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Intervista a Sonia Aggio

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Sonia Aggio è una giovane scrittrice (nata nel 1995) che col suo esordio narrativo - ambientato nel Polesine dell’alluvione del 1951 - si cimenta in un romanzo storico dai toni cupi e grotteschi. Già finalista del premio Campiello per i giovani, conferma nella sua opera prima un’interessante vena creativa e versatilità di scrittura.



La lettura del tuo Magnificat non è stata molto semplice. Però ne parliamo dopo. Adesso ti faccio una domanda di rito, facile: ci spieghi la ragione del titolo?
Ah, ormai è diventata il mio cavallo di battaglia. Il titolo nasce da un dipinto minore di Sandro Botticelli, la Madonna del Magnificat, meno conosciuta rispetto ad altri quadri. Proprio mentre stavo abbozzando il mio romanzo, soprattutto il personaggio principale, mi ha colpito nel quadro di Botticelli un personaggio molto bello, con un vestito arancione, molto androgino, di cui non si sa molto, neanche se sia maschio o femmina. Mi ha ispirato il personaggio di Norma: bella, ma anche molto forte. Allora ho pensato di mettere al romanzo che stava nascendo un titolo-gioco, proprio Magnificat. Il titolo è rimasto in tutte le stesure, tanto che alla fine non sono riuscita a pensare un titolo alternativo, anche perché si è completamente fuso con il romanzo. Poi c’è da dire che si tratta di un titolo ben riuscito anche dal punto di vista commerciale.

Ci si immagina che con un titolo così si parli di sacro, si parli di musica, si parli di arte, ed invece si parla dell’alluvione del Polesine. Cosa ne sai tu, che sei così giovane? E quanto quell’alluvione ha cambiato la geografia umana di chi vive oggi in quelle zone? Si vive sul ciglio che può cambiare…
Diciamo che io sono il frutto di quell’alluvione: la mia famiglia è migrata qui dai Colli Euganei ed è qui da tre generazioni. Io sono il risultato di questa trasformazione e di questo cambiamento che ha avuto tantissimi esiti negativi, dal punto di vista economico, dal punto di vista demografico (tanto sono andati altrove). Questo ha comportato dal punto di vista storico una perdita di conoscenza e di storie: tanti testimoni se ne sono infatti andati ed è difficile oggi rintracciare la memoria di quei fatti. Il romanzo voleva essere, per me che sono di formazione storica, l’occasione per farlo.

Veniamo ai due personaggi: chi sono nel romanzo e chi sono nella realtà Nilde e Norma?
Sono due sopravvissute ai bombardamenti sul Po della Seconda Guerra Mondiale. Sono due cugine, figlie di due sorelle. Sono cresciute insieme, ma il fatto di essere rimaste insieme orfane, nonostante la vicinanza e la stessa età, le ha portate a vivere quasi in simbiosi fino all’inizio della storia che costituisce il punto di rottura del loro equilibrio. Nella realtà, Norma, nata per prima, doveva essere il personaggio centrale, visto che era il personaggio iniziale, al quale però mentre scrivevo ho sentito il bisogno di affiancare un personaggio romantico. Per uscire dallo stereotipo della storia d’amore durante un disastro, come nel caso del “Titanic”, ho creato il personaggio di Nilde, che ne doveva esserne il riflesso: molto simile fisicamente - infatti entrambe sono bionde con occhi azzurri, del resto sono cugine di sangue - ma caratterialmente l’opposto di Norma. Così dalla narrazione secondo i due personaggi si riesce ad avere un quadro d’insieme più completo della vicenda che poi caratterizza il romanzo.

Sono i due lati del tuo carattere o è un modo per rappresentare la varia umanità?
Un po’ e un po’. Mi ricorda Oscar Wilde: ne Il ritratto di Dorian Gray sono riassunti i punti di vista di come si è veramente, di come si è visti dagli altri e di come vorrebbe essere visti. Norma è il personaggio che vorrei essere, cioè molto forte caratterialmente, capace di imporsi ed indifferente alle convenzioni sociali che vive come un’imposizione. Poi alla fine sono come Nilde, molto pacata, diplomatica, tendente a stemperare i conflitti.

