
Napoletana verace, studi linguistici e filologici alle spalle, insegnante di danza classica, fisico statuario e classica bellezza mediterranea. La prima cosa che ti viene in mente guardando Sara Bilotti è che sia una modella o un’attrice. Invece è una scrittrice. Ma è anche - e soprattutto! - una donna simpatica, ironica, con tanta voglia di raccontare e una gentilezza fuori dal comune. L’ho raggiunta via mail per scambiare qualche opinione sulla trilogia noir-erotica che ha visto il suo esordio per Einaudi. E su qualche altra cosa, strada facendo.
Pubblico e critica hanno espresso pareri diversi riguardo all’uscita de L’oltraggio e de La colpa; il primo ti adora (la maggior parte dei tuoi lettori ti segue costantemente sui social network, commenta, ti sostiene ed ogni giorno nascono gruppi di lettura della trilogia); la seconda ha espresso, talvolta, giudizi severi e forse affrettati. C'è ancora in Italia questo atteggiamento un po’ snob di chi si avvicina al genere erotico etichettandolo come “letteratura femminile” e considerandolo un frutto del sottobosco letterario. Come te lo spieghi?
Il discorso è complesso, bisognerebbe partire dalla definizione di “letteratura femminile”, etichetta piazzata sul nulla. Non esiste una letteratura femminile, esistono però fenomeni, come il successo mondiale delle Cinquanta sfumature, che sono nati grazie a autrici e a lettrici. E che, al di là dei soliti snobismi, sono spia di un bisogno. Rappresentano secondo me la punta dell’iceberg di un erotismo che nel tempo e con sempre maggiore raffinatezza può tornare a spiegare le donne, come accadeva con i libri di Erica Jong, o Anais Nin. Dici bene: talvolta la critica ha espresso pareri severi e affrettati sui miei libri, spesso senza neanche leggerli. Ma è vero anche che altri critici, solitamente restii a leggere questo tipo di letteratura, hanno espresso opinioni lusinghiere sulla trilogia. Questo è un bel segnale. Complimenti a parte (che fanno sempre piacere), credo sia venuto il momento di smettere di catalogare le storie, e di cominciare a parlare semplicemente di romanzi. Possibilmente, dopo averli letti.
In una recente intervista pubblicata in occasione dell’uscita sugli schermi italiani di Cinquanta sfumature di grigio, Tinto Brass ha affermato: “Penso che le donne si debbano emancipare solo da una cosa ancora: il sogno del principe azzurro. (…) L’uomo del romanzo in fondo chi è? È l’uomo ricco, potente, perverso, che ha un segreto. Anziché avere il cavallo ha i frustini. Ma siamo sempre lì: al principe azzurro”. Inguaribili romantiche?
Credo che nessuna donna, ormai, speri di incontrare il principe azzurro. Diciamo che, per fortuna, riusciamo a salvarci da sole. Il fatto è che si confonde spesso il bisogno reale con la fantasia erotica. Prendiamo ad esempio quella più comune, la più descritta in tutta la letteratura erotica: l’uomo decisionista, dominatore. È plausibile che le donne oggi desiderino essere sottomesse? No. Non nella vita di tutti i giorni. Ma la fantasia erotica ha ben poco a che fare con la vita vera. È ciò che è: una fantasia. E resta in camera da letto.
Se anche la tua trilogia arrivasse sul grande schermo, quali attori vedresti bene come protagonisti?
Beh, questo è un sogno serio! E allora sogniamo in grande: Brad Pitt interpreterà Emanuele, Johnny Depp Alessandro, ed Eleonora… pretenderò di interpretarla io!
Nei tuoi romanzi il sesso c’è, mai banale e volgare, ma fa solo da contorno a quello che – a mio giudizio – prevale nella storia: l’aspetto misterioso ed anche oscuro dei personaggi che ruotano intorno al microcosmo di villa Bruges. Perché sei così attratta dal lato nero dell’anima umana?
Perché il lato oscuro contiene secondo me la nostra parte più vera. Quella che tendiamo a nascondere, perché ci fa paura. Dovremmo invece conoscerla, accettarla, per riuscire a tenerla a bada. Negare il male non fa che nutrirlo.
Eleonora è una donna passionale, istintiva e talvolta non consapevole fino in fondo delle conseguenze che le sue azioni possono avere sulla vita di chi la circonda. Quanto c’è di Sara Bilotti in questo personaggio?
Moltissimo. Come lei, ho difficoltà a seguire un binario, e sono affascinata da chi pratica, con disinvoltura e apparentemente senza fatica, la disciplina. Da chi sa sempre in che direzione va il mondo, e come costruire il futuro.
Divori libri e scrivi da quando sei bambina; perché hai atteso così tanto per pubblicare e quali tappe hai seguito per approdare a una major editoriale?
Ho letto troppo, forse. Chi tiene tra le mani libri come La metamorfosi, Memorie di Adriano, Trilogia della città di K. raramente sogna di pubblicare. Non si sente all’altezza. Sono diventata scrittrice per caso: una piccola casa editrice milanese si accorse dei miei racconti in Rete e mi chiese di costruire un’antologia. Poco dopo, durante una presentazione a Mantova, conobbi Severino Cesari, padre di Einaudi Stile Libero, il quale sentì leggere uno dei miei racconti e mi disse che desiderava leggere anche gli altri. Ancora mi riesce difficile credere che sia accaduto, e con tanta naturalezza.
“A chi si meraviglia del mio aplomb e della mia strafottenza di fronte all’agitarsi forsennato e maschilista di alcuni personaggi(ni) della Rete, ricordo che vivo da trent’anni in un paese del sud, ho partecipato a cene durante le quali venivo derisa se parlavo di politica e ho bevuto vino in bicchieri di plastica, perché il calice toccava agli uomini”. Come vivi il tuo successo e la tua visibilità in un luogo e in una società in cui è stato difficile crescere?
Bene. Ho quasi quarantaquattro anni, e finalmente penso con distacco, e ironia, all’isolamento che ho subito per tanti anni. Inoltre, i riflettori, anche piccoli, cancellano le colpe, persino quella della mia diversità dal branco: chi cambiava strada al mio passaggio, adesso attraversa per raggiungermi e fare un selfie. È piuttosto divertente, non trovi?