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Intervista a Natasha Solomons

La prima volta avevamo incontrato Natasha - classe 1980 e autrice di romanzi ad ambientazione storica - nella suggestiva cornice del museo Leonardo3 - Il Mondo di Leonardo da Vinci, in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano, dove stava promuovendo il suo libro nel quale dà voce alla donna più famosa della storia dell’arte. Tra fedeli riproduzioni di modelli aerei elicoidali, appunti leonardeschi rigorosamente speculari e versioni digitali e interattive della Gioconda e dell’uomo vitruviano, la scrittrice inglese dagli occhi luminosi, l’incarnato roseo e i modi delicati - che per rimanere in tema sfoggiava un paio di deliziosi orecchini a forma di quadro della Monna Lisa - ci aveva regalato una prima conversazione, rispondendo alle nostre domande con garbo e affabilità. Oggi invece si presta volentieri a un’intervista telefonica nel corso della quale si parla di femminismo, Rinascimento, storie d’amore che nascondono menzogne, vendetta, rabbia e, soprattutto, di William Shakespeare. Ecco la fedele trascrizione di entrambi gli incontri.



Come nasce la tua esperienza di scrittrice?
È cominciato così: stavo lavorando al mio PhD, dovevo scrivere un capitolo per la mia tesi sulla poesia in versi e a un certo punto sono rimasta completamente bloccata. Così mi son detta, ma sì, magari scrivo un capitolo di narrativa, tanto per distrarmi un po’. Sono passati dodici anni e non mi sono ancora rimessa al lavoro su quel capitolo e credo che, tutto sommato, il mondo possa anche aspettare.

È molto interessante questo riferimento alla poesia, perché la tua scrittura è caratterizzata da dialoghi vivaci che si alternano a momenti di descrizione meticolose e allo stesso tempo molto poetiche. Che ruolo ha la poesia nella tua esperienza di lettrice e scrittrice?
Amo moltissimo la poesia, mi piace tanto leggerla. Non ne scrivo da quando avevo vent’anni circa. Credo infatti che un poeta debba avere una mente matematica per il calcolo della metrica, cosa che io non ho assolutamente; non ho un orecchio matematico. Sono una che può inventare delle metafore, posso concepire belle frasi e avere uno sguardo originale sulle cose, ma il poeta deve avere un’altra qualità che è quella di saper contare le battute e questa è proprio una cosa che non so fare.

Come nascono le tue storie? Cosa ispira maggiormente la tua produzione?
Non saprei. Direi che spesso comincio mettendo a fuoco il personaggio principale, poi una volta che ho il protagonista o la protagonista posso iniziare. Ma sono davvero tutti libri diversi e storie diverse, un po’ come accade con i figli. Non solo sono diversi gli uni dagli altri, in qualche modo, non dipendono direttamente da te. Ogni storia ha avuto la sua nascita particolare.

Da dove arrivano le idee per i tuoi romanzi? E come lavori, come ti organizzi una volta che capisci di avere tra le mani un’idea che potrebbe trasformarsi in una storia?
È difficile dire da dove nascano le idee per ogni romanzo, perché in realtà la genesi di ciascuno di essi è diversa. Mi piacerebbe ci fosse un metodo univoco e infallibile per iniziare la scrittura. L’unica cosa universale, in realtà, è legata al fatto che leggo tutto ciò che posso. Ultimamente ho letto, ovviamente, moltissimo Shakespeare e ho cercato nei suoi testi l’ispirazione. Per quanto riguarda ogni romanzo, può trattarsi di uno stimolo diverso: un quadro, una fotografia, una conversazione o qualsiasi cosa sia in grado di darti, di colpo, questa sensazione di giustezza. Tuttavia, una cosa non cambia mia: non posso cominciare a scrivere finché il protagonista principale non sia completamente messo a fuoco, perché è sempre il personaggio, al di là della vicenda, che rappresenta la mia modalità d’ingresso nel romanzo. Per quanto riguarda la ricerca, è anch’essa diversa da libro a libro. A volte conduco mesi e mesi di ricerca prima di scrivere anche una sola riga. Altre volte, invece, comincio a documentarmi e mi entusiasmo così tanto che comincio a scrivere prima ancora di aver concluso la fase di documentazione, salvo poi fermarmi e ricominciare a studiare quando mi rendo conto di avere parecchie lacune da colmare. In ogni caso, la fase di documentazione e ricerca mi piace molto. È un modo per nutrire la propria curiosità e per essere condotti in luoghi inaspettati.

