
Ho in mano la mia copia del loro ultimo romanzo, scovata in una biblioteca di un paesino di cui ignoravo pure l’esistenza (ci ho messo un po’ a trovarla, ovunque era già in prestito, ma il bibliotecario di San Leonardo in Treponzio mi ha salvata). Volevo leggere l’ultimo lavoro della coppia Malvaldi-Bruzzone prima di questo incontro e prima di acquistare la mia copia con dedica in libreria. Marco e Samantha arrivano in compagnia dell’amico e scrittore Stefano Tofani, introdotti dalla organizzatrice e padrona di casa Gina Truglio. Ad attenderli, un bel pubblico e tre poltroncine incorniciate dal soffitto a spiovente della libreria Ubik di Lucca, in un angolo che ricrea la giusta intimità per raccontarsi storie e aneddoti personali. Perché con i toscani è sempre un po’ così: come amici al bar si finisce a chiacchierare e, in questo caso, non per forza (solo) di omicidi!
Il gioco e il divertimento sembrano essere elementi molto presenti nei vostri lavori. Samantha ha progettato giochi di società e molti dei libri del BarLume contengono nel titolo nomi di giochi come briscola, battaglia navale, bocce, il telefono senza fili. Un gioco sia per voi che scrivete, sia per noi che leggiamo…
Samantha: È decisamente così. La nostra idea è divertirci e divertire chi legge. Quando costruiamo una storia, all’inizio è proprio un divertimento montarla, discuterne di solito a cena o prendendo un aperitivo. Noi quando ci rilassiamo uccidiamo qualcuno. Anche nostro figlio, di tredici anni, ogni tanto arriva e ci dice “Babbo, sai mi sarebbe venuto in mente un buon modo per uccidere una persona…” ovviamente in situazioni improponibili. Per noi, riuscire a creare qualcosa di logico e credibile che possa risultare un enigma interessante per il lettore è un gioco, una sorta di scommessa.
Marco: Il modo migliore di imparare è giocando. Il gioco è una delle più alte espressioni di intelligenza perché permette di mettere in relazione corpo e mente con qualcosa che non esiste se non per una convenzione stabilita, fatta di regole concordate. È una di quelle cose che funzionano perché siamo tutti d’accordo e questo lo trovo molto bello.
Tutto nasce come un gioco, ma il divertimento e l’ironia non precludono la possibilità di trattate problematiche sociali di rilievo come avete fatto, ad esempio, in Chi si ferma è perduto. La donna divisa tra famiglia e mondo del lavoro, il bullismo…
Samantha: Sicuramente la gestione della famiglia, completamente a carico della donna è un problema. Lo sono anche la mancanza di scuole nei piccoli paesi. Serena e Virgilio (i protagonisti di Chi si ferma è perduto, ndr) sono costretti a mandare i figli alla scuola gestita dalle suore perché non hanno scelta.
Volendo invece parlare di un altro tipo di “problema sociale”, ci raccontate un po’ da dove nasce la figura della suocera?
Marco: Sono felice che finalmente si riconosca che la suocera è un problema sociale.
Samantha: La suocera è ispirata ad una professoressa di matematica del liceo di Marco che, a detta sua, era particolarmente perfida. Rigida oltre misura, era solita dire “Io ho fatto il ’68. Dalla parte giusta”. Nel libro le attribuiamo un nome particolare.
Marco: Si chiama Augusta e viene ribattezzata Pino, diminutivo di Pinochet. Vive una vita ispirata alle regole del simpatico dittatore cileno. Questa scelta deriva da un aneddoto particolare, legato ad una figura con cui collaboravo tramite la mia casa editrice. A quanto pare riteneva sua suocera una personalità abbastanza fastidiosa dato che aveva selezionato come foto del profilo (quella che compare quando si riceve una telefonata) il generale Pinochet. Scherzi a parte, è un dato di fatto che l’Italia sia una repubblica fondata sulle suocere e sulle nuore. Molto spesso se abiti in un paese dove l’asilo nido fa un orario dalle 9:00 alle 13:00, o lavori in un negozio che apre solo al mattino o da qualche parte i figli li devi lasciare. E questo è un aspetto che volevamo affrontare: si sente parlare di problemi riguardanti l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro e delle quote rosa ma prima di questo, occupiamoci degli asili nido. Perché far crescere un albero tirandolo dall’alto? Proviamo a lavorare sulle cause.
