
Curiosità: è laureata in letteratura inglese e ha discusso una tesi sul teatro di William Shakespeare; è a lei che dobbiamo la traduzione delle famose Cinquanta sfumature della scrittrice E.L. James e di alcuni lavori di Sylvia Day; appassionata di narrazione, cinema e regia, ama il vino. E soprattutto è oggi una scrittrice tradotta in tutta Europa... Vi basta per far capire che grande occasione è stata incontrare Silvia Zucca?
Ti hanno definita un caso editoriale dopo il successo internazionale (con i diritti venduti in 18 Paesi) di Guida astrologica per cuori infranti. Ma questo tuo secondo, è tutt'altro romanzo! A cosa ti sei ispirata?
La storia de Il cielo dopo di noi inizia circa due anni fa, con la morte della mia nonna paterna. Sembra un escamotage da scrittori… ma ho trovato veramente delle lettere in casa sua mentre, con la mia famiglia, ci occupavamo di svuotare gli armadi. Queste non narravano la vicenda che ho poi raccontato nel romanzo, naturalmente, ma una storia personale molto toccante che mi ha fatta riflettere sul legame profondo che avevo con lei, nonostante le nostre differenze, nonostante spesso ci fossimo messe a discutere. Quelle lettere mi hanno fatto pensare all’evoluzione che le persone hanno nella vita, a come il tempo e gli eventi le trasformino, e come questo diventi un bagaglio importante, determinante per quello che si è. Nonna ha custodito quelle lettere, scritte tra il ’38 e il ’48, quando aveva tra i venti e i trent’anni, fino alla sua morte, avvenuta quando di anni ne aveva quasi 95, e non ne ha mai fatto parola con nessuno. Per lo meno non con noi, i suoi familiari. Questo mi ha portato anche a chiedermi quanto si possa riuscire a conoscere qualcuno, anche qualcuno così vicino a noi come una nonna, o un genitore. Agli altri, diamo sempre una versione parcellizzata di noi stessi, come un frammento, ed è ricomponendo quei frammenti che Miranda, la protagonista del romanzo, pian piano arriva alla verità di ciò che hanno vissuto ed è stato tanto determinante per i suoi familiari.
Belle le figure umane tracciate, complesse e piene di risvolti: sono personaggi perfettamente orchestrati nella storia. Quanto è stato impegnativo collocare ciascuno al proprio posto, in modo da renderli così unici e irripetibili, facendo al contempo “quadrare i conti” della storia?
Sono contenta che a chi legge tutti sembrino così veri. È un risultato a cui tengo moltissimo perché ritengo che la costruzione dei personaggi sia il motore di ciò che fa appassionare a un romanzo. È stato impegnativo, sì, ma come lo è sempre quando si costruisce una trama, soprattutto quella di un romanzo corale, come io considero Il cielo dopo di noi. Ho sempre saputo che per ogni filo che iniziavo a tirare, delineando questo o quel personaggio, sarei dovuta arrivare fino alla fine, anche se il personaggio aveva un rilievo minore all’interno della vicenda. Ma mi piace che ognuno abbia il suo carattere, le sue gioie e i suoi dolori, la sua particolare maniera di pensare e di esprimersi, e soprattutto le sue motivazioni per decidere di agire in un modo o nell’altro. Dopotutto è così che sono le persone vere.
Sullo sfondo del romanzo ci sono un bosco, le vigne, i filari in cui si vedono passare le stagioni, il paesaggio collinare: sembra un voler fissare su carta un ambiente meraviglioso che ami particolarmente... è così?
Sì è vero, quello del Piemonte è davvero un paesaggio che amo moltissimo, una terra a cui, pur non appartenendo continuo a tornare in varie fasi della mia vita. E infatti erano anni che pensavo di ambientarci un libro. Amo le colline dell’astigiano, del Monferrato, amo i loro profumi e i sapori di quelle terre, e mi piace molto veder crescere e coltivare i suoi vigneti. Tra l’altro, mi piaceva, nel libro, metterne in risalto i diversi aspetti, col passaggio delle stagioni, ed è per questo che se la storia di Miranda si svolge tra la primavera e l’estate, invece quella di Alberto e Gemma è ambientata tra fine autunno e l’inverno.
Ma il paese di Sant’Egidio dei Gelsi non esiste, eppure è così preciso e dettagliato che ha sicuramente un corrispettivo nella realtà: quale paese avevi in mente?
Sant’Egidio dei Gelsi è un paesino inventato. Mi colpisce che molte delle persone con cui mi capita di parlare del romanzo mi confessino di esserlo andati a cercare su internet e siano rimaste sorprese, e forse un po’ deluse, di non trovarlo per davvero. Ma la verità è che volevo raccontare una mia storia, con dei miei personaggi e mi sembrava irrispettoso appropriarmi di un posto esistente, visto anche che tutto il Piemonte, dalle città alle frazioni più piccole, ha vissuto intensamente le vicende della guerra. Durante i due anni e mezzo di lavorazione al libro, ho visitato diverse zone del Piemonte, molti paesi, come Canelli, Calosso, Santo Stefano Belbo, Vesime (dove c’era l’aeroporto partigiano)…, raccogliendo storie, aneddoti, informazioni. Ma soprattutto sono andata spessissimo a Costigliole d’Asti, il paese dove il mio compagno ha un casale di famiglia e dei piccoli appezzamenti di terreno su cui coltiva barbera e moscato. Sant’Egidio dei Gelsi probabilmente è in molta parte Costigliole, ma non lo definirei un ricalco fedele. Più forse un collage di piazze, abitazioni, vie e monumenti di vari paesi visitati.
