Salta al contenuto principale

Intervista a Tom Kuka

Articolo di

In occasione del Salone Internazionale del Libro di Torino 2021 incontriamo (virtualmente) Tom Kuka, alias Enkel Demi, giornalista e autore albanese dal fluente italiano, che quest’anno ha vinto il Premio dell’Unione Europea per la Letteratura – se ne parla in coda all’intervista – e che nel 2021 ha visto il suo primo romanzo tradotto in italiano, sicuramente il primo di una lunga serie. Mentre conversiamo, dietro di lui campeggia un quadro che ritrae l’antica città fortificata di Elbasan, dalla quale i Turchi cercavano di domare la rivolta dell’eroe nazionale albanese Scanderbeg. Insomma, siamo già nell’atmosfera giusta. Iniziamo.




L’Ora del male è il tuo primo libro tradotto in italiano, ma non è il tuo primo libro. Racconta la storia di un uomo passionale, vorace, potente: Sali Kamati. Da dove arriva questa vicenda, come ti è giunta chiedendoti di essere scritta?
Prima di scrivere questo romanzo ho scritto un altro romanzo che si intitola Le pietre di solitudine, ambientato in una regione albanese che adesso fa parte della Repubblica greca; si chiama Ciamuria. Io sono originario di questa regione. Non voglio spiegare molto di più di questa regione, altrimenti finiamo nella politica, sono vicende complesse. Mentre facevo la revisione di questo romanzo, ho incontrato una mia zia per un caffè. Ho questa zia che mi racconta sempre le vecchie storie di famiglia, dei cugini, dei nonni, e così le ho detto che stavo scrivendo questo libro proprio sui nostri nonni e le radici della nostra famiglia. Lei mi ha raccontato due cose: primo, che mio nonno quando dormiva cantava – cosa abbastanza singolare-, e poi mi ha raccontato una vecchia storia interessante, di un nostro lontano cugino che si era sposato con la giovane nipote della moglie. A questo punto, visto che il mio romanzo era ancora aperto, ho pensato di inserire diversi capitoli su questi fatti. Più avanti mi sono reso conto che questa storia di Sali Kamati, nome inventato, aveva bisogno di un suo spazio. Così, dopo aver pubblicato Le pietre di solitudine, con cui ho vinto il Premio nazionale albanese, ho iniziato subito a scrivere velocemente la nuova storia, L’Ora del male, che infatti come periodo viene prima de Le pietre di solitudine. Quando il lettore albanese, ma presto credo anche quello italiano, ha davanti a sé i due libri mi raccomando sempre di iniziare da L’Ora del male, che cronologicamente viene prima. Diciamo che è una storia di famiglia, di radici, una storia d’amore, che ho voluto mescolare con il tema della vendetta attraverso una canzone epica che ricorre nel libro, la canzone di Çelo Mezani, un’epica polifonica che proviene proprio dalla regione di cui ti ho parlato. Una canzone che da adolescente quando la sentivo in qualche modo mi muoveva qualcosa dentro. Mi generava dentro una trama, un intreccio che non sapevo esprimere e che attraverso Sali Kamati è riuscito a venire fuori.

Fantastico. In questo romanzo è centrale la questione etica e morale. Il rapporto fra individuo e comunità. Sali Kamati decide di prendere una seconda moglie, una giovanissima ragazza, cosa che tutta la sua comunità disapprova. Il concetto di reputazione sembra centrale nella riflessione che questo romanzo articola…
Anche se viviamo nelle società più moderne, spesso viviamo per gli altri, l’opinione degli altri ha molto importanza per noi. Lo vediamo nella vita quotidiana, con le reti sociali, i social, la maniera in cui ci formiamo le opinioni. Era importante anche in questo periodo, quello di Sali Kamati. Prima di iniziare l’intervista parlavamo del carattere orientale degli albanesi. Anche da questa cosa possiamo capire che non sono, non siamo, orientali. Infatti, nella fede musulmana la poligamia non è un grande problema. In Albania questo fenomeno quasi non esiste. Se guardi li libro, Kamati cerca di usare il Corano per raggiungere il suo scopo. Ma la società è para-cristiana, è una società monogamica. Lui usa il libro, ne ha bisogno per giustificarsi. Ma lui non si comporta da musulmano. Non va in moschea, beve raki, non ha un’etica musulmana. In quella regione si vive così. Con altri canoni, che sono la vendetta, l’onore, la morale etc. Sali fa una piccola rivoluzione. Proclama apertamente il suo amore. Per gli uomini dell’Albania di questo periodo, due secoli fa, proclamare il proprio amore è una vergogna. Anche adesso gli albanesi vengono descritti come duri, molto spesso non parlano apertamente del loro amore, anche se si innamorano come tutti. Qui Kamati è un progressista, se mi permetti di usare questo termine anacronistico.

