
Perito tecnico- scientifico forense, mamma e da un paio d’anni autrice amata da tantissimi lettori che si sono innamorati del suo personaggio surreale anzichenò, una mamma-moglie-figlia che collabora con un investigatore privato e ha un’arma segreta, ovvero capisce quello che dicono le piante e gli animali. Con l’estrema gentilezza che la caratterizza Sarah Savioli ha subito accettato di rispondere a qualche domanda che per Mangialibri le ho posto in occasione della sua partecipazione al prestigioso NebbiaGialla Suzzara Noir Festival 2022. Dalle sue risposte si evince che l’aspetto esile e timido, in realtà nasconde un filo d’acciaio.
Suppongo che la domanda ti sia stata fatta giusto quel migliaio di volte, confido nella tua indulgenza e te la faccio anch’io. Seguendoti sui social anche quando parli di cose serie, viene il sospetto che calcando un po’ i toni la tua protagonista in effetti ti somigli molto. È stata una scelta consapevole o un caso su cui poi hai lavorato?
In realtà la mia somiglianza con Anna è molto limitata e riguarda la sfera genitoriale: ecco, posso dire serenamente che mamma Anna e mamma Sarah coincidono. Per il resto però, soprattutto professionalmente, sono molto più simile a Cantoni: razionale, non incline a perdonarmi cedimenti e con un’etica marmorea che talvolta sfocia nel masochismo. So che può risultare un po’ surreale, ma i miei due protagonisti solo uniti insieme mi rappresentano, diversi così come sono.
Mimi vista da fuori, da chi non conosce la sua particolare abilità, è una donna abbastanza normale che fa cose normali: oddio, diciamo abbastanza normali. Volendo andare un po’ più a fondo si potrebbe pensare che le voci a cui ha accesso siano qualcosa di più, che dietro l’aspetto fantastico ci sia la voglia di dire a tutti che forse è ora di mettersi in ascolto. Un ascolto profondo, non superficiale, che permetta di capire anche e soprattutto le esigenze che non sono così palesi o di chi apparentemente non ha voce. Ci avevi pensato?
Anna, in seguito a un’ischemia, inizia a sentire cose che prima non sentiva. Alla fine questo è ciò che capita a tutti noi quando nella vita ci succede qualcosa di fortemente impattante, che polverizza le nostre certezze e ci pone di fronte al cambiamento. Non ci resta che cominciare a vedere il mondo in modo differente e accorgerci di tutta una serie di cose che prima ci risultavano invisibili. Anna, anziché chiudersi, accetta di mettersi in ascolto, si rende di volta in volta disponibile a cambiare il suo punto di vista, si apre alla bellezza e alla ricchezza dell’essere tutti diversi e al fatto che ognuno ha qualcosa da dare e insegnare. La sua è una scelta che, quando la vita che conoscevamo sembra finita, ci permette di capire che possiamo trovarci di fronte a un nuovo inizio.
Hai raccontato, mi pare su Facebook, come è “nato” il personaggio di Otto: ho pianto credo almeno mezz’ora, a parte questo mi pare di aver capito che anche Banzai Luca e le piante di Anna non sono poi così distanti dalla realtà di Sarah. È più complicato inventarsi i crimini su cui investigare o “immedesimarsi” nei pensieri di un ficus?
Tutte le frasi di Luca sono in realtà state dette dal mio bambino quando aveva la sua età e avevo avuto l’accortezza di segnare in un quaderno. Il buon Banzai attinge a piene zampe dall’indole del mio vecchio gattone, il Pantegana, un soriano dal carattere tenace e guerrigliero. Il Panti è il micio posato sulla mia spalla nella foto usata per Gli insospettabili, ci ha lasciati un mese prima dell’uscita del libro e, anche se è qualcosa di completamente irrazionale, mi piace immaginarlo come lo spirito guida per tutte queste storie. Il ficus… beh, c’è anche lui: ogni tanto va in beauty farm da mia madre, donna dal pollice verde miracoloso, poi torna qui in trincea fra gatti rosicchio-scavatori, pallonate di bambini e la mia buona volontà impacciata e pasticciona. Sull’inventarsi i crimini su cui investigare, si deve cedere lo spazio alla creatività per intessere una trama credibile con personaggi che si muovono secondo una loro coerenza. Per immedesimarsi nei pensieri di piante e animali bisogna tuffarsi nel regno della fantasia e allo stesso tempo in quello dell’ascolto attento nei confronti di ciò che ci circonda. Su entrambi i fronti però ci vuole il coraggio di lasciarsi andare mettendo da parte sé stessi.
In un’intervista ho letto che il tuo primo libro è nato durante un tuo personale lockdown, a memoria anche il periodo in cui hai scritto Il testimone chiave ha coinciso con il lockdown che abbiamo subito tutti durante la prima fase della pandemia di COVID-19. Una coincidenza o il fatto concreto che stare “soli” è qualche volta salvifico?
