
Giornalista professionista, la messinese Simona Moraci ha scelto di dedicarsi, dopo oltre vent’anni di carriera, all’insegnamento. E preferisce lavorare nelle scuole dei quartieri più difficili, quelli in cui l’istruzione è l’ultimo degli interessi e la criminalità impera. È proprio di un corpo a corpo tra un’insegnante appassionata e i suoi studenti difficili, insieme a un altrettanto appassionante triangolo amoroso, che il suo ultimo romanzo – già tra le proposte degli Amici della Domenica per il premio Strega 2022 - tratta. L’autrice si presta volentieri a un’intervista telefonica per Mangialibri e chiacchieriamo di istruzione, speranza, riscatto e letture.
Quanto del tuo lavoro di insegnante si riflette nella storia di Sonia, protagonista del tuo Duecento giorni di tempesta? Hai vissuto anche tu le stesse esperienze di situazioni al limite che racconti nel romanzo?
Ho scritto questo libro proprio perché l’esperienza che ho avuto nelle scuole a rischio in cui insegno da ormai sette anni è stata fortissima e così intensa da cambiare la mia vita. Quindi è chiaro che nella trama, di fantasia, ho inserito diversi elementi reali. Alcune delle esperienze raccontate le ho vissute in prima persona.
Cosa può fare la scuola per aiutare gli studenti a controllare quella violenza che fa parte della loro quotidianità ed è spesso vissuta come normalità? Cosa offre inoltre la Sicilia oggi, attraverso la scuola, alle nuove generazioni?
La scuola, secondo me, può salvare. Molto spesso le uniche ore di serenità alcuni ragazzi le trascorrono a scuola. Questo secondo la mia esperienza, che all’inizio è stata fortissima e devastante. La prima volta che sono entrata in una scuola a rischio- in un quartiere difficile, in cui c’era veramente molta criminalità- sono stata accolta, esattamente come la protagonista del mio romanzo, con una valanga di bottigliette di plastica lanciate contro di me. Ed esattamente come accade a Sonia, anche in quell’occasione ci fu un collega che mi salvò. Tuttavia, una volta superata la diffidenza iniziale, che nei ragazzi è molto forte, poi si può costruire una relazione. È il legame affettivo che riesce a salvare la situazione. Nel momento in cui i ragazzi ti vogliono bene e tu vuoi bene a loro, si può andare avanti e la scuola diventa veramente un momento in cui condividere molto e cercare di essere, se non proprio felici, almeno sereni. Io credo che ci siano in Sicilia diverse realtà che si muovono in questo senso. Ho l’esperienza sia di Messina, che è la mia città d’origine, sia di Catania, dove lavoro, e devo dire che i quartieri difficili si assomigliano un po’ tutti. Ci sono gli stessi mood e le stesse situazioni. La scuola gioca un ruolo importantissimo e il rapporto con i colleghi può davvero aiutare alcuni ragazzi a scegliere una strada diversa rispetto a quella che pare già segnata e a scoprire quello che hanno dentro. In questo modo i giovani studenti riescono a costruire anche l’autostima, che molto spesso manca. Posso quindi affermare che in Sicilia, secondo la mia esperienza, gli insegnanti lavorano veramente tanto per realizzare qualcosa di buono. E io ci credo davvero. Per questo motivo la prima volta che ho insegnato in una scuola a rischio è stato per caso ma, da allora, scelgo consapevolmente di continuare a insegnare in queste realtà che possiamo definire complesse.
Nel tuo romanzo racconti un triangolo amoroso, quello tra Sonia, Stefano e Andrea. Si tratta di una relazione molto interessante e piuttosto singolare. Ritieni sia una dinamica nella quale ci si può imbattere nella vita reale o è stata una scelta narrativa di cui ti sei servita per parlare dei temi che ti interessava raccontare, ma che difficilmente trova riscontro nella realtà?
Sono dell’idea che un certo riscontro nella vita reale ci possa essere, perché negli ambienti difficili di cui racconto tutti i sentimenti sono un po’ amplificati. Perciò può accadere di trovarsi in una situazione simile a quella che si crea tra Sonia, Stefano e Andrea. Certo è che si tratta di un tipo di relazione davvero molto complessa. La mia scelta narrativa era quella di trovare due personaggi che fossero estremamente diversi tra loro e che avessero comunque un forte legame con il quartiere. Sono quindi emerse queste due tipologie di uomo, che hanno un’ispirazione reale e che in qualche modo cercano un riscatto. Mi è capitato di conoscere, nel corso del tempo, colleghi provenienti da realtà difficili che hanno davvero scelto di tornare e di insegnare proprio in un quartiere a rischio.