E che dire del vino? In questo piccolo paese immaginario sembrano farlo tutti in modo eccezionale, con grande amore e passione! Solo un caso?
Anche qui devo rispondere che no, non è affatto un caso. Pur non potendo in nessun modo ritenermi o definirmi un’esperta, sono un’appassionata degustatrice di vino. Diversi anni fa ho frequentato un piccolo corso di enologia, proprio con l’intento di iniziare a raccogliere materiale per un eventuale libro, ma poi la cosa ha preso decisamente il sopravvento, facendomi scoprire un mondo complesso e affascinante che, ahimè, solo in parte ho potuto raccontare nel romanzo. La frequentazione del mio compagno mi ha fatto poi scoprire un altro importante aspetto del vino, che è la coltivazione delle vigne. Proprio come Miranda, anch’io ho potuto seguire le varie fasi della coltivazione, i problemi che possono nascere, le cure che vanno date alle piante, e ho potuto vivere la soddisfazione di vendemmiare l’uva e vederla trasformare in vino. Si può dire che per questo libro abbia proprio studiato “sul campo”.
E poi c'è moltissimo Shakespeare: solo un’esigenza per il tuo personaggio Alberto?
Volevo che tra Miranda e Alberto ci fosse un legame evidente, una specie di linguaggio segreto e molto riconoscibile… scegliere Shakespeare è stato abbastanza naturale perché è un’altra cosa che fa parte di me, della mia formazione (ci ho scritto la tesi di laurea). Non solo questo però: Shakespeare, oltre a essere stato indiscutibilmente un maestro nel tracciare le emozioni, ha spesso reso protagonisti dei suoi drammi padri e figli: pensiamo a Re Lear, o anche a Romeo e Giulietta, o ancora ad Amleto e sicuramente alla Tempesta. Volevo che per Miranda suo padre fosse stato quasi “magico” durante l’infanzia, e chi meglio di Prospero poteva essere preso come punto di riferimento? Prospero, da una parte, e Re Lear dall’altra, sono simbolicamente i due personaggi a cui mi sono maggiormente riferita per il loro rapporto: un prima idilliaco, magico, irreale e poi un dopo, con un forte contrasto dovuto alla crescita, all’incomprensione e allo scontro tra un padre che la vecchiaia rende sempre più vulnerabile e una figlia cui la vita forgia una corazza da guerriera.
Francesco è un uomo totalmente diverso rispetto a quelli del tuo primo libro, soprattutto Mira, almeno all’inizio, lo “mette sotto i piedi”... Una vendetta?
Oh, no, i sassolini dalle scarpe me li ero tolti già con Guida astrologica! Per Francesco decisamente no, non ho mai pensato a una vendetta. Anche se, come si dice, ne ferisce più la penna che la spada… Ma non è questo il caso, anzi! Non ho mai valutato la scena iniziale del romanzo in questi termini, o visto Francesco come un uomo che si fa mettere sotto i piedi. Tutt’altro. Credo che Francesco già in quella prima apparizione dimostri di essere un personaggio molto forte e soprattutto molto positivo, forse quello più positivo, a 360 gradi, in tutto il romanzo. Quando vede che alla sua gentilezza Miranda risponde con scortesia non si scompone, e anzi quando lei poi tenta di sfruttarlo, giustamente è lui a prendersi la sua piccola rivalsa, lasciandola con un palmo di naso.
L’impressione che si ha è che questo romanzo pretenda la massima attenzione dal lettore, nel senso che gli spunti di riflessione su cui soffermarsi sono davvero tanti. Sei d’accordo?
Molto. E forse non solo per quel che riguarda gli spunti di riflessione. Credo alla lettura “partecipata”, cioè mi piacciono quei libri che invitano il lettore sia a riflettere, a trovare altri contenuti oltre al raccontato, che a interagire con la trama stessa, cercando di capire da soli quali siano le emozioni dei personaggi, che cosa stia succedendo in scena. In questo sì, il libro pretende di essere letto con attenzione. Ma in questa scelta c’è anche molto rispetto verso l’intelligenza del lettore, che non ha bisogno dei sottotitoli, e credo si diverta molto più così.
Ma davvero l'amore può rischiarare il cielo della nostra vita come succede ai protagonisti della tua storia?
Se intendiamo un concetto piuttosto allargato di Amore, come amore per noi stessi, per le nostre origini, per i nostri familiari, le persone che ci circondano e, sì, alla fine anche per i nostri compagni di vita, direi di sì. Solo riconciliandosi con loro stessi, col loro vissuto, superando il senso di colpa che ha segnato le loro esistenze, i protagonisti de Il cielo dopo di noi, prima tra tutti Miranda, possono riuscire a riaprirsi all’amore e alla vita. Credo che il l titolo del romanzo indichi soprattutto questo, un senso di universalità che avvolge un prima e un dopo, in modo indulgente, un invito a considerarci non come frammenti ma come unità complesse, in cui tutto quello che abbiamo vissuto, gioie, dolori, sbagli, successi… ci ha formato e resi preziosi e unici.