
Asciutto e lineare, senza troppa emotività, senza fuochi d’artificio espressivi, Peter Cameron scrive via e-mail in modo molto diverso da come ci ha abituati con le sue storie ricche di colori, irresistibili, ironiche, quasi barocche. Poco male, i suoi splendidi romanzi e i suoi racconti – tutti incentrati sull’animo umano, sulla percezione sociale, sui rapporti interpersonali e sulle visioni a proposito della realtà che ci circonda – parlano da soli. E lui parla con Mangialibri.
Vogliamo parlare dell’apparente semplicità della tua scrittura? Il modo in cui dai vita alle storie e ai personaggi sembra assolutamente spontaneo: il processo creativo è davvero così immediato o è il risultato di un taglia-e-riscrivi continuo?
Sono contento che la mia scrittura sembri immediata e spontanea, ma invece è davvero un lavoro laborioso e difficoltoso per me. Impiego moltissimo tempo pensando ai personaggi e alla storia prima di cominciare a scrivere e sono costantemente preso nel riscrivere, rivedere ed editare mano a mano che i miei sforzi si concretizzano nella stesura del libro.
Un giorno questo dolore ti sarà utile è considerato il tuo migliore romanzo, almeno finora. Come sei riuscito ad esprimere le sensazioni di un ragazzo appena maggiorenne? Immagino non sia stato semplice, anche se James è più maturo della sua età anagrafica...
James è probabilmente il personaggio che mi somiglia di più, intendo dire che è quello più vicino al mio modo di vedere e percepire le persone e il mondo. Naturalmente c’è sempre qualcosa di me nei miei personaggi ma James è qualcosa che va oltre. Forse è proprio grazie alla connessione che ho con lui (come personaggio) se risulta essere così reale. Credo comunque di essere uno scrittore di fiction dal momento che mi piace scrivere di chi è comunque differente da me per sesso ed età.
Il libro è stato scritto dopo l’11 settembre 2001. Hai scelto di esprimere, attraverso James, un’opinione riguardo quel giorno ed è un punto di vista molto personale, fuori dal coro. È la tua idea a riguardo o solo una tra le tante possibili?
Ho semplicemente voluto esplorare, almeno un po’, il modo in cui James ha vissuto l’11 settembre anche per il significato che quella data aveva ed ha per lui. Non credo si tratti di un giudizio, piuttosto di uno dei tanti elementi della storia che si legano ad altri.
Un giorno questo dolore ti sarà utile sta per diventare un film. Ne sei contento? Che cosa ne pensi di The city of your final destination di James Ivory tratto dal tuo Quella sera dorata? Cosa pensi in generale del delicato passaggio da libro a film?
Credo che film e romanzi siano forme ben differenti: sono fatte diversamente, sperimentate diversamente e ottengono i loro effetti attraverso varie modalità quindi non credo che i film tratti dai miei libri abbiano molto a che fare con me anche se so che questo può farmi conquistare più lettori, dunque ne sono felice.
Hai lavorato per otto anni per il fondo Lambda, in difesa di lesbiche, gay e malati di HIV. Potresti spiegare ai nostri lettori l’importanza di questo impegno?
Non lavoro più per Lambda ma sono contento di averne fatto parte negli anni novanta. Ho recentemente lavorato per un’altra associazione no profit, la Trust for Public Land, che conserva e protegge gli spazi aperti in modo che possano essere a disposizione del pubblico. Credo che questa parte della mia vita sia importante, soprattutto per uno come me, uno scrittore fondamentalmente stanziale e solitario.
Leggendo i racconti di Paura della matematica sembra che siano abbozzi di romanzi abortiti, quasi tu avessi avuto un’idea, ne avessi scritto e poi ti fossi fermato, scegliendo la forma del racconto breve. Giusto o no?
Questo non è il modo in cui ho affrontato la stesura dei miei racconti. Volevo sembrassero completi e autonomi, anche se naturalmente brevi. Credo che racconti e romanzi abbiano diversi focus e ritmi e possano pertanto soddisfare diversi tipi di lettori, in molti modi.
Quella sera dorata è un romanzo molto teatrale. Lo avevi pianificato sin dall’inizio o è qualcosa che si è sviluppato autonomamente?
Non ero conscio della teatralità del romanzo mentre scrivevo, anche se in fondo in fondo ne avevo il sentore. Ero certo cosciente dello sviluppo della trama attraverso i dialoghi e questo è un aspetto che avevo strutturato, ma la mia idea originale era molto diversa e molto più teorica. Volevo esplorare la natura della biografia, come si vive la vita, come la si ricorda e la si registra. Alla fine però mi sono accorto che quello che mi stava davvero a cuore era la storia umana in sé e dunque ecco perché il romanzo è diventato più teatrale.
Quali sono i tuoi scrittori preferiti?
Denton Welch, E. M. Forster, Elizabeth Bowen, Muriel Spark, James Salter, William Maxwell, Colm Toibin e mmm... Amy Hempel.