Andrea in particolar modo racconta che c’è comunque speranza, anche se si ha un passato legato alla criminalità o alla violenza. È davvero così?
La figura di Andrea, che io amo particolarmente, ha un vissuto all’interno di una famiglia criminale, per cui la via del riscatto per lui è ancora più difficile. È tuttavia una strada che lui decide di percorrere. Questo trova sovente un riscontro con la realtà. Posso aggiungere che mi è capitato di conoscere, nel corso degli anni, chi mi ha portato testimonianze dirette in tal senso. Ho vivo in me il ricordo di una persona che ho conosciuto anni fa. Si trattava di un ragazzo difficile, che si è salvato grazie alla scuola e ai corsi di teatro che vi si organizzavano. In questo modo è riuscito a emanciparsi e a scrollarsi di dosso le brutture del mondo da cui proveniva. Penso quindi che sì, ci sia speranza. E compito della scuola è, tra gli altri, proprio quello di alimentare la speranza e aiutare gli alunni a crederci.
Al di là del triangolo amoroso, quanto la maternità incide sulla felicità o sulla serenità ritrovata di Sonia?
Incide sicuramente moltissimo. Mi sono chiesta come questa donna, che ha provato il dolore profondo della perdita di un figlio, potesse trovare una via che riuscisse a farla uscire dal buio. E ho pensato la potesse trovare nei bambini, sia come madre e sia come insegnante. Infatti, ci sono alcuni alunni che nella storia la chiamano mamma e il rapporto che Sonia costruisce con loro è molto profondo. L’essere madre, quindi, occupa gran parte dello spazio nella storia. Il percorso di Sonia la porta ad essere madre sia del piccolo che porta in grembo e sia di tutti i bambini che madre non hanno. La maternità, quindi, aiuta a completare il suo essere. Io sono una mamma e so che per i figli si prova un amore straordinario, che non si può comparare con null’altro.
Da dove nasce la tua passione per la scrittura?
Nasce da quando ero bambina. Ho la fortuna di essere cresciuti in una famiglia con delle sorelle molto più grandi di me, che tenevano sempre sui loro comodini dei libri, che io rubacchiavo. Inoltre, le mie sorelle mi raccontavano spesso le favole e quindi, leggendo e ascoltando, prima o poi nasce la curiosità di provare a scrivere. La lettura mi portava in universi altri, finché io stessa non ne ho voluto creare uno. Ho quindi cominciato a scrivere e non ho mai smesso.
Che tipo di lettrice sei?
Sono molto curiosa, quindi sempre a caccia di nuovi autori. Quando ero ragazzina, verso i quattordici anni, al liceo mi sono appassionata alla letteratura gotica. Poi sono passata ad altri tipi di storie. Amo molto Jane Austen. Mi piace Pirandello, apprezzo Oscar Wilde, amo moltissimo Camilleri. Riesco a spaziare tra un genere e l’altro e sono, ripeto, molto curiosa. Vado spesso in libreria e cerco sempre qualcosa che attiri la mia attenzione. Sempre per quanto riguarda la lettura, poi, secondo me i ragazzi, se stimolati, riescono ad apprezzarla. Nelle scuole in cui lavoro, ambienti in cui la lettura non è il primo pensiero, ho qualche alunna che mi chiede libri. E io cerco di far loro avere i romanzi che li interessano. Molti mi chiedono fantasy - magari è un genere più vicino al loro modo di essere - ma mi è capitato, per esempio, in una classe in cui non si riusciva a fare assolutamente nulla, di scovare in una ragazzina un certo interesse per la lettura già dal primo anno, tanto che in terza siamo riuscite a leggere insieme Jane Austen. È stata per me davvero una grande soddisfazione.
Come ci si sente ad essere tra le proposte degli Amici della Domenica per il premio Strega? Ci si sente “arrivati”?
Essere presentati allo Strega da Aldo Cazzullo è stata per me un’emozione incredibile. Mi sono commossa, inoltre, leggendo il giudizio che l’autore ha dato sul mio libro. Una sensazione straordinaria, così come l’affetto delle persone comuni che chiedono informazioni sul mio romanzo. Io poi penso che nella vita occorra sempre andare avanti e guardare oltre. Quindi ho semplicemente la sensazione di vivere una grande emozione e questo mi aiuta anche a scrivere, nel senso che ci sono lavori che sto ultimando e la candidatura allo Strega mi dà sicuramente una maggiore energia. Tuttavia, penso che sia importante anche reinventarsi ogni giorno, senza fermarsi. Quindi, continuo a camminare.