
Non si può non essere contenti nell’incontrare Paola a Berlino, dove sta presentando il suo libro Dove finisce Roma nella sua edizione tedesca, tradotto da Antje Peter per Wagenbach Verlag. E non stupisce affatto perché il peso di cui si fa carico questo romanzo è di quelli che possono condividere tutti coloro che hanno nei loro geni e ricordi indiretti l’esperienza del dramma bellico. L’autrice percepisce bene il fardello e non ha nessuna intenzione di tramutarlo in zavorra (purtroppo la guerra è questo, un peso da scaricare). Ne racconta tenendo stretto il cuore in mano. La genesi stessa è stata lunga, dominata da una ricerca e una documentazione delle fonti quasi estenuanti. Parlarne con cognizione di causa è quindi ancora più gratificante, per chi scrive e per chi legge in egual misura. Sicuri di stare su un terreno solido, l’unica posizione eccellente dalla quale descrivere la frana della seconda guerra mondiale.
La promozione del tuo libro è un buon esempio di come utilizzare bene le risorse del web. Quanto sei legata a questo strumento di comunicazione?
Devo essere sincera, il merito è tutto di Einaudi. All’epoca capirono molto bene che la promozione sul web è un lavoro a sé che non può essere condotto a tempo perso da un ufficio stampa. Hanno investito delle risorse e mi sembra che tutt’ora stiano seguendo questa linea di interesse. Con ottimi risultati tra l’altro. Prima di questa promozione, per esempio, non possedevo un account Twitter. Oggi lo uso di frequente e quindi non ha solo aiutato la diffusione del mio romanzo, ma anche me stessa che ho così imparato a interagire con un mezzo di comunicazione che prima non conoscevo. In questo modo ho interpretato la giusta importanza che bisognerebbe consegnare ai social network. Non è comunque ancora uno strumento intuitivo per le case editrici. Non sempre viene dedicata attenzione a quanto può realmente offrire la rete e non tutti gli autori possono goderne allo stesso modo. Dipende dai contenuti di ciò che si vuole promuovere e anche dall’età dello scrittore. Nel mio caso, creare uno Storify dedicato esclusivamente al libro, fu un esperimento. Così come Pinterest, che a differenza di Facebook o Twitter è un vero e proprio contenitore di materiali. Non solo perciò stralci del libro, ma foto, film e canzoni, cioè tutte quelle cose che sono collegate al romanzo pur non derivando direttamente da esso. Se mi piace un libro, anche grazie alla sua ambientazione, sia nel tempo sia nello spazio, è so che esiste un luogo in cui posso spulciare quello che è in fondo il cantiere nel quale il romanzo ha preso forma, posso godere della lettura in maniera ancora più completa.
In Italia il massimo esponente di questa rivoluzione è il collettivo Wu Ming, non credi?
Certamente, ma per Wu Ming questo interesse è radicato nella loro ideologia. Nel loro desiderio di condivisione delle informazioni e dei contenuti e nella loro convinzione di poter creare una rete efficace.
So che sei presente anche su Instagram. Cosa pensi riguardo alle informazioni personali veicolate dai social network?
Quando il tuo nome comincia a girare al di fuori della tua ristretta cerchia di amici, allora tutto cambia. Le informazioni non sono più personali. Bisogna tener conto anche dei lettori e di tutte quelle persone che possono essere interessate alla tua attività. Per me è stato un passaggio molto strano e solo ora sto imparando a conviverci. Prima dell’uscita del libro il mio profilo Facebook era normale come quello della maggior parte degli utenti. In breve tempo si è trasformato e c’è stato un momento in cui non sapevo più quale potesse essere il modo migliore di interagirci. Non potevo utilizzarlo solo per scopi pubblicitari, né tantomeno continuare ad usarlo come avevo sempre fatto fino ad all’ora. Bisogna trovare la giusta via di mezzo, grazie anche a un uso accorto delle impostazioni che ti permettono di differenziare i contenuti che vuoi trasmettere.
Le donne e la guerra. Come ti sei avvicinata a questi temi per Dove finisce Roma?