Nel caso di Romeo e Rosalina, quest’ultima, da personaggio secondario, finisce per appropriarsi della scena e diventa l’emblema della rabbia e della vendetta anche per tutte le donne che l’hanno preceduta. È così? È questo ciò che volevi mostrare?
Mi piace molto l’idea di una Rosalina vendicativa, però credo anche che si tratti di una storia d’amore. È la vicenda di una ragazza cui accadono storie terribili e, anziché chiudersi in sé stessa e ritenersi sconfitta, nella consapevolezza che ciò che è le è successo non possa essere cancellato, si batte affinché non accada mai più ad altre donne. Quindi c’è un coraggio che le va riconosciuto. La vedo perciò come una furia, ma le riconosco anche calore e affetto, sentimento che è ben evidente nel rapporto tra Rosalina e Giulietta.

Chi è Romeo nel tuo romanzo? Qual è il suo ruolo in una storia di impronta decisamente femminista?
Il Romeo che vedo io non è l’adolescente che spesso viene tratteggiato. D’altra parte, non vedo elementi nella pièce di Shakespeare che testimonino il fatto che si tratti di un adolescente. È vero che viene chiamato boy (ragazzo), ma nell’Inghilterra elisabettiana questo è anche un insulto, un termine peggiorativo. Credo che Romeo sia un manipolatore, uno sfruttatore e un predatore di giovani ragazze, ma all’inizio del mio romanzo avevo bisogno che il lettore provasse empatia nei suoi confronti, perché quando Rosalina se ne innamora è importante ci sia una certa identificazione. Quando da giovane ci si innamora, si stenta a credere che le attenzioni dell’altro siano tutte rivolte a noi e si vive come su una nuvola. Ecco, questo è il momento in cui un adulto dovrebbe intervenire, dire “Stai attenta” e mettere in guardia la ragazza che sta vivendo questa passione.

In definitiva la storia d’amore più famosa al mondo, così come ce l’ha donata Shakespeare, è un fake?
Direi di sì, perché com’è possibile che la più grande storia d’amore di tutti i tempi finisca con un doppio suicidio? Non è affatto romantico. Anche il fatto che i suicidi riguardino due ragazzi così giovani fa dell’opera di Shakespeare una storia d’amore alla quale non aspirare. Sono anche convinta che Shakespeare stesso non voleva che il lettore fosse a proprio agio con la giovane età di Giulietta. Va notato che è l’unico personaggio di cui si conosce l’età. Non solo ci viene detto che ha tredici anni, ma l’informazione viene ripetuta e Shakespeare fornisce anche la data esatta del suo compleanno. Quest’età è diversa rispetto a quella dei testi fonte cui il Bardo si è ispirato. In questi testi Giulietta era più grande. Credo che Shakespeare ne abbia abbassato gli anni per metterci a disagio rispetto alla sua giovane età, appunto. Sua mamma e la bambinaia sono davvero preoccupate per il fatto che lei possa avere una vita sessuale in piena pubertà e che di conseguenza la sua vita matrimoniale possa poi coincidere con il suo letto di morte. E nulla di tutto questo ha alcunché di romantico.

Ci vuole coraggio o una buona dose di incoscienza per decidere di occuparsi di una delle opere più note di Shakespeare, da sempre reputato inarrivabile? Non temi il confronto?
Credo dipenda in realtà da qual è il nostro punto di vista. Io non attacco Shakespeare: è come se si trattasse di un’ispirazione, una conversazione con la sua opera. Ed è come se anch’io mi fossi adeguata al modo in cui si lavorava nel Rinascimento. Shakespeare stesso non scriveva storie originali: rielaborava e reinterpretava storie che già circolavano. Lo stessa tragedia Romeo e Giulietta è ispirata a Ovidio. Si tratta di storie familiari che Shakespeare prende e reinterpreta. Ho avuto la sensazione che anche il mio lavoro avesse la stessa ragione d’essere, lo stesso modo di lavorare di Shakespeare. Credo che lui capirebbe il tipo di lavoro che ho fatto, che non è una messa in discussione del suo operato, ma un modo per farlo perdurare.

