
Nei primi anni ’90, Tim Willocks era “soltanto” un medico britannico che lavorava in programmi di riabilitazione per tossicodipendenti e nel tempo libero praticava il karate a buoni livelli. Aveva anche la passione della scrittura, aveva pubblicato un romanzo noir passato quasi inosservato. Ma all’improvviso, grazie al suo secondo libro, un memorabile thriller carcerario, Tim Willocks è diventato nel 1995 l’astro nascente del noir mondiale, sulla scia di maestri come James Ellroy e Michael Connelly che proprio in quegli anni mettevano a ferro e fuoco il mercato librario internazionale. Averlo però presentato al pubblico mainstream come “il nuovo Stephen King” o giù di lì non gli ha giovato molto, ragionandoci a posteriori. Negli anni successivi – perseguitato anche dai suoi demoni personali – ha avuto alti e bassi ma ha scritto libri di grande qualità, adorati dai suoi fan che anche in Italia sono tantissimi. Oggi è una sorta di rockstar: voce roca, lunghi capelli rossi, volto segnato da mille battaglie. Negli ultimi anni si sta dedicando a una serie di monumentali romanzi con protagonista Mattias Tannhauser, un guerriero sassone del XVI secolo che vive sanguinose e romantiche avventure tra Ungheria, Impero Ottomano, Malta e Parigi. Abbiamo sentito al telefono Tim per farci aggiornare sui prossimi sviluppi della saga... e non solo.
Cicero Grimes, Ray Klein, Mattias Tannhauser: i personaggi dei tuoi romanzi. Cosa hanno in comune? Sono forse facce differenti dello stesso uomo? O forse ognuno di loro rappresenta un aspetto di Tim Willocks?
È impossibile per uno scrittore creare un personaggio senza metterci un po’ di se stesso, alcuni aspetti della sua personalità. Quindi un po’ tutti i personaggi che hai nominato condividono qualcosa con me, ma condividono anche qualcosa tra loro: una feroce determinazione, il senso dell’avventura soprattutto.
Perché e come hai deciso di passare da storie noir ambientate nel Sud degli Stati Uniti a romanzi ambientati nel sanguinario passato dell’Europa?
Quando nel 2007 ho iniziato a scrivere Religion, il primo romanzo del ciclo di Mattias Tannhauser, ho deciso di ambientare un romanzo durante il grande assedio di Malta del 1565 perché si tratta di un evento storico eccitante, di straordinaria importanza tanto che all’epoca arrivarono a Malta persone da tutta Europa. La storia d’Europa è uno sfondo potente che mi ha permesso di far crescere personaggi complessi. Le ragioni per cui sono passato dai noir ai romanzi storici sono diverse, diciamo che essenzialmente ero un po’ stanco dell’ambientazione americana contemporanea, in fondo sono europeo anche io!
Oggi siamo nel 2016, non nel 1572, l’anno in cui è ambientato il tuo romanzo I dodici bambini di Parigi. Eppure guerra e religione, violenza e concetto di Dio sono ancora strettamente legati…
La vera domanda da porsi, oggi come allora, è se sia la religione di per sé a provocare la violenza o se venga utilizzata come una scusa per la violenza politica. È ovviamente una domanda a cui è molto difficile dare una risposta. Personalmente ritengo che se potessimo rimuovere la religione dalla Storia non avremmo meno violenza, ma probabilmente di più, perché le origini della violenza sono sempre e solo politiche. E questo vale anche per i nostri tempi. Certo è straordinario e colpisce molto il fatto che attraverso i secoli la religione abbia mantenuto una influenza così potente: come nel XVI secolo, nel XXI secolo la maggior parte dell’umanità ancora crede in un Dio.
Lungo tutto I dodici bambini di Parigi abbondano i simboli alchemici ed esoterici, è il frutto di una tua personale passione per l’argomento?
Sì, sono molto interessato sia all’alchimia sia all’esoterismo, si tratta paradossalmente di discipline che sono alle radici della scienza moderna. La struttura stessa del mio romanzo richiama una certa simbologia, tutti i personaggi principali sono rappresentati da tarocchi e il loro fato segue una logica simbolica.
Essere uno psichiatra che scrive romanzi è un vantaggio o uno svantaggio?
Tutto sommato credo che sia un vantaggio. Uno psichiatra o uno psicologo durante la sua vita professionale incontrano tante persone diverse – persone spesso con personalità complesse – e la natura del rapporto che si crea porta i pazienti a rivelarsi con una profondità che le persone “normali” di solito non mostrano nella vita. Questa esperienza quindi ovviamente mi ha arricchito, mi ha consentito di esplorare gli angoli più bui della mente umana.
Callilou, Lenna, Carla, Amparo e così via: che tipo di donne sono le donne dei romanzi di Tim Willocks?
Donne indipendenti, coraggiose, forti. Non sono tutte donne d’azione, almeno non nel senso stretto, fisico del termine. Ho sempre considerato un po’ “hollywoodiana” e inverosimile la capacità delle donne di competere con gli uomini in termini di violenza fisica. Ma comunque sono donne capaci di sopravvivere in un mondo dominato da uomini brutali e spietati. Ho sempre trovato i personaggi femminili dei miei romanzi più difficili da gestire di quelli maschili, perché… beh, perché sono un uomo.
Quale aggettivo credi possa descrivere meglio il mood dei tuoi libri? Qualche suggerimento: disperato, violento, oscuro, sexy, cinico, realistico…
È difficile utilizzare un aggettivo soltanto. Forse “assorbente”, totalmente assorbente. Quando leggi un mio romanzo voglio che tu parta per un viaggio, che tu provi un’esperienza completamente avvolgente, totalizzante. O almeno ci provo.
Cosa dobbiamo aspettarci da te nei prossimi mesi? Stai scrivendo un terzo romanzo della saga di Mattias Tannhauser o qualcosa di completamente differente?
Sto lavorando al terzo romanzo di Mattias Tannhauser, sì. So che ne vorreste sapere di più, ma è molto difficile per me parlare di un romanzo a cui sto lavorando, non sono ancora sicuro di molti aspetti della storia. Oltretutto scrivere il terzo romanzo di una saga come questa è una sfida difficile, con due capitoli precedenti così enormi e complessi. Posso però anticiparvi che parlerà di stregoneria.