
Dalla fine degli anni Novanta presenza fissa della nostra emittenza radiotelevisiva, da TMC e Stream a Sky Sport, Paolo Assogna è uno dei volti più conosciuti del giornalismo sportivo. Romano e romanista, dai campetti del Prenestino (dove avrebbe potuto iniziare la sua carriera da centrocampista) oggi il calcio lo racconta, al microfono, in televisione, e per una volta anche sulla carta. Trigoria - La tana dei lupi è il suo primo libro, e soprattutto il tentativo di assolvere all’arduo compito di sintetizzare quarant’anni della vita del centro sportivo divenuto un simbolo nella storia della Roma e dei suoi tifosi. Calciatori, tecnici e presidenti (ma non solo) di una squadra tanto seguita come la Roma, protagonisti di momenti, curiosità e dietro le quinte che le cronache del campo raramente svelano.
Cinquanta capitoli e una mole notevole di nomi e ricordi tra i quali scegliere. Come?
A partire dai grandi presidenti, i grandi allenatori, i grandi capitani. Questa è stata la macro divisione. Non si possono raccontare quaranta anni di storia della Roma senza parlare di Viola, di Sensi, di Pallotta, o senza passare per Liedholm, Spalletti, Capello, e ovviamente Di Bartolomei, Giannini, Totti, De Rossi. Se fossi stato pigro avrei trovato 50 episodi su Francesco Totti, invece sono andato dal più grande di tutti ai magazzinieri e agli uscieri. Mi avevano chiesto un libro di aneddoti su questi personaggi, ma ne ho scelti anche altri. Per raccontare un luogo secondo me devi avere la forza di fare un racconto trasversale e penso andasse data dignità ai personaggi che siamo abituati a considerare minori, ma che tali non sono perché raccontano meglio e più degli altri la quotidianità di un centro sportivo.
È cambiata negli anni la percezione di un centro sportivo come Trigoria?
Sì, perché è cambiato il calcio. Si è passati da una conduzione familiare (definizione intesa in senso assolutamente positivo) resistita fino alla famiglia Sensi, a una conduzione industriale che inevitabilmente è arrivata con gli statunitensi. Anche nella vita quotidiana di Trigoria ci son stati periodi più o meno brillanti, ma secondo me viene raccontata sempre con un pizzico di snobismo inutile, perché io ho sempre percepito - anche con qualche momento di leggera anarchia, per carità - un altissimo livello di professionalità e di grande educazione sportiva, manageriale, che secondo me va raccontato. Non che sia stato un ambiente di stinchi di santo, ma delle volte è stata raccontata a partire da leggende mai provate.
Il libro nasce da questa volontà?
Nasce della mia esperienza di frequentatore di Trigoria, prima con le radio locali e poi con Sky, ma l’idea è di Gianluca Di Marzio, responsabile della collana sportiva di Cairo Editore che aveva già realizzato Milanello con l’amico e collega Peppe Di Stefano e poi ha chiesto a me, che a Trigoria sono arrivato nel 1994, con Mazzone. È stato un grande piacere e un grande privilegio raccontare il lunghissimo percorso iniziato nel 1979.
E continuato fino a oggi…
Si va dalla fine degli anni ‘70 a quasi i giorni nostri. Dico quasi perché mancano i giorni nostri. Il calcio di oggi io non l’ho voluto raccontare perché non vuole essere raccontato, e così ho fatto un passo indietro. Oggi non è possibile vedere gli allenamenti né interagire con le persone, è il calcio delle barriere, il calcio che vuole prendere le distanze da chiunque, e io tranquillamente le prendo. Volentieri. Senza andare verso chi non vuole essere raccontato.
Come è cambiato il vostro lavoro?
Ci ho tenuto in maniera particolare a evidenziare le differenze del calcio di allora con quello di oggi. Prima si stava lì, dentro, il lavoro era più prezioso, più ricco. C’era un piccolo ufficio dove i giornalisti potevano stare tutto il giorno, ti potevi avvicinare e parlare con qualcuno. Se negli anni ‘80 compravi cinque giornali, sentivi due radio e due programmi tv vedevi che c’era la capacità e la possibilità di personalizzare il tuo lavoro, oggi c’è una omologazione terribile perché tutto questo è stato spazzato via da un racconto mediato. Dalla direzione alla comunicazione, allo staff tecnico, alla fine rimane una velina che viene distribuita a tutti. Mi dispiace per i lettori, e provo nostalgia per quando ero ragazzo, quando potevo leggere cinque cose diverse, adesso se leggo un articolo o dieci è lo stesso, è tutto uguale. Una involuzione che racconto partendo da diversi spunti, che ci fanno capire quanto sia stato profondo questo cambiamento, diversi episodi, come quelli di Bruno Bartolozzi e del collega de “Il Messaggero” Mimmo Ferretti, che mi ha aiutato tantissimo, che una volta invitò a cena a casa sua, dalla madre, Ancelotti e altri tre o quattro titolari della Roma.
Cos’altro manca nel libro, qualche litigata?
No, anzi, ho dovuto fare una selezione. Non ho potuto parlare della parte a luci rosse, perché si dovrebbero fare i nomi, avere le prove, altrimenti poi chiamano gli avvocati. Ma ce ne sono di storie di buchi nelle porte, per fare entrare e uscire, di gente che spariva per ore e allenatori che chiudevano un occhio.
Dalla tv alla pagina, come è cambiato il modo di raccontare il calcio?
È il primo libro che scrivo, e non sono mai stato nella redazione di un giornale, a parte, da ragazzino, al “Corriere laziale”. Ho sempre fatto televisione e negli anni mi sono adeguato a un certo tipo di comunicazione diretta, un linguaggio che ho riproposto qui senza difficoltà, usando il presente storico e frasi brevi, per adattarmi alla modalità con cui vengono decifrati i libri oggi. Io sono un grande lettore di romanzi, di classici, ma capisco che se vuoi rivolgerti a tutti, anche ai più giovani, devi usare un linguaggio diverso, più ritmato.
Coerentemente con la tua tesi di laurea su “Il racconto giornalistico dalla tv allo smartphone”. Strumenti nuovi, come i lettori di ebook...
No per carità, carta tutta la vita. Quando ho mezza giornata di riposo a me piace proprio andare nelle librerie di Roma, in due o tre in particolare, e passare il tempo a scegliermi i libri, le copertine. Non uso Amazon, non uso Kindle, mi piace proprio il rapporto fisico con la libreria e con i libri.
Quali?
Sono un onnivoro. Mischio un po’ i classici - tempo fa ho riletto Anna Karenina, meraviglioso - ai noir, dei quali sono appassionato. La mia lettura ideale è la trilogia di Marsiglia (o Trilogia di Fabio Montale, ndr) di Jean-Claude Izzo.
E dopo Trigoria – La tana dei lupi? Altri libri “nel cassetto”?
Essendo padre di un figlio di 19 anni che gioca a calcio da quando ha 6 anni, mi piacerebbe scrivere un libro sui difetti, i pregi, le manie e le follie del calcio giovanile.
Un mondo nel quale ha mosso anche i passi da calciatore, in passato?
Sono sempre stato nel calcio. Da calciatore dilettante ho sempre giocato in squadre tra Lazio e Abruzzo, fino alla prima categoria. Ero un discreto centrocampista, magari un po’ lento, un Paredes del Prenestino. Parlando con amici calciatori dico sempre che ho avuto poche fibre bianche, che sono quelle che ti danno velocità, altrimenti...