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Intervista a Pina Piccolo

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Incontro Pina Piccolo a Venezia, in Campo San Maurizio, all’interno dello spazio Micromega, nel corso della presentazione delle poesie dell’autrice africana Sheilja Patel.




Cara Pina, come preferisci essere etichettata? Poetessa, performer, intellettuale, autrice? Quale definizione trovi più confacente al tuo modo di essere?
Mah, davvero mi sento di essere una persona che tra le tante cose scrive e fa attivismo culturale. Non sono una grande fan di etichette e dualismi e credo che una persona non possa essere definita sulla base del lavoro che svolge. Io per vivere faccio la traduttrice, mentre le tante attività che svolgo le faccio per senso di dovere, come essere umano che si trova a vivere nel 2018 e che nel corso della sua vita, grazie a un particolare ecosistema di cui si è trovata a far part, ha sviluppato certe competenze di analisi e di scrittura. Non direi neppure che lo faccio per passione, lo faccio perché dentro di me si innesca spesso un senso di giustizia e di rabbia.

Per anni hai vissuto negli Stati Uniti e poi hai deciso di tornare in Italia: quali sono stati motivi della tua scelta?
Diciamo che di scelta non si può propriamente parlare, nel senso che gli orizzonti delle opzioni pratiche sono sempre limitate. Avevo delle competenze linguistiche mi consentivano di guadagnarmi il pane anche in Italia ed ho deciso di spostarmi. Comunque non nutrivo alcuna illusione sul tipo di situazione culturale ed umana che avrei trovato in questo Paese (sono tornata sotto Berlusconi!!! E negli Stati Uniti non era ancora l’epoca di Trump, ma di Bush figlio). Non rientrando nella schiera di persone alla ricerca di radici (sono cresciuta in Italia dai 5 ai 15 anni quindi avevo una doppia identità per così dire ‘nazionale’), non tendevo a idealizzare l’Italia, la consideravo un po’ meno peggio del luogo che lasciavo. Credo di essere giunta alla conclusione, che a prescindere da dove si viva, l’importante è trovare cerchie di persone che sono egualmente critiche e insoddisfatte e con esse cercare di cambiare le cose con i mezzi che si hanno a disposizione. Adesso per fortuna ci sono i social che consentono contatti frequenti e con tantissime persone.

Com’è la realtà culturale italiana vista “da fuori”?
Sintetizzando e generalizzando, quindi con la consapevolezza di falsare un po’ le cose, direi che la situazione è contraddistinta dalla stasi, dal peso della storia e dalla incapacità e mancanza di volontà di scollarsi dall’800 e dal 900 e guardare in faccia il 21esimo secolo con tutte le sue problematiche ed inquietudini.

A quale pubblico si rivolge la rivista on line “La macchina sognante” della quale sei direttore editoriale?
“La macchina sognante” ha un pubblico molto eterogeneo, come pure eterogenea è la sua composizione redazionale. La nostra linea editoriale, visto che saremmo una sorta di collettivo, non ha definizioni troppo nette, altrimenti è evidente che non potremmo stare insieme. Nessuno di noi ama smodatamente i manifesti, i redattori e le redattrici variano in età dai 32 ai 69 anni, con delle esperienze culturali molto diverse, con una maggioranza, per fortuna, di trentenni, molti dei e delle quali sono fuori Italia o vengono da fuori. Dal mio punto di vista personale, vedo questo contenitore rivolto a un’Italia come sarà tra vent’anni, con i giovani figli di immigrati che si saranno in qualche modo integrati mantenendo le proprie differenze e arricchimenti culturali e quelli che erano i ‘giovani’ italiani emigrati alcuni dei quali saranno ritornati portando con loro la loro esperienza di fuori. La mia generazione, per fortuna, se ne sarà nel frattempo andata e questa situazione demografica anomala che rende l’Italia la seconda nazione più vecchia al mondo, sarà per fortuna cambiata. Forse per questa sua composizione anomala rispetto ad altre riviste “La Macchina Sognante” riesce ad offrire proposte letterarie e culturali un po’ diverse da quelle che si vedono in giro.

Come performer hai di recente formato un gruppo assieme a Irene de Matteis e Marco Papa battezzato “Mangiasciumi”, che significa questa parola?
Mangiasciumi, declinato in varie maniere nelle province calabresi significa prurito. E come si sa quando si ha il prurito bisogna grattarsi con le proprie mani, perciò uno stimolo sia all’azione sia ad agire in prima persona, in un paese dove la delega è il modus operandi più diffuso. Poi mi diverte il fatto che la parola non appartiene al campo semantico del sublime… in chiara controtendenza ai nomi che si danno alle cose di poesia. Mi sembra che appartenga di più a una sensibilità punk, mi vengono in mente Patti Smith e Joe Strummer. La dissonanza cognitiva…

Quale reale motivazione ti ha spinto alla pubblicazione della raccolta di poesie I canti dell’interregno in italiano?
Le ho pubblicate in italiano perché si tratta di poesie scritte e pensate, nell’arco di 40 anni, in italiano. Le mie poesie scritte in inglese sono molto diverse e rispecchiano quella persona che sono in inglese Insomma… Dr. Jekill e Mr. Hyde, per intenderci.

Un tema che ti è caro, sia nella raccolta di versi che hai appena pubblicato e sia nelle pubblicazioni della rivista “La macchina sognante” è quello dell’emigrazione, ritieni che non si parli abbastanza di questo argomento?
Penso che in realtà se ne parli anche troppo ma molto male e negando la parola ai diretti interessati. per questo nel contenitore che dirigo dedichiamo ampio spazio alle scritture che provengono da persone che la migrazione la vivono o l’hanno vissuta, non specialisti italiani che ne ragionano e ne lucrano.

Quale autore straniero (poeta o scrittore) ti piacerebbe tradurre in questo momento nella nostra lingua?
C’è l’imbarazzo della scelta, ci sono interi continenti come l’Africa e l’Asia la cui produzione letteraria è stata appena sfiorata. Intere regioni geografiche che detteranno il nostro futuro, ma che da bravi eurocentristi non vediamo. Se vai nella rivista online www.thedreamingmachine.com vedrai che ci sono molte voci che arrivano da quei continenti e che si conoscono tramite il mondo anglofono.

E quale autore italiano presenteresti con piacere a Berkeley, in California, nel dipartimento universitario dove hai lavorato?
Tra le poete presenterei Nadia Agustoni, Lucia Cupertino, Maria Luisa Vezzali e Renata Morresi, tra le autrici di narrativa presenterei scrittrici giovani ma che hanno molto da dire come Lucia Grassiccia, per la saggistica non vedo l’ora che Reginaldo Cerolini raccolga i suoi scritti e si dia un po’ di spessore alle questioni di razzismo, migrazione, generi. Volutamente presenterei più donne per una chiara volontà di riequilibrare il rapporto in favore di voci che in letteratura tardano a manifestarsi.

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