Da dove nasce la tua passione per la Storia e per il passato, che riesci a rievocare così bene nei tuoi scritti?
Amo le storie e trovo siano il nostro modo per capire il mondo. Penso alla vita come a qualcosa che ha un inizio e una fine e ciascuno di noi desidera che sia interessante quel che ci sta in mezzo. Delle storie del passato mi interessano le interpretazioni e i punti di vista diversi che vedono la stessa vicenda in modi diversi e danno versioni diverse della verità. Trovo tuttavia che ci sia differenza tra uno storico e un romanziere. Lo storico cerca di dire cosa è successo, il romanziere cerca di raccontare le sensazioni provate durante uno specifico episodio.

Che lettore sei? Quali generi e quali autori preferisci? Quali invece non ami o fatichi a leggere?
Sono aperta a qualsiasi cosa. Leggo molta narrativa non-fiction. Quando trovo una storia di non-fiction che si legge come se fosse di narrativa pura sono molto contenta. Amo la narrativa contemporanea e anche la narrativa storica, anche se preferisco quella non ambientata nel Regno Unito, perché troppo familiare per me. Mi piacciono i romanzi americani. Non leggo molte storie d’amore, perché sono troppo cinica. Mi attendo sempre un finale positivo, ma quando poi accade, finisco per non crederci più.

Qual è la fase della scrittura che ti dà maggiori soddisfazioni: la progettazione, la scrittura, la riscrittura, la fase di editing, la promozione?
La promozione in Italia mi pace moltissimo! Per il resto, non c’è niente da dire: quando la giornata di scrittura ha funzionato bene e quando una metafora, una scena o un susseguirsi di parole funziona, la soddisfazione è immensa. Quello è il mio momento preferito del processo narrativo. Non temo la fase di editing: ho editor che stimo molto e trovo ogni loro commento sempre efficace, puntuale e stimolante. Non amo particolarmente la revisione delle bozze, perché la trovo noiosa.

Quale romanzo non tuo avresti voluto scrivere?
Direi nessuno. Se c’è qualcosa che davvero ho voglia di scrivere, in genere la scrivo. Per esempio credo che un giorno mi indirizzerò verso una fiction più contemporanea. Al momento, anche la casa editrice si aspetta da me un altro romanzo storico, ma sento che prima o poi riuscirò a convincere tutti e potrò percorrere questa nuova strada.

Con I Goldbaum, il romanzo che ti ha reso celebre in Italia, Casa Tyneford e Un perfetto gentiluomo hai indagato il primo Novecento, in particolar modo il periodo delle due guerre mondiali. Con il tuo ultimo romanzo, Io, Monna Lisa, prendi le mosse dal Rinascimento italiano per poi addentrarti nei secoli successivi. Quanto e come è cambiato il tipo di ricerca che hai dovuto intraprendere per ricostruire le atmosfere di epoche così diverse?
In realtà il processo è sostanzialmente lo stesso; non ho trovato che in questo caso fosse più difficile rispetto agli altri libri. È sempre una grandissima gioia. Anzi, devo dire che forse ne I Goldbaum ho avuto più difficoltà perché il fatto di dovere raccontare il mondo della finanza, per me che non ho assolutamente una mente matematica, si è rivelato estremamente difficile. Però, alla fine devo ammettere che mi sono anche divertita nel diventare esperta di una materia molto velocemente. Per quanto riguarda la storia dell’arte, Io, Monna Lisa non è il primo libro in cui me ne sono occupata. Trovo che svolgere ricerche per i libri sia un po’ come quando si studia per un esame: ti prepari per la stesura del libro, ma una volta ultimato il romanzo il materiale e le informazioni che hai raccolto dopo un po’ se ne vanno. Con la storia dell’arte, invece, questo non è accaduto: mi ha aspettata, è rimasta lì ed è stato molto bella ritrovarla. C’è solo stato bisogno di rinfrescarla un po’ ed è stata una grande gioia, una grande sorpresa e anche un grandissimo aiuto.

