
Pierre Jarawan è un giovane scrittore nato ad Amman, in Giordania, da padre libanese e madre tedesca e vive in Germania dall’età di tre anni. Il suo romanzo di esordio nel 2016 in patria è diventato un bestseller, venendo quindi tradotto in molte lingue tra cui l’italiano grazie a SEM. Lo abbiamo incontrato proprio nella bellissima sede dell’editore milanese e abbiamo parlato con lui di Libano, di Germania, di radici… ma anche di futuro.
Quanto c’è di autobiografico nel tuo Là dove crescono i cedri?
Dal lato della trama in sé e per sé, certamente si tratta di fiction. Per esempio mio padre non è mai scomparso. Amo la fiction ma sono altrettanto convinto che non si possa scrivere nulla senza essere influenzati dal proprio background. Questo libro ad esempio è ricco di odori e di sapori e certamente questi sono ricordi assolutamente miei. Un’altra somiglianza tra me e il protagonista Samir è la concezione che entrambi avevamo del Libano e che ora abbiamo dopo essere cresciuti. Il Libano dell’infanzia era un paese da fiaba, una visione romantica della realtà. Crescendo e studiando la situazione ci siamo entrambi resi conto che la situazione non è così idilliaca ed è molto più complicata di quanto si pensi.
Questo drastico cambio di prospettiva che cosa ha comportato quindi nella tua vita?
Penso di avere una visione più realistica del Libano e della vita in generale. La bellezza del Paese c’è sempre e non se ne andrà mai, ma ora sono più consapevole anche di tutte le brutture causate da giochi politici e da una scellerata gestione dell’economia che spesso sfocia nella corruzione. I conflitti sociali fra i diciotto gruppi religiosi del Paese poi ancora permangono nonostante il tentativo di riappacificazione. Quindi fondamentalmente sono passato da una visione romantica a una più concreta.
Si dice che la storia sia sempre scritta dai vincitori. Per chi volesse approfondire le vicende narrate nel tuo romanzo quali sono le fonti che suggeriresti di consultare? Dove sta la verità? Come è possibile conciliare punti di vista così differenti su una stessa vicenda?
Questo detto si può applicare a qualsiasi altra realtà salvo il Libano, dato che ancora adesso si stenta a comprendere chi veramente siano i vincitori e chi i vinti. Io credo che la radice di tutti i problemi in Libano stia proprio nel fatto che non si riesca nemmeno a mettersi d’accordo su fatti storicamente accaduti. Mi chiedo quindi come ci si possa mettere d’accordo sul futuro con queste premesse. È un dovere morale affrontare il passato con sincerità al fine di prevenire che certe brutture riaccadano.
Torni spesso in Libano? Quali sono le differenze rispetto ai ricordi d’infanzia?
Sì, tutta la mia famiglia paterna è ancora là. Adesso osservo tutto con occhi diversi - più analitici - e cerco di interrogarmi su tutto quello che mi si para davanti. Se ad esempio giro per Beirut e vedo un edificio sorvegliato da uomini armati, in passato non ci avrei nemmeno fatto caso mentre adesso mi domando subito che cosa si celi dietro quelle porte e perché sia così ben difeso. Un altro sentimento che provo spesso è la rabbia perché il Libano è uno dei Paesi più belli del mondo, con splendide montagne su cui sciare e spiagge fantastiche, ma i suoi abitanti non hanno il minimo rispetto per bellezze simili. Basti vedere i cumuli d’immondizia agli angoli delle strade.
Come definiresti il Libano in tre parole?
Caos, bellezza e resilienza per tutte le volte che questo Paese è caduto e si è rialzato subito dopo.
Quali sono secondo te gli errori dell’Occidente nei confronti del Medio Oriente?
