
Minna Lindgren non è solo l’acclamatissima autrice della trilogia della Villa del Lieto tramonto, le cui arzille protagoniste ultranovantenni indagano su misteriose morti con leggerezza e umorismo, ma, in patria è una nota e premiata giornalista, le cui inchieste hanno molto influenzato le politiche sociali del suo Governo. La incontro al Pisa Book Festival: è l’occasione per parlare non solo dei suoi libri, ma per farmi dare qualche notizia di prima mano sul suo Paese.
La tua trilogia è ambientata in una casa di riposo e le investigatrici sono fantastiche, sfacciate vecchiette molto in gamba. Con queste trame insolite hai voluto sottolineare che invecchiare non è la fine del mondo e che I vecchi non dovrebbero essere parcheggiati ad arrugginire come attrezzi inutili?
Esattamente! In Finlandia quando i media parlano dei vecchi lo fanno sempre con riferimenti ai “problemi”. Questo tipo di visione fa sì che le persone abbiano paura di invecchiare. Ho voluto raccontare al pubblico le mie esperienze con i vecchi che ho conosciuto, che sono tutti vitali, interessanti, dotati di senso dell’umorismo.
Sta succedendo qualcosa che forse non era mai successo, ossia che le nuove generazioni non sanno che farsene della saggezza accumulata da quelle precedenti. Hai anche tu questa impressione?
Si, pensiamo a loro in termini di costi, al fatto che si ammalano e diventano problematici da gestire, le loro esperienze di cui dovremmo fare tesoro sono classificate come inutili, superate. In Finlandia abbiamo queste residenze in cui possono o vivere da soli o ricevere assistenza, per cui li “mettiamo lì” in modo che possiamo in qualche modo smettere di preoccuparcene, sappiamo che stanno bene e possiamo andare avanti con le nostre vite.
Siiri e Irma sono due sfrontate vecchiette che investigano su alcuni misteri all’interno della struttura di lungodegenza in cui si trovano. Sono molto diverse tra loro, hanno avuto vite diverse, ma, sono molto solidali una con l’altra, si danno man forte. Pensi che le persone anziane debbano lottare più duramente dei giovani per farsi rispettare?
Assolutamente. Non riusciamo nemmeno a vedere i vecchi come individui, solo come una categoria fatta di persone che mangiano gli stessi cibi, vanno a letto alla stessa ora. Un messaggio molto importante che ho voluto trasmettere coi miei libri è l’amicizia non solo tra queste persone, ma tra persone di diverse età.
I tuoi libri possono essere letti a diversi livelli: sono stati definiti “thriller gentili” per l’assoluta mancanza di dettagli cruenti e per l’eleganza della tua scrittura, ma sono anche interessanti perché ci aprono una finestra sul sistema di welfare finlandese con tutte le sue peculiarità…
Siamo molto orgogliosi del nostro sistema di welfare e siamo anche molto famosi per il nostro sistema scolastico che è anche migliore di quello svedese! È quindi sorprendente che quelle persone che hanno costruito il benessere del paese sono ora diventate un problema. La generazione di Irma e Siiri ha fatto la guerra, sopportato enormi sacrifici, e dopo essere sopravvissute a quegli anni tremendi si sono costruite delle famiglie, si sono rimboccate le maniche e hanno lavorato duro per dare al Paese il futuro benessere di cui stiamo godendo i frutti, il sistema sanitario ed educativo di cui noi e i nostri figli abbiamo beneficiato. Quando questa generazione ha smesso di lavorare, e per la prima volta hanno avuto bisogno di qualcosa, il Paese ha detto loro ”non ci possiamo permettere questi costi, rivolgetevi al sistema assistenziale privato”. Ed è proprio lì che sono finiti, se ne stanno seduti alle finestre del sistema assistenziale privato a guardare fiorire e svilupparsi la moderna società finlandese a cui il loro lavoro ha contribuito così tanto.
Non scrivi solo narrativa ma sei una giornalista molto stimata e celebre, che ha vinto il più prestigioso premio giornalistico finlandese. È vero che hai esordito con un’inchiesta ispirata dalla morte di tuo padre?
Si, ho visto coi miei occhi quanto sia difficile morire in Finlandia. Arriva un momento, nella vita di una persona in cui devi lasciarla andare, semplicemente tenerle la mano e renderle meno difficili possibile il trapasso, ma in Finlandia questo non è possibile. Le case di cura rifiutano di prendersi la responsabilità di lasciarti morire nelle loro proprietà per cui ogni volt anche le condizioni di una persona si fanno critiche la trasportano in un ospedale che è obbligato a mettere in atto tutte le misure possibili per tenerla in vita il più a lungo possibile. Con mio padre lo hanno fatto tre volte, trasportandolo ogni volta in un ospedale privato e costoso, prima che potesse morire serenamente. È stato sorprendente per me scoprire quanto in Finlandia ci spaventi la morte, persino quando si tratta di una conclusione naturale di una vita molto lunga. Grazie alla mia inchiesta e al lavoro di altri giornalisti le cose stanno lentamente migliorando.
Ti definisci una scrittrice di gialli o pensi che non esistano scrittori di genere, ma solo scrittori?
Penso che gli scrittori di gialli esistano eccome, ma io non ho mai pensato a me stessa come una di loro. Quando ho raccontato al mio editore la trama del mio primo libro ‒ si trattava della storia di una novantaduenne che claudicava ‒ lui mi ha detto: “Uhm, non pensi che sarebbe meglio se ci fosse una trama in questa storia?”. E quindi mi sono messa a costruirne una, e ovviamente la trama più ovvia da costruire all’interno di una casa di riposo era un giallo. In quel contesto il giallo può assumere moltissime sfumature. Finanziarie, mediche, affettive...
Quando possiamo aspettarci il prossimo libro? Stai lavorando al prossimo mistero per le due arzille vecchiette o cambierai protagonisti?
In realtà sto ultimando un nuovo libro che uscirà in Finlandia a marzo, ma si tratta della storia di una “vedova arrabbiata”. È una donna che ha trascorso gli ultimi dodici anni a prendersi cura del marito malato e ora che lui è morto e lei ha 74 anni, ritiene di avere il diritto a costruirsi una vita, ad essere sé stessa. In Finlandia esiste la possibilità di farsi dichiarare “prestatore di cure primario” di un coniuge, per evitare di portarlo in un ospedale. Questo significa che firmi un vero e proprio contratto con lo Stato, da cui non puoi recedere se non per motivi gravi e da quel momento la persona è una tua responsabilità esclusiva, per la quale lo Stato ti dà uno stipendio di circa 300 euro. È una cifra irrisoria soprattutto perché nel momento in cui firmi questo contratto non puoi prevederne la data di fine e nemmeno il prezzo emotivo che pagherai per rispettarlo. Nel caso della mia vedova sono stati dodici anni di vita personale, e a settantaquattro anni, terminato il suo impegno di cura i suoi figli la guardano pensando che non le resti che aspettare la propria morte ma lei è invece dell’idea che la sua vita stia appena per cominciare.