Mentre mi documentavo e lavoravo per il romanzo, mi sono resa conto che la questione della donna in tempo di guerra era diventato per me fondamentale. Possedevo già una protagonista femminile e mi interessava quindi raccontare il percorso di ricerca di una libertà individuale, al quale poi ho affiancato quello di una libertà collettiva. Al riguardo mi viene in mente un libro essenziale, Pane nero di Miriam Maffai, che racconta davvero la quotidianità delle donne geograficamente e socialmente lontane le une dalle altre. Grazie alla precisione cronologia e statistica, l’autrice riesce a rendere benissimo le vite di queste donne che affrontano il cataclisma della guerra. In maniera molto più incisiva rispetto ad altri eventi bellici, quella della seconda guerra mondiale vede una presenza femminile molto più sensibile in quelle posizioni che erano considerate invece prettamente maschili. Le donne prendono parte alla resistenza come mai prima di allora e non solo, è anche l’unica guerra alla quale loro possono partecipare. Il debito che abbiamo nei loro confronti è incommensurabile. Grazie a quelle donne oggi io posso votare. Il loro percorso è stato estremamente travagliato: della loro presenza tra le file partigiane si tendeva a non parlarne, a fare finta che non esistessero. Di mezzo c’era soprattutto una questione morale, perché all’epoca era incomprensibile riconoscere donne spesso molto giovani all’interno di un gruppo di uomini in armi. Per diversi anni furono queste stesse donne a non parlare della loro esperienza di guerra. Fino ancora agli anni ottanta, non erano ricordate durante la commemorazione del 25 aprile e nche il riconoscimento da parte dell’A.N.P.I. fu tardivo.
Quale è invece il tuo giudizio sul sesso di queste donne?
Il mio romanzo non parla in maniera diretta di questo argomento e così si sono indirizzate le mie ricerche sul periodo storico. La protagonista è solo una ragazzina. Ho preferito dedicare maggiore attenzione all’aspetto amoroso che coinvolge Ida. C’è una scena topica, nella quale lei bacia il ragazzo di cui è innamorata. Ho deciso così perché volevo che Ida avesse gli stessi diritti che un uomo o un ragazzo hanno sulle donne. Lo stesso modo di gestire le emozioni. In un altro caso, racconto di lei – ancora più piccola – e del suo innamoramento platonico verso un suo insegnante. La sua famiglia vive questo evento come una grande tragedia. Lei allora si ribella a questa presa di posizione, al fatto che qualcun altro possa controllare il suo corpo e la sua sessualità. Riguardo a questo argomento ho comunque trovato nella lettura di Guerra alle donne di Michela Ponzani un documento importantissimo. Si tratta di un saggio che dispiega l’uso della sessualità delle donne in periodo la guerra, passando dalla seconda guerra mondiale alla guerra in Jugoslavia e in Palestina. È chiaro e insindacabile, per esempio, l’utilizzo dello stupro come ua vera e propria arma.
Il racconto in terza persona, il numero incalcolabile dei personaggi, l’uso di una punteggiatura poco regolare. Tutti aspetti del tuo scrivere che mi rimandano allo stile neorealista. Condividi questo accostamento?
La coralità è voluta. Proprio perché questo romanzo nasce dall’idea di raccontare la vita di un quartiere. Non c’è un collegamento diretto allo stile neorealista, però è innegabile che la mia formazione letteraria abbia le sue radici nella produzione dell’epoca. Gli studi che ho seguito all’università non erano affatto contemporanei e le mie letture personali in quel periodo erano quelle resistenziali. Anche se non in maniera esplicita, questa influenza è rimasta in me ed è qualcosa che evidentemente non ho potuto omettere. La mia tesi di dottorato fu su Gadda e, per carità, non posso dire di essere stata influenzata da Gadda nel mio modo di scrivere, ma di certo qualcosa delle sue letture mi è rimasto dentro. La non linearità; le pieghe narrative in cui lui inserisce altre storie divergenti dalla storia principale; il caos.