Dal punto di vista storico gli accordi Sykes/Picot del 1916 hanno contribuito molto all’instabilità dell’area. Poi c’è sicuramente una forte arroganza da parte dell’Occidente nel trattare il Medio Oriente come una parte sottosviluppata, quando invece ha secoli di storia incredibile. In ogni caso non voglio assolutamente scaricare tutte le responsabilità sul mondo occidentale visto che anche le popolazioni dell’area hanno avuto e hanno grosse fette di responsabilità per quanto riguarda la situazione attuale.
E in maniera spiccia quale soluzione proporresti per portare un po’ di pace e sollievo nell’area?
Non sono sicuro che ci sia una sola soluzione, una sola risposta. Ci sono sempre molteplici soluzioni per svariati problemi. Per quanto riguarda il Libano forse la cosa più auspicabile ma allo stesso tempo più difficile da realizzare è sicuramente il cambio radicale dell’intero impianto politico del Paese. Con questo tipo di costituzione che assegna in maniera fissa a ciascun gruppo religioso un ruolo da ricoprire, avremo sempre le stesse famiglie al potere per decenni. Ci sono sempre gli stessi nomi in ballo dalla fine della guerra. Altro ruolo fondamentale dovrebbe essere svolto dai rifugiati palestinesi nel Paese, a cui darei personalmente più responsabilità.
Grazie per questo lungo excursus storico e politico che però ritengo necessario per comprendere al meglio la trama del tuo romanzo. Ora passerei a domande un po’ più di ambito squisitamente letterario. Tu scrivi in tedesco o arabo?
Grazie a te , è sempre bello conversare con qualcuno così preparato sull’argomento. Per quanto riguarda la tua domanda compongo tutto in tedesco. Purtroppo in casa non si parlava tanto l’arabo e questo mi è sempre dispiaciuto molto. Lo capisco abbastanza bene, posso sostenere una conversazione facendomi capire, ma non sarei in grado di scrivere in arabo.
Come cambierebbe la tua scrittura se potessi esprimerti in arabo?
Sarebbe una grande fortuna perché non mi sentirei più un turista, per così dire. Ancora adesso, quando mi reco in Libano, ci sono momenti in cui devo necessariamente esprimermi in inglese perché mi mancano alcune parole o alcune espressioni e se invece sapessi l’arabo in maniera completa potrei immergermi totalmente nelle atmosfere che mi circondano come un autoctono.
Che differenze riscontri nella produzione letteraria occidentale e in quella mediorientale?
In Germania ad esempio io vengo definito un narratore mediorientale, quasi esotico, e credo che questa sia una definizione così stereotipata… Semplicemente leggendo la biografia di un autore automaticamente si proiettano nella lettura gli stereotipi che ognuno porta dentro di sé. Potrei utilizzare lo stesso stile per una storia ambientata a New York e a quel punto non verrei più visto come esotico, pur scrivendo nella stessa identica maniera. Io personalmente sono molto influenzato dai classici della letteratura statunitense, dato che mi piace giocare molto con il pathos e la suspense durante il racconto. Detto questo, una caratteristica che posso riscontrare nella letteratura mediorientale è certamente l’influenza dei racconti orali che spesso si ritrovano tra le pagine, anche di libri molto celebri.
Quali sono quindi le tue influenze principali? Cosa ti piace della narrazione di scuola anglossassone?
Quando leggo un romanzo americano o inglese nella maggior parte dei casi leggo una storia di finzione che può essere più o meno convincente, ma in ogni caso trovo sempre un setting storico preciso e ben costruito. Capisco subito “dove” e “quando” mi trovo. Posso leggere di un’epopea familiare ma al contempo imparo sempre qualcosa del contesto e del background in cui questa storia è ambientata.
Stai lavorando a qualcosa di nuovo al momento?
L’anno scorso in Germania è uscito il mio secondo romanzo, A song for the missing, che è stato pubblicato anche in Olanda e Francia. Spero possa arrivare anche in Italia. Anche in questo caso si tratta di un romanzo ambientato in Libano, ma più critico e più polemico nei confronti della politica e parla delle 17.000 persone scomparse di cui nessuno sa più nulla e di cui nessuno vuole parlare.