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Intervista a Nicky Persico

Nicky Persico
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Nicky Persico - classe 1964 - vive e lavora a Bari, dove svolge la professione di avvocato. Giornalista pubblicista, ex steward di una grande compagnia aerea, ha interessi nel campo della fotografia, della sceneggiatura e della recitazione. Come legale si è interessato di incidenti aerei e navali, e da anni si occupa di violenza sulle donne, problema di cui ha approfondito gli scenari e le dinamiche sino a farsi ideatore e promotore di iniziative per contrastarla. E a dedicare a questo argomento scottante il suo primo romanzo. Abbiamo avuto il piacere di ospitarlo per qualche domanda su Mangialibri.




Nel tuo romanzo Spaghetti paradiso affronti il durissimo tema dello stalking. Quali cautele di stile e di trama si devono usare per fare fiction su un tema così duro e difficile?
Io credo che affrontare tematiche di qualsiasi natura, nello scrivere in generale, comporti una quota di responsabilità. Non è necessario essere esperti di ogni cosa, ma lo è esserlo almeno nella misura in cui sia possibile avere una opinione fondata. Nello stalking, in particolare, considerato che l'universo di cui è composto è fatto di persecuzione, violenza psicologica, violenza fisica, omicidi ed impatto sociale, il tatto deve guidare necessariamente chi lo affronta. Quando si trattano questi argomenti non ci sono mezze misure: o si apporta un contributo di utilità, o si è dannosi. La neutralità a mio avviso non è contemplata come ipotesi. Quello delle violenze psicologiche, della persecuzione o stalking che dir si voglia è un mondo in realtà misconosciuto del quale si è iniziato a prendere consapevolezza sociale solo a partire dal 2009, anno in cui è entrata in vigore la legge che lo punisce come reato a se stante. E' però un mondo del quale gli addetti ai lavori conoscono l'esistenza sin da molti anni prima. Possiamo quindi affermare che oggi, a livello sociale, si sono fatti molti passi avanti in quanto a cognizione della esistenza del problema, ma c'è ancora molta strada da fare in quanto a comprensione della sua reale natura. A tutt'oggi la sua reale portata, i suoi reali caratteri costitutivi, le sue manifestazioni multiformi e le sue radici profonde sono ancora appannaggio di chi lo conosce davvero: le vittime, in prima battuta. E' un tema importante, quindi, e se viene trattato in maniera impropria chi ne è vittima ne soffre. Per questa ragione lo stile e la trama, quindi, devono restare sulla stessa linea: la penna è tagliente come un bisturi, ed ogni minimo errore può far danni sia alla 'causa' che alle persone. Magari queste mie affermazioni potranno sembrare esagerate, ma vi assicuro che è esattamente così che stanno le cose. Ne ho conferma soprattutto adesso che inizio ad avere ritorni dal mio libro. Al di là dei pareri afferenti il profilo letterario, quelli delle vittime mi confermano questo dato, e che io sia riuscito a trattarlo in maniera adeguata. Era il mio cruccio principale, che mi ha guidato durante tutta la stesura e l'editing. E' un libro sofferto, anche se allegro, anche se questo è un aspetto di cui non parlo mai: voglio diffondere un messaggio positivo e di speranza.

È stato il tuo impegno civile sullo stalking a farti sentire l’esigenza di far emergere queste storie? O nasce prima il tuo bisogno di raccontare?
Sono stati entrambi, in realtà. Tutti coloro che ne conoscono, fanno qualcosa per gridare allarme. E' istintivo. Chi conosce dall'interno questi fenomeni, sente presto o tardi l'esigenza di mettere gli altri sull'avviso. L'esigenza di dire “ho visto qualcosa che costituisce un pericolo, che sembra invisibile ma può essere riconosciuto e vi racconto come poter fare a vederlo prima che colpisca”. Il mio bisogno di raccontare è nato durante i convegni, e poi l'idea di farne un romanzo. Un romanzo che sognavo fosse solare, che potesse illuminare, rischiarare il buio, far vedere una luce in fondo ad un tunnel. E tale è stato l'impegno in questo senso, che alla fine il libro piace come storia, indipendentemente dal tema. Il desiderio di sensibilizzare, comunque, ha guidato innegabilmente le mie scelte.


Il tuo romanzo viene definito uno smart thriller. Ci spieghi di cosa si tratta esattamente?
Come confermano ormai unanimemente i lettori e la critica, è un libro che tiene col fiato sospeso, che in certi momenti ti fa tremare di paura, che ti fa indignare, arrabbiare e piangere. Ma al contempo, per quanto assurdo possa sembrare, fa ridere, sognare, innamorare delle persone e dei luoghi: e la paura si stempera, l'orrore viene contestualizzato e neutralizzato dalla conoscenza dei meccanismi. Questo libro è stato anche definito, nonostante sia in libreria da pochissimo, un giallo 'alla Simenon', un 'libro arcobaleno', è stato paragonato ad una sinfonia di Mozart, e 'un atto d'amore'. Non vorrei sembrarvi un folle esaltato: sta davvero accadendo questo. Quindi la definizione 'smart thriller' credo vada interpretata nel senso che è fondamentalmente un thriller, ma che ha molte altre chiavi di accesso e di interpretazione. Quello che più mi rende felice, comunque, è la sensazione che – mi dicono – resta alla fine: positività, soddisfazione.