L’identità ha un ruolo centrale nei tuoi libri. In Io, Monna Lisa Leonardo da Vinci afferma che il suo cognome, quindi la sua identità, coincide con il suo paese d’origine, Vinci, e che lui sarà sempre Leonardo da Vinci, dunque sempre legato a quel posto, nonostante abbandoni l’Italia per la Francia. Nei tuoi romanzi, i personaggi sono spesso costretti a migrare e vivono dunque una dolorosa esperienza di sradicamento che influisce sulla loro identità. Perché questo tema ti sta così a cuore?
Io sono figlia di rifugiati - i miei nonni erano ebrei tedeschi che da Berlino si rifugiarono in Inghilterra - e ho sempre sentito di non appartenere a nessun luogo, di non riuscire ad adattarmi alle situazioni. Insomma, non mi sento mai nel posto giusto. Ho sempre cercato la mia identità, mi sono sempre chiesta dove io appartenessi. E in un certo senso anche Monna Lisa è così. Lei non è mai nel posto giusto, è diversa da tutte le altre donne. È la donna più famosa al mondo e al tempo stesso non è una donna, bensì un quadro. È sola ed è diversa da tutte le altre donne al mondo.

Nelle tue opere precedenti, è centrale la questione dell’antisemitismo. In Io, Monna Lisa soffermandoti sull’omosessualità di Leonardo e le sue ripercussioni sociali, hai forse voluto indagare un altro tipo di discriminazione?
Sì, è sicuramene un aspetto che ho trattato e a cui ho voluto dedicare particolare cura. Faccio fatica ad usare la parola “gay”, perché è sicuramente un concetto o una parola con cui Leonardo da Vinci non avrebbe avuto familiarità e avrebbe fatto anche fatica a capire a che concetto ci si riferisce. C’è sicuramente l’elemento della discriminazione ma c’è anche un’ambivalenza. È un tema molto difficile da trattare, soprattutto visto attraverso le lenti di oggi perché allora, in generale, la relazione con la sessualità era diversa. A Firenze, in quel periodo, moltissimi uomini sperimentavano l’omosessualità e io ho sicuramente cercato di raccontare e rappresentare, a partire dagli appunti di Leonardo stesso e dalle biografie che gli sono state dedicate, quello che potesse essere la sua sessualità, ma sicuramente con la difficoltà di un tema vista con cinquecento anni di distanza.

Come è stato calarsi nei panni della Monna Lisa, quindi nei panni della donna più celebre della pittura mondiale e assumere il suo punto di vista?
È stato sicuramente energizzante, allegro e con anche dei momenti di malinconia perché è tutta un’avventura quella che lei vive. All’inizio, è piena di speranza ma possiede anche una caratteristica di ribellione; verso la fine deve invece affrontare momenti di grande dolore e ci sono dunque stati momenti di malinconia.

Ci sono autori classici o anche contemporanei che ritieni abbiano influenzato la tua scrittura?
Il concetto di “influenza” mi fa un pochino paura, nel senso che la scrittura per uno scrittore è in fondo come la sua impronta digitale. Sicuramente, ci sono scrittrici e scrittori che ho amato e che amo moltissimo e che in qualche modo mi hanno ispirata. Ad esempio, in questo momento sono ossessionata da una scrittrice americana che si chiama Katherine Heiny che scrive cose molto diverse da quello che scrivo io in quanto racconta di vita contemporanea negli Stati Uniti. Amo moltissimo il suo modo di osservare la gente, i suoi protagonisti, le loro fragilità senza portare alcun tipo di giudizio su questi personaggi che sembrano persone reali; mi sembra di conoscerli meglio della mia stessa famiglia! Quindi, sicuramente lei in questo senso mi ispira a migliorare come scrittrice. È anche molto divertente, che è il motivo per cui non ha vinto i premi più importanti, perché una donna con il senso dell’umorismo viene considerata minore, mentre noi sappiamo che è tutto il contrario, ma sono certa che un giorno sarà riconosciuta. Quello che volevo dire è che i suoi sono libri molto diversi dai miei ma che io leggo con tantissima ammirazione, per me è una specie di moderna Jane Austen.

Ci sono scrittori e scrittrici italiani che apprezzi particolarmente?
Di narrativa contemporanea devo confessare di no. Innanzitutto, devo dire che non leggo tantissima narrativa, leggo soprattutto saggistica. Però, fra i classici di letteratura italiana, ho iniziato a leggere Boccaccio da adolescente e ancora oggi non resisto alla tentazione di rileggerlo!

I LIBRI DI NATASHA SOLOMONS