Questo libro contiene due novità: è il primo a doppia firma uscito con Sellerio e contiene un personaggio nuovo, una protagonista donna…
Samantha: Serena vive nella nostra testa da circa 5-6 anni. Marco aveva pubblicato l’n-esimo libro del BarLume e si era trovato un po’ a corto di idee. Ha cominciato a pensare ad un nuovo personaggio seriale e a fare ipotesi: professore universitario, prete di campagna… tutti personaggi già visti nel mondo del giallo. Sono intervenuta io chiedendogli il perché stesse pensando solo a uomini e non magari a una donna. Serena è cresciuta prendendo spunto da colleghe, vicine di casa, ma soprattutto da una nostra amica, Serena per l’appunto. Il super olfatto è una caratteristica che Marco si è divertito ad aggiungere. Abbiamo poi adattato l’intreccio al personaggio. Il libro è a doppio nome nonostante io volessi mantenere il brand “Marco Malvaldi”: porta bene e la scaramanzia, da chimici, va rispettata. Ma dopo aver letto il primo capitolo di prova, Antonio Sellerio ci ha chiamati dicendo di volere il nome di entrambi in copertina.
Marco: Marco Malvaldi è uno pseudonimo ormai da diversi anni, ci sono vari libri in cui Samantha ha sopperito alla mia mancanza di idee. Ci sono molte coppie di scrittori: in Italia la prima Sveva Casati Modignani, in Svezia - dove a quanto pare è un vezzo abbastanza diffuso - abbiamo Lars Kepler e Per Wahlöö, per esempio.
Molti scrittori sono scienziati e hanno una formazione di tipo scientifico. Come non citare Primo Levi, un vostro collega chimico, e il suo Il sistema periodico come testimonianza di questo connubio. Che relazione vedete voi tra chimica e scrittura?
Marco: la mentalità scientifica può aiutare la letteratura. Oltre a Levi, anche Asimov e Sherwood Anderson erano chimici. Ancora ci stupiamo che qualcuno non legato direttamente alla letteratura scriva, ci sembra che chimica e letteratura siano cose distanti. In realtà, entrambi sono metodi di ricerca di regole, di invarianti. Un’attitudine mentale volta a capire e descrivere elementi che accumunino gli esseri umani. I più grandi scrittori del Novecento esercitavano lavori al pubblico: Heinrich Böll faceva il controllore, Konstantinos Kavafis era impiegato in un ufficio reclami, Montale era un ragioniere. Proviamo a immaginare che calendario umano aveva a disposizione Kavafis.
Samantha: Noi siamo chimici teorici, ma spostandoci sulla pratica, all’interno di un laboratorio è importante anche la fantasia, per poter vedere la soluzione migliore, la più funzionale, la più economica. Molte volte il metodo lo devi inventare per arrivare all’obiettivo. Diversi chimici, anche tra i nostri colleghi, hanno riversato spesso questa creatività in altri campi. Abbiamo restauratori, costumisti, ufologi…
L’importanza di far ridere nei libri è sottovalutata e spesso l’ironia è interpretata come sinonimo di leggerezza. Noi sappiamo bene che non è così. È un’abilità difficile da imparare, direi che è quasi una facoltà innata. No?
Marco: Credo di sì. Samantha è la parte British. Io sono la parte Navacch (sono originario di Navacchio, una frazione nella provincia di Pisa). Ognuno ha il suo modo di far ridere. La capacità di far ridere deriva da come e dove cresci. Non la impari proprio perché probabilmente l’acquisisci mano a mano, a seconda del posto e delle persone con cui vivi. Per darvi un’idea, casa mia era frequentata da Giancarlo. Da bambini, io e mio fratello eravamo soliti lanciare gavettoni dalla finestra. La pratica ebbe un upgrade, passando alla coca cola fino ad arrivare un giorno ad un pentolino recuperato dalla cucina, contenente trippa. Mentre mio fratello stava per versarlo, Giancarlo lo bloccò: “No, no. Bisogna aspettare uno vestito bene”.
