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Intervista a Michael Zadoorian

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Prima che un magnifico scrittore, Michael Zadoorian è una persona squisita. Gentilissimo, disponibile, simpatico, sorridente: una vera rivelazione. Ci prendiamo un caffè insieme durante Più Libri Più Liberi 2017 e ci troviamo istintivamente bene, come fossimo vecchi amici. Ad un certo punto ho un lapsus, uso un verbo sbagliato in inglese e ci ridiamo su per dieci minuti buoni. Senso dell’umorismo, talento, disponibilità: doti non comuni, per una persona non comune.




E così, finalmente abbiamo un film! Paolo Virzì ha portato sul grande schermo In viaggio contromano e l’ha fatto con un grande cast nel suo Ella & John. Ma è stato un viaggio lungo e difficile, quasi quanto quello dei protagonisti del tuo romanzo…
Assolutamente sì. Si era dato per imminente il film già quando ho firmato il contratto per il libro, nel 2007. È stato davvero un lungo viaggio, quindi. C’era un’altra casa di produzione che si era dichiarata interessata e per un po’ di anni ha lavorato sul progetto, ma alla fine non sono riusciti a concretizzare nulla. Altri hanno provato ma non ne è venuto fuori nulla, finché il mio editore italiano, Marcos y Marcos, non ha fatto avere il libro a qualcuno della casa di produzione del regista Paolo Virzì e all’improvviso una serie di cose sono iniziate ad accadere, ma anche così ci sono voluti un paio d’anni per arrivare a dama. Avevo abbastanza esperienza con l’industria cinematografica per non aspettarmi nulla, ma a poco a poco sono cominciate ad arrivarmi mail interessanti, più o meno una ogni mese: un ritmo perfetto per me, così non mi sono creato tante aspettative. Poi ‒ lo stesso giorno in cui hanno inviato la comunicazione all’Hollywood Foreign Press ‒ mi arriva una email che, come vedrete, era una email notevole da ricevere alle 9 del mattino. Stavo spulciando la Posta in arrivo sbadigliando e leggo un titolo che faceva più o meno così: “Helen Mirren e Donald Sutherland nella versione cinematografica di In viaggio contromano di Michael Zadoorian”. Ho chiamato mia moglie che era in un’altra stanza chiedendole di leggere la email e lei ha detto “Santa merda!” e solo in quel momento abbiamo saputo che stava succedendo davvero. Quindi sì, è stata una strada lunga e strana, ma tutto sommato eccitante da percorrere.

A proposito di strade: la Route 66 è un luogo dell’immaginario collettivo, un mito non solo per gli americani ma per tutto il mondo. Come ti sei approcciato a un luogo, a una leggenda simile?
La Route 66 era leggendaria anche per me. L’ho percorsa da bambino, facendo camping con mia madre e mio padre, ma non per questo ho smesso di esserne affascinato e ho sempre voluto percorrerla da solo, e scriverci anche su. Per anni non l’ho fatto, poi sono successe alcune cose: mio padre è morto, ho pubblicato il mio primo libro, Second hand. A quel punto ho sentito che i tempi erano maturi e ho scritto un breve racconto – giusto una decina di pagine – su una coppia di anziani che vanno in vacanza. E ho detto a me stesso: “Ora lo posso scrivere, è il momento” e le pagine sono aumentate, il luogo è diventato la Route 66 direzione California. È stato facile in fondo: come dicevamo, è una strada leggendaria quindi è pieno di film, libri, mappe, materiale sul web quindi sono riuscito a scrivere una storia credibile. E solo dopo aver buttato giù la quinta bozza del romanzo ho deciso di fare il viaggio io in prima persona. Come se il libro in fondo fosse stato una scusa per darmi finalmente la possibilità di fare quel viaggio tanto sognato. E il mio viaggio – anche se non ha cambiato il cuore dle libro – ha comunque influito sulla stesura definitiva di In viaggio contromano, perché vedere la vecchia Route 66 che corre a fianco di quella nuova, l’asfalto rosa che affiora in alcuni tratti, le erbacce che rotolano spinte dal vento, le vecchie insegne – passi per le cittadine e ci sono le indicazioni per distributori di benzina che non esistono più – e poi l’aria, il colore e la grandezza del cielo… insomma questo viaggio ha fatto tantissimo per la mia comprensione profonda della Route 66 e del paesaggio (esteriore ed interiore) che i miei personaggi dovevano attraversare.

È stato anche un po’ come scrivere della tua infanzia, non credi?
Certamente. Dentro ci sono non solo i campeggi con i miei genitori, ma anche quello che ha passato la mia famiglia durante l’Alzheimer di mio padre, per esempio. Non avevo nessuna intenzione di scrivere un libro catartico per me stesso, ma non posso togliermi dalla testa che l’ho fatto eccome. Infatti mi sono sentito meglio, dopo averlo fatto!

Tutto quello che gira intorno ai mercatini, all’antiquariato, al recupero degli oggetti è un genere narrativo a parte, ormai. Abbiamo show televisivi, libri come il tuo Second hand: è una passione che coltivi anche tu, quella di girare per bancarelle?
Ma certo. Quando ho scritto il libro, anni fa, a dire il vero era ancora una sottocultura, molto meno mainstream e modaiola: era una passione un po’ da nerd, gente che girava continuamente per mercatini o per garage sales o per aste giudiziarie. Ma si trovavano dei veri tesori, oppure cose che non sono tradizionalmente ritenute di valore ma che magari avevano un grande valore per te, per qualsiasi ragione. È stato davvero interessante e curioso negli ultimi anni per me vedere questa scena che cresceva fino a diventare un’industria e quasi uno stile di vita per sempre più persone.

A cosa stai lavorando in questo momento?
Ho un nuovo libro in uscita negli Stati Uniti, presto arriverà anche in Italia. Ci ho lavorato per 9 anni, ma non avrei mai voluto che andasse in questo modo, è successo e basta. Si intitola Beautiful music ed è la storia di un giovane uomo che cresce nella Detroit degli anni Settanta, pochi anni dopo le rivolte del 1967. La città allora era lacerata da tensioni razziali fortissime, e questo ragazzo vede il mondo attorno a sé cambiare a velocità vertiginosa: la sua strada, il suo quartiere, la sua high school. E deve reagire a tutto questo, lo fa a suo modo e lo fa con il rock’n’roll perché ehi, la sua città è Detroit. Ci sono dentro Iggy and the Stooges, gli MC5, Alice Cooper…

Una curiosità proprio su Detroit: negli anni scorsi ci sono arrivati reportage su una città quasi morta, spopolata, in grave dissesto finanziario. Dati apocalittici, foto che sembravano scene post-atomiche. Che cosa sta succedendo ora? Come vanno le cose per la tua città?
I problemi ci sono stati e sono durati per molto tempo. Ora per la prima volta assistiamo a una rinascita, a un vero e proprio rinascimento. Non credevo che sarei riuscito ad assistere a qualcosa del genere in tutta la mia vita: è pieno di artisti, di creatività, di nuova imprenditorialità, forse addirittura stimolata dal fatto di essere stati abbandonati dal resto degli Stati Uniti. Forse questo ci ha costretti a lavorare più duro, a trovare una strada originale, a pensare a noi stessi e il resto vada all’Inferno. Da questo è nata una nuova estetica. Le persone stanno tornando a vivere a Detroit, le aziende stanno tornando a Detroit. È meraviglioso, davvero.

I LIBRI DI MICHAEL ZADOORIAN