L’aver scritto una storia incentrata su due personaggi complementari ti ha costretto a scrivere un “romanzo specchio” o è stata una scelta obbligata?
Esattamente l’idea che volevo dare. All’inizio avevo scritto tutto dal punto di vista di Nilde perché è il personaggio un po’ più facile, un po’ più malleabile da gestire come punto di vista. Ma questo metteva in ombra la figura di Norma, che quasi scompariva se non la si recuperava attraverso delle digressioni di 3-4 pagine. A quel punto allora ho ritenuto più utile cominciare a scrivere una seconda versione dal punto di vista di Norma, che comunque è rimasta minoritaria nel numero di pagine, ma serviva una versione raccontata come presa diretta da parte di Norma, capace di descrivere e spiegare cosa stesse provando e vivendo in parallelo.

A proposito di questi due personaggi, mi sono rivisto in chi ha voluto definire questo un romanzo gotico. Era la tua idea iniziale o tu pensavi ad un romanzo di formazione?
Devo dire che all’inizio mi ha stupito la definizione di romanzo gotico, però poi distaccandomene posso dire che ha dei tratti gotici, anche se ci sono forti differenze: è vero che prevale la presenza della pioggia, elemento che richiama l’alluvione, ma è anche vero che molto della trama si svolge d’estate, ci sono tante giornate di sole. Quindi potrebbe essere una forma di gotico un po’ particolare. C’è invece uno strano contrasto, strano per gli altri ma non per me che stavo scrivendo, fra il paesaggio vivido, colorato, caldo. Piuttosto direi che si tratta di un gotico rurale.

Mi fa piacere questo chiarimento: in effetti quando c’è il sole la protagonista è Nilda, mentre la notte è di Norma…
Vero. Nilde ha la vita dei lavoratori, Norma invece vive la notte, anzi quasi fuori da ogni spazio temporale. In tutti e due i casi ci tenevo a lasciare qualcosa del senso di inquietudine di una vicenda che percorre l’intera giornata, la vita di entrambe.

Siamo alla fine e vorrei chiederti qualcosa sul tuo lavoro di scrittrice. Lavori in biblioteca: cosa ti serve per poter scrivere, cosa accende la miccia dello scrittore che è in te?
Vorrei essere una scrittrice disciplinata, tipo Stephen King, che si siede alla scrivania e butta giù diecimila parole come se niente fosse. In realtà nella scrittura vedo anche un momento di rilassamento, un antidoto allo stress. Vero è che andare in biblioteca è come andare in un magazzino: passano per le mani molti libri, e spesso sono attratta da trucchi stilistici o escamotage narrativi. Ma le ispirazioni vere e proprie mi vengono da cose scollegate dalle mie letture, cose più piccole, come per il mio prossimo romanzo, che è partito da una frase che ho sentito in università e che penso valga la pena approfondire. Succede anche con i film, con scene particolari, con atmosfere che mi accendono stimoli per far partire dei ragionamenti che possono portare a qualcosa di concreto o morire lì.

Qual è lo scaffale della biblioteca che preferisci?
Domanda interessante. Se nella biblioteca in cui lavoro c’è uno scaffale di libri storici, chiaramente ne sono attratta. Ma a me piace molto anche la narrativa per ragazzi, perché sono libri che hanno libertà assoluta di tempi e trame fantasiose, caratteristiche che si perdono nella letteratura per adulti, fatta molto di stereotipi e canoni. Di fatto gli scrittori per ragazzi hanno una libertà che adoro.

I tuoi prossimi progetti da scrittrice?
Sto pensando ad un romanzo bizantino ambientato in piena età medievale con tutti personaggi maschili, l’opposto di Magnificat. Ho bisogno di allontanarmi dall’ambientazione di questo mio primo romanzo per non ancorarmi ad un genere, ma per provare a sperimentare. Tuttavia questa è solo la bozza, poi l’esito non so quale sarà.

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