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Intervista a Riccardo Arena

Riccardo Arena
Articolo di

I libri irrompono nella vita di una persona nel modo più impensato, ma quello che preferisco è di gran lunga il consiglio da parte di una persona che stimo. Così è stato, e allora ho assaggiato fiduciosa Quello che veramente ami nonostante avessi storto il naso per il titolo a mio avviso un po' sdolcinato. Leggo e faccio bene, la storia mi prende, e la curiosità di saperne di più cresce. Domandare è lecito, rispondere cortesia, si sa, ma da dove comonciare? Cerco su FB e guarda caso trovo l'autore, ne chiedo l'amicizia, poi scatta uno scambio di messaggi. Poi perchè non rendere pubblico tutto questo?


 

Sei un giornalista, le parole sono la tua quotidianità... com'è andata l'esperienza con un libro come Quello che veramente ami?
Le parole sono scalpelli per scolpire e modellare le storie. Credo di avere imparato, scrivendo questo mio primo romanzo e soprattutto sforzandomi di leggere tanto altro, che si deve veramente ragionare, studiare, soppesare, modellare ogni pagina. Cosa che nella quotidianità e nella fretta del lavoro da giornalista non sempre è possibile fare. Con Quello che veramente ami ho fatto un’esperienza, mi servirà per migliorare. Nel prossimo libro, se ci sarà.

 

Perché gli anni Settanta sono ancora lì presenti, monolitici, a far parlare di loro?
Perché forse sono la coscienza di questo Paese, che ancora si specchia nella sua storia controversa, la storia di un Paese diviso, di vittime e carnefici, di governanti deboli e incapaci e di Uomini di Stato con la u maiuscola, di colpevoli che hanno espiato e di furbetti che l’hanno fatta franca. Ma anche la storia di un sogno collettivo, quello di cambiare la realtà partendo dal basso. Sogno che è finito male, mi sa. Come molti sogni.

 

Si scrive con la disciplina o col cuore? La scrittura secondo te è un mestiere o un'arte?
Una via di mezzo. Credo sia un mestiere da artigiani, ma di quelli bravi che c’erano una volta, capaci di trasformare ogni loro creatura in una piccola opera d’arte. Persone da cui si imparava "guardandogli le mani". E poi io credo molto alla scrittura "ispirata": ma se mancano la tecnica e la disciplina, chi ti legge non ti segue.

 

Quanto c'è di vero nel libro? Hai conosciuto davvero un Enrico, una Monica?
La storia è ispirata a due persone a me molto care, che si amarono negli anni ’70, a Milano, e si lasciarono negli anni ’80. Ma la figura del protagonista maschile è in realtà legata anche a quella di un "camerata" siciliano, su cui però, per ragioni di sua riservatezza, non posso dire altro. Anche perché nemmeno lui sa di essere "il mio" Enrico.

 



La Sicilia è protagonista almeno quanto i tuoi personaggi. Che rapporto hai con la tua terra?
Un rapporto di amore e odio, forse, ma più amore che odio, specie per le zone del Ragusano in cui sono ambientate parecchie "scene" del romanzo. Sono le zone in cui sono cresciuto, anche se solo durante le vacanze estive. Penso, come Paolo Borsellino, che bisogna amare profondamente questa terra per cambiarla.

 



Alla fine della stesura di questo libro è cambiato qualcosa in te?
Sono rimasto sempre lo stesso, con la mia filosofia di vita: e dunque mi sono convinto che poteva andare meglio ma anche peggio. E credo che scriverò ancora, se ne avrò il tempo.

 

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