Samantha: chi scrive e mette le parole su carta è Marco. L’ironia è il suo marchio di fabbrica. Io vengo dalla Maremma, non sono pisana. Lì, ancor più che nel resto della Toscana, si ucciderebbe per fare una battuta. È proprio un vizio. La mia famiglia è sempre stata un po’ pazza, i miei genitori giocavano con gli amici in passeggiata a Follonica con le bocce immaginarie. Erano così credibili che la gente non attraversava lo spazio del campo di gioco e girava loro intorno.
Come coppia di scrittori, vi siete cimentati anche in pubblicazioni a tema scientifico rivolte a ragazzi, come La molla e il cellulare…
Samantha: Nostro figlio faceva confusione tra il concetto di invenzione e scoperta. È nato quindi questo tentativo di saggio scientifico al contrario, per ragazzi. Invece di raccontare i principi fisici per arrivare a capire il funzionamento del cellulare, partiamo dall’oggetto e immaginiamo di romperlo per analizzare le singole parti e il perché siano fatte così.
Marco: Anche questo deriva dall’esperienza personale. In terza liceo ero convinto che sarei diventato un fisico. Purtroppo, la mia professoressa di matematica mi traumatizzò con spiegazioni noiose: alla prima lezione di fisica iniziò a descrivere tutte e sette le unità di intensità luminosa. Roba da letargo degli orsi. All’epoca non lo sapevo, ma non era quella la fisica. Spesso succede così, nei saggi scientifici si finisce per spiegare giusto sette-ottocento cose che serviranno per capire il resto. Si ha tutto il diritto di addormentarsi tra le pagine. Ci è venuto in mente che Galileo, quando scrisse Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, per capire come funzionavano meccanicamente i materiali si chiese come potesse fare a romperli. Rompere è un ottimo modo per capire come sono fatte le cose.
In merito a questo, cosa ne pensate dei metodi di divulgazione scientifica alternativi ai testi cartacei, come i canali YouTube, i podcast, i fumetti? Mezzi recentemente adottati anche da ricercatori e scienziati per introdurre la scienza ai ragazzi e alla parte di popolazione generalmente poco interessata alla materia…
Marco: Ogni mezzo è buono. I podcast di Barbascura sono fatti effettivamente benissimo, contengono concetti ampi e sono divertenti. C’è però il rischio che in questo modo la scienza perda la sua riproducibilità. Mi spiego: un qualcosa diventa scienza nel momento in cui ne so abbastanza da poterlo riprodurre. Non è sufficiente ascoltare e dire “Uh, guarda: ganzo!”. Lo voglio rifare e voglio ottenere quel risultato. Questi mezzi aiutano sicuramente a diffondere un’idea più realistica dello scienziato. Non usciamo dalla bara alle 08:00 di mattina e ci rientriamo alle 20:00. Serve comunque qualcosa di più. Vi porto l’esempio di un testo di Hoffmann, Gli ingranaggi di Dio, che spiega in maniera comprensibile come possono modificarsi certi meccanismi del nostro corpo al variare di determinati parametri, come la temperatura. Bisogna stare attenti a dove finisce l’informazione e dove inizia la formazione. Si rischia di avere soggetti che si illudano di aver capito a sufficienza. Ti sei incuriosito? Bene, adesso però cerca un libro o dei video formativi di approfondimento.
Samantha: nella nostra esperienza vediamo che adesso Leonardo, tredici anni, utilizza molto i video proposti dai professori a scuola. Quelli di Barbero per la storia, ad esempio. L’aspetto negativo è che portano a imparare senza fatica, a subire passivamente l’informazione. La lettura di un libro porta via più tempo, richiede immaginazione e comprensione. Quello del “se me lo dici tu faccio prima”, “col computer faccio prima” è un atteggiamento adottato da molti ragazzi, un campanello d’allarme che rivela quanto questi strumenti possano portare alla pigrizia se non ben amministrati.