
A circa un anno di distanza dal clamoroso successo italiano del suo romanzo d’esordio, il giovane scrittore texano arriva a Roma per ricevere il VII Premio Merck Serono. Un’occasione che non posso farmi sfuggire, e infatti eccoci qua tra gli scaffali del Mondadori Multicenter di Fontana di Trevi a chiacchierare amabilmente. Stefan è gentilissimo, sorridente, quasi timido. Fine e discreto come la sua giacca di velluto, come la sua scrittura.
Da cosa nasce la scelta di occuparti dell’Alzheimer nel tuo romanzo d’esordio Io non ricordo?
Penso che d’istinto io abbia affrontato la malattia come una metafora, non è che volessi scrivere di Alzheimer già in partenza: il viaggio è iniziato dall’esplorazione del mio immaginario, e come in un diario ho scritto dove questo viaggio mi ha portato, cioè a scavare in profondità nel cuore della mia infanzia. Persone andate via, parole andate via, che in qualche modo provo a resuscitare. E allora l’Alzheimer diventa una sorta di ferita nell’Io, che ti fa domandare: come nasce l’identità? E soprattutto: come si disfa?
E dove pensi che ti porterà la prossima ‘campagna di scavi’?
Non mi ricordo quale romanziere una volta ha detto che ogni scrittore ha a disposizione due romanzi autobiografici nella vita. Quindi approfitterò di questa ultima chance che mi rimane raccontando la storia di mio nonno, che è morto in circostanze misteriose quando mia madre aveva solo 18 anni. Ha trascorso anni nell’Ospedale psichiatrico di Philadelphia, lo stesso di Sylvia Plath, Robert Law e Ann Sexton, e guarda caso anche lui era poeta. Potremmo quasi dire che il McLean Hospital è stato la culla della Poesia contemporanea americana, no? Purtroppo però quando avevo 8 anni mia nonna bruciò tutte le sue poesie senza una ragione apparente, io non ho potuto mai leggerle. Parto da mio nonno, poi mi apro alla fiction – immagino questa vita che mi ha preceduto, la sogno. Un romanzo molto personale, insomma.
Ma la perdita di memoria non è solo un fatto personale, è anche una questione sociale, e perché no politica. Dove va un Paese senza memoria?
L’America nasce da un’amnesia collettiva, o meglio da un sogno di amnesia: i nostri padri fondatori volevano sfuggire alla memoria e al passato. E quindi è un Paese senza memoria, nato da zero. Peraltro io sono nato e cresciuto a Plano, Texas, una città che quando ero piccolo aveva poche migliaia di abitanti e quando sono cresciuto era arrivata a 200mila abitanti, una città nella quale praticamente nulla ha più di 10 anni, una distesa di cemento in una prateria senza passato. Forse il mio primo impulso di scrittore viene proprio da questo, dal cercare un antidoto all’amnesia. Perché anche se il sogno dei padri fondatori si è realizzato non possiamo fare a meno del nostro passato, che è ciò che determina il nostro destino.
Dove nasce il tuo interesse per la Medicina e la Scienza, che traspare in modo evidente dalla tua scrittura?
Per qualche anno ho in effetti fantasticato di fare lo scienziato, fare lo scrittore mi pareva del tutto irrealistico, persino magico in un certo senso. Ma le mie mani erano troppo tremolanti e la mia Matematica è quello che è, quindi ho rinunciato. La Scienza tenta di mettere ordine nel caos, un romanzo però è una sorta di rifugio dal caos, un luogo nel quale possiamo evitare la continua distrazione della nostra cultura, un modo per ristabilire le connessioni. Oggi in Letteratura a ogni buon conto c’è molta Scienza, forse a causa del tipo di vita che viviamo.
Cosa rappresenta per te il linguaggio? Una sfida o un’opportunità?
Ho sempre scritto, sin da bambino. Ho studiato a casa, mia madre mi ha tolto da scuola sin da piccolo, da noi è possibile farlo. All’inizio ricordo che seguivamo il normale programma scolastico, poi gradualmente studiare diventò occuparci di tutto quello che desideravo. Così leggere e scrivere – il linguaggio – ha sempre rappresentato per me una via di fuga dalla noia e dall’isolamento. Ancora adesso leggo molto, per esmepio ho sempre amato da pazzi Roald Dahl.
Come scrivi? Qual è il tuo processo creativo?
La mattina bevo litri di caffè per svegliarmi e allo steso modo per svegliare la mia parte ‘letteraria’ leggo. Per esempio mentre scrivevo Io non ricordo leggevo sempre Italo Calvino, soprattutto Le città invisibili. Ultimamente mi sono buttato su Vladimir Nabokov, trovo che il ritmo della sua lingua sia molto stimolante e suggestivo.
I LIBRI DI STEFAN MERRILL BLOCK