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Intervista a Nando Dalla Chiesa

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Nando Dalla Chiesa è professore Ordinario di Sociologia della criminalità organizzata all’Università degli Studi di Milano, ex deputato, Direttore dell’Osservatorio dell’Università di Milano sulla criminalità organizzata. Le sue pubblicazioni negli anni hanno spaziato da attente e documentate denunce del fenomeno mafioso ad un apprezzatissimo (almeno da me, ndr) saggio su Armando Picchi, fino ad arrivare alla sua ultima fatica, una dichiarazione d’amore per il mondo dell’educazione universitaria e non solo. Lo disturbo a Fano, nel corso di Passaggi Festival 2018, durante un momento di relax al bar, per chiedergli una chiacchierata nella breve pausa nell’avvicendarsi degli incontri in calendario: lui si presta con gentilezza e generosità.




Partiamo da un commento allo straordinario successo di pubblico ottenuto da questa manifestazione. Confesso che mi ha piacevolmente stupita una tale affluenza di folla a un festival della Saggistica e per temi per nulla facili. Come hai vissuto queste serate?
Sono il Presidente del Comitato Scientifico del Festival e in questi ultimi anni ho assistito alla sua crescita esponenziale. Siamo partiti da essere ospitati in una piccola stanza, ora siamo nella piazza principale di Fano e credo che alla prossima edizione dovremo allargare la piazza! Sono ovviamente molto soddisfatto della risposta ma non posso dire che mi abbia sorpreso. Ci abbiamo molto creduto sin dall’inizio.

Il tuo libro più recente è Per fortuna faccio il Prof. Perché la consideri una fortuna e cosa pensi di quello che sta succedendo nell’istruzione pubblica?
Io faccio il professore universitario, per cui non ho una conoscenza diretta della scuola primaria e secondaria, ma ne vedo i prodotti finali, per così dire. I miei studenti sono però la misura del valore e dei successi che i tanti operatori del mondo della scuola riescono ad ottenere nonostante i moltissimi problemi che la scuola affronta. Questo libro è una dichiarazione d’amore per l’università e di riflesso anche per la scuola.

L’ accesso all’Università sembra farsi sempre più difficile nonostante il proliferare degli Atenei, siamo passati dall’essere il primo Paese al mondo che aveva la libera docenza in Costituzione a dover correre ai ripari e regimentare l’impegno didattico frontale minimo dei professori universitari…
La mia opinione è viziata dal fatto che il mio Dipartimento è il primo d’Italia e che nessuno dei miei colleghi si è mai lamentato delle ore di ricevimento studenti o del carico di ore di didattica. Facciamo tutti molto di più del minimo e ne siamo contenti, il rapporto con gli studenti è vitale per noi e la VQR non è il nostro principale assillo, anche se ci fa piacere che i risultati delle valutazioni della qualità della ricerca ci premino.

Quindi il baronato non esiste più?
In realtà credo che non sia del tutto sparito, ma c’è una maggiore consapevolezza e attenzione a tutti i livelli. Ad esempio è ormai qualche anno che non riceviamo più rapporti e circolari che ci chiedevano o di tenere gli occhi aperti per il pericolo che correvano le ragazze che frequentavano i corsi di determinati professori.