Mi verrebbe da ribaltare appena la cosa, sottolineando che scrivere è stato per me salvifico per affrontare i due differenti lockdown, però con la tua domanda metti in luce qualcosa di molto giusto. Sono una solitaria socievolissima, ossia una persona che in compagnia non si isola, ma che ha strenuamente bisogno di ampi spazi di solitudine per ricaricarsi e ritrovarsi. Viviamo in una società che ha sempre visto in maniera negativa il fatto di prediligere una vita solitaria, ma stare bene da soli non vuol dire non voler bene al prossimo o ritenere il tempo condiviso con gli altri qualcosa che non ha un profondo valore. Abbiamo però tutti bisogno di fare i conti con noi stessi e darci lo spazio per lasciare che i pensieri prendano il loro passo. C’è chi riesce a ottenere questo risultato anche in mezzo agli altri, chi fa più fatica come capita a me e ha bisogno di chiudersi in solitudine. Quindi possiamo metterla così: i lockdown hanno portato cambiamenti pesanti, la solitudine imposta mi ha dato gli spazi per un respiro maggiore che ha avviato la creatività sul fronte della scrittura. E poi scrittura mi ha salvata. Perché alla fine siamo tutti fatti di strani naufragi e di ancor più strani salvataggi.
Sempre spulciando la Rete, ho letto da qualche parte che hai un debole per gli uccellini, ti incuriosisce teneramente immaginarli così piccoli e indifesi eppure capaci di fare un rumore enorme. Io magari sono un po’ dietrologa, ma vedo tante metafore nelle tue parole, sono troppo “immaginifica”?
Sai, sono convinta di non aver nulla da insegnare a nessuno e, se devo trovare qualcosa che ha dato davvero valore alla mia vita, questi sono proprio i miei sbagli e inciampi che hanno portato con loro grosse ammaccature, ma anche occasioni di crescita e di analisi di coscienza onesta e senza sconti. Per cui, quando scrivo lo faccio in abbandono e divertimento, con la consapevolezza del grande onore di potermi mettere in contatto con tante persone e vivere con loro un tempo fatto di fantasia e condivisione, ma davvero mai con un intento didattico o filosofico. Non me ne sentirei mai all’altezza. Per il resto, la natura e tutti i viventi rappresentano davvero tanti aspetti di noi e delle nostre complessità e per vedere tutto questo penso basti mettersi in osservazione umile. Le metafore utili per crescere sono tutte lì, nella nostra capacità di rispecchiarci in un gruppetto di pettirossi, in un gatto che passa o una foglia che cade veleggiando con grazia.
Da emerita sconosciuta hai pubblicato il tuo primo romanzo con una delle più grandi e importanti case editrici italiane. Una bella soddisfazione in un posto dove praticamente tutti hanno un romanzo nel cassetto e tentano in ogni modo di farlo leggere al mondo, suggerimenti?
Vorrei davvero avere suggerimenti o magiche ricette perché so quanto sia difficile trovare la via per un buon esordio e quanto possa essere complicato gestire scoramento e delusioni. Posso solo invitare a leggere tanto, studiare tanto, scrivere, cancellare e ripartire da capo senza innamorarsi di nulla di ciò che si è scritto e ancora leggere e leggere e leggere. E cercare, in questo percorso, di far restare viva la passione gioiosa per ciò che si fa al di là delle mille amarezze ed esperienze difficili nelle quali si può incorrere.
Anna l’abbiamo lasciata alle prese con dei cambiamenti importanti, di quelli che segnano la vita che o incattiviscono o tirano fuori il meglio. Da lei arriva una lezione importante, ti sei resa conto di dire cose importanti o ti sono uscite così, perché sei una persona bella e spontaneamente ti vengono così?
Uh, mamma mia. Ti ringrazio per aver anche solo pensato che io sia una persona bella, ma sono soltanto una persona complicata, che ha avuto occasione di cadere molte volte. Diciamo che se c’è una cosa che questa vita impegnativa mi ha insegnato è che se è vero che non possiamo scegliere cosa ci capita, possiamo però almeno in parte decidere cosa farne. Un foglio scarabocchiato e da buttare puoi appallottolarlo con rabbia e gettarlo nel cestino o decidere di lisciarlo con la mano e farne un origami.
Arrivare al Nebbiagialla, un festival che da anni ospita i più grandi nomi del noir e del giallo mondiali: te lo saresti aspettata?
No, questi doni non me li aspetto mai, ma accolgo ogni evento che si sta realizzando da due anni a questa parte con stupore e infinita gratitudine. Il fatto è che io mi sento davvero un falegname in botteguccia e ogni volta che ci sono queste occasioni, appoggio i miei strumenti sul tavolo da lavoro, passo le mani sul grembiule e dico: “Ma io davvero? Siamo sicuri?”. Poi partecipo a questi incontri e ascolto tanto, conosco persone splendide, imparo cose nuove e mi sento la persona più fortunata del mondo per aver ricevuto l’opportunità di vivere un tempo così fiorito. E poi torno in botteguccia a lavorare a testa bassa, con un sorriso grato e più impegno di prima.