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Intervista a Sharon Dodua Otoo

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Quella a Sharon Dodua Otoo è l’ultima delle interviste in programma per me durante il Festivaletteratura di Mantova 2022. Arrivo in anticipo all’appuntamento, nel chiostro del Museo Diocesano. Mentre aspetto l’arrivo di Sharon ripasso mentalmente l’introduzione, le domande, cerco un termine su Google, ne ascolto la pronuncia: parleremo inglese tutto il tempo, lingua che parlo, ma so che la timidezza potrebbe farmi parlare un inglese A1 scarso, quindi cerco di prevenire. Distolgo lo sguardo dal cellulare e vedo arrivare un gineceo, le ragazze di NN, dove, al centro, spicca Sharon, ghanese di origine, cresciuta in Gran Bretagna, scrittrice (al suo primo romanzo, ha scritto solo racconti, per uno dei quali ha vinto il prestigioso premio Ingeborg Bachmann) attivista. Vive in Germania e scrive in tedesco.



Sharon, prima di parlare del tuo romanzo La stanza di Ada vorrei farti questa domanda: cosa significa femminismo al giorno d’oggi?
So che nel passato il femminismo ha avuto una cattiva reputazione perché sembrava fosse anti qualcosa, contro gli uomini, ma io ho sempre capito che il femminismo era un concetto contro l’oppressione sessista e cercava di permettere a tutti di diventare la versione migliore di loro stessi. Una delle mie teoriche preferite del femminismo, Bell Hooks, scomparsa di recente, diceva che il femminismo è un movimento che deve porre fine all’oppressione sessista e questa affermazione per me significa che l’oppressione sessista colpisce tutti, persino gli uomini, che sono forzati, in un certo senso, a comportarsi come vediamo a causa del patriarcato.

Stai parlando quindi di femminismo intersezionale?
Sì, ma il termine intersezionale suona un po’ accademico, trovo, e penso che molte persone che sono già in questo movimento e stanno discutendo di intersezionalità non capiscono cosa sia in effetti e questo è davvero vergognoso. L’intersezionalità è ciò che molte donne nere hanno cominciato a fare già nel passato: quando entrano in politica si battono per il beneficio di tutti, da sempre si interessano delle persone con disabilità, persone della classe operaia donne che crescono i figli da sole. Questa è l’intersezionalità: comprendere più persone possibili nella lotta per i diritti.

Le quattro donne che si chiamano Ada, nel tuo libro, vivono in epoche differenti, sono donne diverse tra loro ma sono collegate, in qualche modo, da un braccialetto. Ti chiedo: è un simbolo il braccialetto? E anche tutte le Ada sono un simbolo?
Io trovo molto divertente suggerire cose di cui il lettore possa fare ciò che vuole, cose che gli sembrino diverse da quello che sono, cose a cui stavo pensando mentre scrivevo. Volevo che il braccialetto potesse essere un simbolo; mi piaceva l’idea di qualcosa che si trova in un museo nel ventiquattresimo secolo e che proviene da un tempo completamente diverso, da un luogo diverso, che le persone ignorano e che vedono solo come immagine su un catalogo. Questo l’ho scritto riferendomi a un particolare dibattito in corso a Berlino e in altri paesi occidentali attorno alle arti e alla cultura africane, in particolare oggetti che sono stati rubati e che ora non si sa a chi appartengono in realtà.

Il braccialetto è anche un legame che tiene unite le donne protagoniste del libro perché, strutturalmente, racconto ogni storia separatamente. Mi piace pensare che il braccialetto tenga insieme le persone, le colleghi, così come ogni perla del braccialetto è connessa alle altre. Per quanto riguarda il nome Ada, si trova in diversi contesti culturali come la Nigeria, il Ghana, ma anche la Germania e ha il significato di valoroso, nobile, prezioso. Credo che questo si inserisca molto bene nella storia.

A proposito della connessione tra le diverse Ada, pensi che questo c’entri in qualche modo col concetto junghiano di inconscio collettivo?
Non direi un sì definitivo. Posso dire che ho sentito che le persone che hanno sperimentato un trauma hanno trasmesso questa esperienza ai loro figli. Per esempio, persone che sono state vittime di genocidio hanno trasmesso geneticamente questo grande trauma alla generazione successiva. Pensando a questo potrebbe avere un senso per me che persone che sono cresciute col concetto di patriarcato lo abbiano assorbito e non siano riuscite ad andare oltre, a superarlo.

I LIBRI DI SHARON DODUA OTOO