Le protagoniste della vicenda sono due donne diversissime tra loro ma accomunate dal minimo comune denominatore della violenza. Qual è il ruolo della donna nel tuo romanzo?
Il ruolo della donna è determinante, e certamente in questo testo ho voluto rendere loro omaggio. Come ho scritto una volta su Facebook "Le donne sono bellissime: tutte. Le ho sempre adorate, amate. Ho più migliori amiche, che migliori amici. Quando ho avuto bisogno di aiuto, o di coraggio, o di rifugio, quasi sempre è stata una donna, ad essermi accanto. E quasi sempre, non ho dovuto chiederlo, perchè non ho avuto bisogno di parlare, per farmi capire. A volte amica, a volte amore, a volte amante: a volte tutto questo in una sola, che rivedi dopo anni, ed è passato meno di un istante. Le conversazioni più belle, il tempo più intenso, i confronti più leali e duri, l'onore delle armi: quasi sempre una donna, di fronte a me. E forse ho capito, che puoi essere davvero un uomo se sai essere degno di una vera donna". Ecco, qui c'è tutto quello che io penso, di loro. E in questo libro io cerco di difendere anche gli uomini, perché gli uomini non picchiano, non feriscono, non umiliano, non offendono una donna. Questa gente non ci rappresenta. Gli uomini le donne le difendono, le rispettano, le amano. E spesso ne vengono difesi, o ne vengono aiutati, confortati, senza per questo sentirsi stupidamente inferiori. Alzi la mano chi non ha mai pianto sulla spalla di una donna. Con un amico accade, anche, ma è una cosa un po' diversa. Certo, anche una donna può essere persona che non riteniamo degna, o cattiva, ottusa, eccetera. Ma la conflittualità va trattata alla pari. E del resto l'idiozia non ha un genere di appartenenza: è asessuata e percentualmente ben distribuita. Succede, nella vita, di incontrare persone che non ci piacciono. In sintesi, questo libro per quanto mi riguarda nei confronti delle donne è l'equivalente letterario di un mazzo di fiori di campo, raccolti e donati a loro con tutto l'amore che posso.


Perché hai deciso di ambientare la storia proprio in Puglia?
Perché queste domande profondissime alle quali vorrei rispondere con un trattato? Scherzi a parte, l'ho fatto innanzitutto perché la amo profondamente, e perché vorrei che tutto il globo la conoscesse. La sogno piena di persone provenienti da tutto il mondo che la visitano, ne respirano l'aria, ne restano incantati dai colori, dalla luce, dai borghi e dalla gente di Puglia. Gente ospitale in modo proverbiale e gioioso.  Sogno una economia risollevata da questo, e la valorizzazione del territorio: se non siete mai stati in Puglia una volta qui vi pentirete di non esserci venuti prima, e se venite in Puglia sarete felici per sempre delle atmosfere che vi porterete dentro per sempre. E' quello che nel romanzo definisco 'mal di Puglia'. Prepotente come il canto di una sirena. E non scherzo.


Che uomo c’è dietro uno stalker, e come ci si affranca da una violenza così subdola?
Nessun uomo: c'è un vuoto essere privo di personalità vera, che vampirizza la bellezza e la gioia di vivere altrui. La distrugge per essere a sua volta. Un soggetto invidioso, incapace e cattivo nel senso tecnico del termine. Capace di fare paura a chi è debole, dopo averlo artatamente indebolito, ma in realtà dal carattere minuscolo, miserabile, in cui l'unica cosa abnormemente presente è un falso senso di grandezza del sé unito ad un altrettanto errabondo senso di onnipotenza. Un buco nero sociale, insomma, che assorbe energia e risorse da qualsiasi contesto ne sia in contatto, producendo e lasciando dietro sé dolore, infelicità, danni di ogni genere, zizzania, infamia. Serve davvero che dica qualcos'altro?


Pensi che tornerai su questi temi anche nei tuoi prossimi lavori oppure ti occuperai di tutt’altro? Hai già in cantiere qualcosa?
Credo proprio di no, almeno nel senso di tema principale. In cantiere ho i prossimi due romanzi già contrattualizzati con l'editore: la formula resta, il taglio ed il personaggio principale pure, ma i contesti saranno differenti. Lo smart thriller proseguirà ad esistere, e io farò del mio meglio perchè Alessandro Flachi, praticante avvocato maldestro e impacciato possa continuare le proprie avventure lasciando che ci si possa innamorare della sua disarmante genuinità d'animo, del suo amore per la musica, della sua passione per la cucina e delle stranissime ricette che scrive e che tanto piacciono – a quanto pare - un po' a tutti. Del doman non v'è certezza, ma io una ce l'ho: adesso che ho cominciato, non smetterò mai più, di scrivere. Spero di cuore che nessuno smetta mai di leggermi.

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