Credi che come molti stanno sostenendo questo sia un momento d’oro per la criminalità organizzata, che essendo sparita dai radar dell’azione politica si sta riorganizzando con metodi e obiettivi drammatici come in passato? Ritieni che possiamo tornare a correre gli stessi rischi che ci hanno fatto perdere tuo padre e il “giudice ragazzino” del tuo celebre libro?
Sono convinto di no. Almeno non come in passato. Il livello di anticorpi e di consapevolezza sviluppati oggi dalla società lo renderanno impossibile. Quando io ho vissuto la mia esperienza mancava il tessuto sociale, le associazioni, l’assistenza dello Stato alle vittime, non c’era nulla. Siamo stati completamente soli ma ora non è un rischio che si corra, c’è una diffusa e preziosa presenza di Associazioni come Libera (di cui sono Presidente onorario) e la società nel suo complesso è molto più assetata di verità e legalità. Certo non bisogna abbassare la guardia. Certo è innegabile che si abbia la sensazione da ormai diversi anni che si vogliano mettere in ministeri chiave come gli Interni e la Giustizia, persone che quanto meno lancino a queste organizzazioni messaggi rassicuranti anche solo per omissione, per ciò che non fanno e non dicono di voler fare. La lotta alla mafia è una questione delicata, che richiede esperienza e capacità che non si insegnano (spesso) nelle facoltà, ma si acquisiscono grazie a sensibilità, carattere, esperienza maturata sul territorio. Al termine del mio mandato parlamentare, quando sono tornato all’Università dove avevo lasciato l’insegnamento di Sociologia Economica, ho trovato che il mio corso era stato triplicato e non volendo io insegnare la versione IV dello stesso argomento, mi è stata proposta una cattedra che non esisteva ancora, quella di Storia delle Organizzazioni criminali. Negli anni il Corso ha cambiato titolo e si è moltiplicato, ma nella mia aula non ho solo studenti, ho spesso amministratori locali, segretari comunali, forze dell’ordine e questo ti dice quanto tutti siano impreparati ad affrontare la sfida globale della criminalità organizzata. La Lombardia è la seconda regione d’Italia per tasso di penetrazione della ‘ndrangheta e gli amministratori locali sono sotto assedio, come l’indagine su Expo ha ben dimostrato.

In effetti Expo, almeno fino all’arrivo di Cantone è stato una sorta di banchetto pubblico, per loro…
I segnali c’erano da molto prima, e questo il sindaco Pisapia lo aveva ben chiaro quando mi ha chiamato a presiedere il Comitato antimafia da lui istituito con finalità di vigilanza sulle attività pre EXPO. Probabilmente non siamo riusciti ad arginare tutte le attività criminali perché a un certo punto ci siamo resi conto che ci planavano addosso anche dalle direzioni più impensate, erano centinaia di tentativi al giorno. Abbiamo però acceso dei punti di allarme, abbiamo dato delle dritte e avuto intuizioni come ad esempio andare a controllare la provenienza territoriale e la proprietà dei camion che movimentavano i rifiuti.

Tornando all’attualità, vorrei chiederti qualcosa a proposito dell’azione politica e del tuo impegno con la Rete di Leoluca Orlando. Non pensi che molti dei temi che hanno portato alla ribalta il M5S avrebbero tranquillamente potuto essere rivendicati da quel vostro movimento, che fu il primo esempio di azione politica dal basso, di condivisione sociale di temi e istanze attorno a cui è nato un Movimento il cui stesso nome evocava scenari futuri. Cosa vi è mancato? Cosa è andato storto?
Ce lo siamo detti tante volte e la colpa è in parte anche di alcuni errori che abbiamo fatto, ma il fattore principale che a noi mancava erano ovviamente i social network. Pisapia a Milano ha vinto esclusivamente grazie ai social. Se io avessi avuto i social a disposizione nel 1993 probabilmente avrei vinto a Milano, e lo stesso sarebbe accaduto per Fava in Sicilia, per Novelli a Torino… e così via. Noi purtroppo potevamo contare solo sui giornali e non molti. Rivendico però con orgoglio l’abolizione dell’immunità parlamentare che è un successo ascrivibile esclusivamente al nostro gruppo parlamentare, anche se piccolo.

Come si esce dal populismo imperante in politica? O almeno da questo populismo?
Se ne esce facendo del populismo informato, aggiornato, trattando anche temi di attuale interesse dei cittadini, ma, al termine della campagna elettorale, bisogna circondarsi di persone competenti che abbiano le capacità di realizzare quanto è stato promesso. Saper riconoscere la competenza e la preparazione, andarle a cercare dove sono e sapersene servire, sono queste le qualità che fanno un buon politico, anche populista.

I LIBRI DI NANDO DALLA CHIESA