
Il sabato al Salone Internazionale del Libro di Torino è una esperienza che ogni giornalista del settore dovrebbe fare almeno una volta nella vita, così che poi possa ricordarsi che ci si deve andare solo i giorni prima o i giorni dopo. A ogni modo dopo aver salutato colleghe e colleghi, aver fatto finta di non vedere autori che mi urlavano da lontano per farsi sentire tra la moltitudine: “Quando esce la recensione del mio libro?” e viceversa rincorso autori che invece mi sfuggono da tempo, finalmente riesco a trovare un salottino vuoto e invio un messaggio whatsapp a Francesca dell’Ufficio stampa Iperborea. Le dico che sono pronta per l’intervista a Roy Jacobsen e dove trovarmi. Un secondo dopo arriva una delle hostess che curano gli spazi dei salottini e mi dice che devo spostarmi perché quella location è prenotata per un altro evento. “Ma io ho una intervista importante per Mangialibri con un autore internazionale!” le dico tra il disperato e il supplichevole e… arriva il miracolo. La sua collega dice: “Ah Mangialibri! Salutami David Frati, allora”. E subito dopo dividono lo spazio esattamente a metà, lasciandomi un tavolino e due poltrone (giuro che è tutto vero!). Ma le difficoltà non sono finite e quando arriva Jacobsen con Francesca comprendo che lei deve scappare e io non parlo né norvegese, né tedesco e il mio inglese è da asilo Mariuccia. Per cui stessa scena di sopra, supplicante e disperata convinco l’addetta stampa di Iperborea a farmi da traduttrice e quella santa ragazza accetta. Così scopro che Roy Jacobsen è un signore divertente, socievole, che ama mostrare ai giornalisti la foto dei suoi nipotini e della sua casa per le vacanze e che dietro allo scrittore nordico raffinato e serioso c’è un uomo adorabile che tutti vorrebbero avere come parente o amico.
Si fa presto a dire romanzo di formazione. Poi però un romanzo deve anche emozionare e coinvolgere chi legge e il tuo Gli invisibili ci riesce assolutamente, grazie anche al personaggio di Ingrid. Chi è questa donna? Esiste sul serio? A chi ti sei ispirato?
A tante donne della mia famiglia, comprese mia moglie e mia figlia, ma soprattutto mia madre. Lei è nata e cresciuta proprio in un’isola come quella di Ingrid, quella di questo romanzo. Anche lei, anche mia madre, avrebbe potuto essere Ingrid proprio all’epoca in cui vengono narrati i fatti de Gli invisibili.
E allora parliamo dell’ambientazione. Una Natura potente e determinante, tanto da poter addirittura influire sui destini dei protagonisti. E anche oggi - negli anni Venti del Duemila – le isole Lofoten sono ancora viste come un luogo incontaminato. Tu cosa ci puoi dire di questo?
Parto con il dire che essere isolati come lo sono i protagonisti del mio libro o come lo si può essere ancora oggi in qualche parte delle Lofoten fa dipendere inevitabilmente e completamente dalla Natura. Per questo nel mio romanzo i protagonisti sono così bravi a sfruttare tutto quello che viene dal mare. La loro sopravvivenza dipende da luogo che li circonda e dalla loro capacità di arrivare a un compromesso con quell’ ambiente, il loro isolamento è una condanna e insieme una sfida. Forse è questo che rende l’ambientazione di questo romanzo così affascinante per i lettori. Affascinante come può essere un luogo che fa paura e attrae allo stesso tempo.
L’isolamento dei tuoi protagonisti però appartiene a un mondo che di fatto è scomparso. Loro erano “invisibili” perché vivevano in una epoca priva di tecnologia e senza social network. Se fossero vissuti in questo tempo pur abitando su una isola piccola avrebbero potuto essere comunque connessi con il resto del mondo. I protagonisti del tuo libro invece appartengono a un tempo passato, come quelli de La montagna incantata di Mann o di Piccolo mondo antico di Fogazzaro. E quindi ti chiedo: che sfida è stata per te parlare di un mondo che di fatto non esiste più?
La verità è che i giovani norvegesi sembrano essere molto affascinanti da queste cose. Anzi, sembrano apprezzare i racconti dei nonni che parlano della grande sfida di vivere in un mondo privo delle tecnologie attuali, di poter basare tutto su rapporti reali con persone veramente conosciute. E quindi per me non è stata una vera sfida perché per un romanzo di formazione come Gli invisibili comprendere che scrivere di qualcosa di antico che le nuove generazioni anelano a conoscere e con cui non hanno paura di confrontarsi è stato invece del tutto stimolante. Mi rende orgoglioso e felice, avere lettori giovani.
Tu hai una prosa limpida, scorrevole, piena di armonia. Come è cambiata la tua scrittura nel corso degli anni e ti riconosci ancora nei tuoi primi romanzi?
Non ho mai smesso di lavorare sul mio stile e sulla mia scrittura. Il mio faro è sempre stato attenermi alla realtà. Volerla raccontare. Perché se si racconta la realtà allora non si corre mai il rischio di diventare banali: così quando mi trovo a rileggere me stesso finisco sempre per riconoscermi e questa cosa mi dà una grande gioia.
Dove ti piace metterti a scrivere? Ce lo hai un posto del cuore dove solitamente componi o dove semplicemente ti siedi a raccogliere le idee?
Certo che sì! Oltre alla mia casa di Oslo ho una casetta su un’isola dove mi trasferisco per quattro o cinque mesi l’anno proprio per scrivere e lì sono circondato dal colore blu del mare e del cielo e dal colore verde della natura e tutto questo non può non influire sui miei scritti e sulle ambientazioni dei miei romanzi. È questo il mio luogo da scrittore, ed è qui che amo sempre tornare.