
L’intervista a Massimiliano Palmese è stata istruttiva. Ci siamo sentiti via mail, per parlare del suo ultimo romanzo. È un libro che emoziona e conquista per la capacità di far emergere sentimenti fra loro lontani, a volte contrastanti: dolcezza e rabbia, leggerezza e angoscia. Anche l’intervista ha avuto un andamento mutevole, altalenante: alcune risposte sono arrivate subito, impellenti; altre sono rimaste per qualche tempo in sospeso, quasi diluite. Ecco perché l’intervista a Massimiliano Palmese mi è piaciuta: mi ha insegnato la pazienza ed il rigore, la passione e la cura del particolare, mi ha ricordato che siamo ricchi di sfumature e che - per dirla alla Walt Whitman - conteniamo moltitudini, a volte contraddittorie. E va bene così.
Il tuo ultimo romanzo Il peccato originale inizia con toni divertenti, quasi da teatro dell'assurdo, per poi virare verso sfumature più drammatiche. Il protagonista stesso viene conosciuto prima attraverso le sue crudeli, precise introspezioni, poi per le sue notti di baldoria. La vita è più il passare da un eccesso all'altro o è la ricerca di equilibrio tra due estremi?
Se la nostra vita conosce alti e bassi, quella del protagonista procede tra altissimi e bassissimi. Esistono sfumature di bipolarità: le sue sono molto accentuate. Il giorno lo passa tra gli uffici dell'ASL, dell’INPS, dell’Agenzia Entrate, di notte tra i vicoli di Napoli e i suoi disperati abitanti, passando la vita su paurose montagne russe, in un serie di up e down diventata ormai invivibile. Fin quando uno psichiatra incontrato en passant gli consiglia di fermarsi, perchè correndo a quel modo si fa inseguire dal male, mentre prima o poi il male va affrontato di petto.
Prima che affrontato di petto, forse il male va riconosciuto ed “accettato”…
C’è chi il male non lo accetta, per esempio i matti, i bambini... Il mio protagonista è questo, un bambino matto. O forse un matto bambino.
Lo psichiatra in questione consiglia al protagonista di scrivere. Anche per te la scrittura ha, o ha avuto, una funzione catartica?
Mancavo dalla prosa da qualche anno e non a caso. Ho scritto per il teatro, fatto traduzioni, girato un documentario. Ma considero la poesia, e oggi anche la mia prosa, forme espressive più intime, per dire cose di cui non potrei parlare in altro modo. È stato terapeutico, ammetto, fare ordine tra i ricordi d’infanzia. Percorso doloroso, ma ormai indispensabile. Oltre a ragionare sull’infanzia è stato d’aiuto anche dover descrivere i comportamenti autodistruttivi che si mettono in campo da adulti al fine di stordirsi.
Quali sentimenti sono maggiormente emersi durante la stesura di questo romanzo?
La rabbia, covata fin dall'infanzia, era evidente. Ma dietro la rabbia c’era un antichissimo senso di tradimento da parte degli adulti. Alla fine, comprendi e accetti. Non scompare del tutto la rabbia, ma non muore nemmeno tutto l’amore.
Emblematico è l'episodio nel quale il protagonista recupera una foto in cui per Carnevale è vestito da astronauta…
Lavorando sui ricordi, scopri che la memoria ti inganna. Io ricordavo di indossare per quel Carnevale un banale costume da tigre, mentre il mio migliore amico, mio idolo per intelligenza e talenti, un fantastico e modernissimo costume da astronauta. Trent’anni dopo ho ritrovato la foto, e quello col costume moderno ero io. Rimani senza fiato quando scopri le trappole che ti costruisci da te, con l’aiuto della memoria e la complicità dell’oblio.
Il male tende ad oscurare ogni cosa, anche il buono e il bene che c'è in noi. Il riconoscimento dei propri talenti è un lavoro affascinante ed estremamente difficile, non trovi?
Una delle più crudeli strategie che mette in atto è offuscarci la vista. Come in guerra si usava alzare polveroni di sabbia, prima di colpire. Ma se si riesce a superare il polverone, dietro c’è semplicemente un avversario che possiamo combattere e perfino sperare di vincere. Io dalla battaglia sono uscito ferito, ma vivo.
Che cosa rappresenta per te Napoli, che definisci come un mix tra Parigi e Istanbul?
Nel mix ci sono anche Atene e Madrid. Napoli è indefinibile perché è una città in continua contraddizione con se stessa, ma io amo l’idea di essere nato qui.
Nasciamo tutti con un peccato originale e annesso senso di colpa con cui imparare a convivere?
Così dice il Cristianesimo. Nel mio libro il peccato è la Creazione, che si riverbera ogni giorno in una continua e incosciente procreazione di ulteriori noi stessi. Quasi otto miliardi di umani che occupano il pianeta senza molti altri scopi che riprodursi.
In cosa la tua sensibilità di poeta e la tua esperienza di teatrante hanno influenzato la tua scrittura?
Il teatro è stato una buona scuola per i dialoghi, ma mi ha insegnato a creare l’attesa, la suspence. Ne ho ricavato l’idea che non è possibile ammorbare il pubblico: un libro lo puoi posare se ti annoia, a teatro se ti annoi ti addormenti sulla sedia. La poesia mi ha insegnato ad essere paziente. Non ho avuto nessuna fretta di finire il romanzo, infatti. Mi sono dato tutto il tempo possibile. Questo intanto per il mio innato spirito autocritico, ma anche per una certa disciplina che mi sembra di aver ricevuto proprio dalla poesia. Non avendo un mercato non le si può chiedere nulla. La poesia è un lusso, uno spreco totale di tempo, di talento, di vita. Uno “spreco” sublime, perché solo sprecando tutto si riesce a salvare qualcosa.
Ultima domanda. Sei già un artista poliedrico (prosa, poesia, teatro...), ma se potessi scegliere tra tutti i mestieri possibili di questa terra, quale ti piacerebbe esplorare in questo momento?
Vorrei essere il Re del mondo per pianificare una planetaria redistribuzione delle ricchezze, il disarmo totale e drastiche politiche ambientali. Dopodiché abdicherei.
I LIBRI DI MASSIMILIANO PALMESE