non siano giuste, ma perché vorrei che non fossero necessarie. Io credo nella forza delle donne, senza nemmeno bisogno che siano femministe.

Ancora sul PM Tataranni: è stata definita la versione al femminile sia di Montalbano che del tenente Colombo. Tu cosa ne pensi?
La cosa che posso dire al riguardo è che i giornalisti non leggono e se uno di essi dice una cosa, tutti gli altri la copiano. E non leggendo, appunto, non sanno che non c’è solo Montalbano al mondo. Per esempio, c’è anche Simenon, c’è Petros Markarīs e ci sono tantissimi altri riferimenti. Diciamo che la ristrettezza degli orizzonti caratterizza un po’ la critica letteraria degli ultimi anni.

Hai partecipato alla sceneggiatura della fiction televisiva, basata sulla trasposizione dei romanzi su Imma Tataranni. Sei stata soddisfatta del risultato o qualcosa si è rivelato diverso da come era nel tuo immaginario?
Il fatto che sia diverso non è un problema, perché appunto quando si passa da un linguaggio all’altro è inevitabile che le cose siano diverse. Sicuramente avrei preferito avere maggiore controllo, secondo me si poteva fare anche di più. Non ho avuto questo controllo, perché ho lavorato con degli sceneggiatori con cui non c’è stata sintonia. Però, nel complesso, diciamo che il personaggio ne è emerso con le sue caratteristiche abbastanza intatte.

Cosa è la lettura per Mariolina Venezia? Vedi il libro più come forma di svago o come nutrimento per l’anima?
Entrambe, assolutamente. Mi piace leggere così e cerco di scrivere così. Vorrei che un libro fosse qualcosa che ti fa evadere e, quando torni da quella evasione, ti senti anche arricchita. Questo per me è quello che dovrebbe fare la lettura.

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