Mentre tutto il villaggio che si oppone a Kamati cade nel sortilegio della temibile Ora – vedremo fra poco di chi si tratta – ce n’è uno che invece si salva. Il mugnaio Ilo Kriqi. L’unico che si astiene dal giudicare il prossimo, non trovi?
Lui è fuori della mentalità della sua comunità, è in qualche modo un outsider, un fiore di campo. Lui pensa solo alla sua vita. Noi parliamo e giudichiamo spesso del lavoro degli altri; succede in Albania, in Italia, in Grecia. In questa parte del Mediterraneo la reputazione è importante. L’unico che non giudica è l’unico che si salva. Se vogliamo trovare un paragone con la Bibbia, lo possiamo trovare nella vicenda di Sodoma, dove la famiglia di Lot non è disgraziata come tutto il resto della città. Si salvano, mentre gli altri sono condannati. L’ho vista così, anche se qui non parlo di Cristianesimo o di Islam, ma di una società puramente pagana, di esoterismo orizzontale, di una punizione magica.

Ecco veniamo a questa figura, che sta anche nel titolo. L’Ora del Male, l’Ora, la fata maligna, aiuta Sali Kamati e si mette contro la comunità. Che cosa sono le Ore?
Le Ore in Albania sono dappertutto, da nord a sud, fanno parte della mitologia. Non sono come i personaggi di Walt Disney. Sono vendicative, agiscono nella vita degli uomini. Gli albanesi ne avevano paura. Ad esempio, c’è la credenza che quando vai a bere l’acqua in una fonte di montagna non devi toccare l’acqua, la devi solo bere, perché quelle sono fontane delle Ore e loro possono condannarti. La mia Ora del male è un personaggio sfumato, un po’ bianco un po’ nero. Ha una doppia faccia, una doppia valenza morale. Come tutti noi, che abbiamo un’altra faccia, un’altra personalità quando siamo arrabbiati. Così ho voluto giocare con la mitologia albanese, le sue favole di streghe e maghe, che non sono rare nella nostra mentalità.

Quello che non sappiamo decidere fino alla fine e se Sali Kamati, il protagonista, sia un eroe o un antieroe. È un personaggio positivo o negativo?
Neanche io lo so che personaggio è. Io ho raccontato la sua storia. Ma io non posso giudicarlo. Anche per me la sua storia d’amore è anormale. Diciamoci la verità, è un uomo maturo innamorato di una fanciulla. Con i nostri codici attuali potremmo definirlo un pedofilo, ma due secoli fa non era così. Anche io non lo so. A me interessava la sua voglia di combattere per il suo sentimento. Per me è importante che un uomo albanese come lui, carico di epica, che ammazza, che va in giro in fustanella e con il fucile in braccio, segua questa sua passione fino alla fine, contro tutti e tutto, aiutato solo dalla magia. Poi tutti siamo come Sali Kamati, anche io, siamo tutti pieni di difetti, abbiamo le nostre ombre, abbiamo cose che non possiamo raccontare. Quindi non è né positivo né negativo, è uomo come noi, poveri peccatori.

Nel libro sono molto importanti le canzoni, che sono quasi degli esseri viventi che viaggiano autonomamente e raccontano i fatti della comunità. Quasi un’epica senza corpo che viaggia da sola. Quanto è ancora importante la cultura popolare, la narrazione orale, nell’Albania odierna?
Le canzoni albanesi e anche quelle balcaniche - ma qui mi limito a parlare di Albania - erano un mezzo di comunicazione. Se devi mandare un messaggio a qualcuno, hai bisogno di una canzone che glielo porti. I cantanti sono figure diverse, figure anonime, sono quasi degli strumenti di comunicazione. Anche la canzone di Çelo Mezani che fa parte del libro, era così. Ma nel passaggio da un cantore all’altro la canzone si corrompe, non è più una canzone corretta, contiene una menzogna che intacca la reputazione di qualcuno, qualcuno ha sbagliato a trasmettere il messaggio, è una sorta di fake news che riguarda Sali Kamati, difficile da fermare. Le canzoni hanno sempre funzionato così. Siamo in una zona in cui si è creata la mitologia antica; ad esempio, nel teatro (che chiamiamo sempre greco, ma potremmo anche dirlo illirico, etrusco etc.) il coro, la canzone del coro era la cosa più importante. Lì era il messaggio dell’opera. In questo senso la canzone è come una polifonia, contiene più voci ed è cantata da più voci. Se vedi attentamente, la trovi anche in Sardegna e in Corsica, e funziona uguale dappertutto. Nei tempi moderni non abbiamo più bisogno di questa polifonia, la coltiviamo, manteniamo la tradizione, ma non mandiamo più messaggi attraverso le canzoni. Certo, nei matrimoni, uomini e donne cantano la polifonia, ma non c’è più quell’epica. Oggi abbiamo altri mezzi. Ma ne L’Ora del male la canzone è molto importante perché vuole creare questo sfondo antico che era ed è caratteristico di queste montagne.

In un’intervista a una radio italiana hai detto che non fai propriamente realismo magico, eppure ci sono elementi di fantasia nel romanzo. Possiamo dire che l’immaginario popolare, rurale, contadino è esso stesso in qualche modo intriso di magia: in qualche modo la magia è realtà in quei contesti. O no?
Sì, noi viviamo così, viviamo con questa cultura. Per noi è normale, ad esempio, che una nonna si svegli al mattino e dica di aver parlato con il marito defunto da vent’anni: “Mi ha detto che mio figlio non si sta comportando bene in tale affare”. Lei prende e va direttamente dal figlio e gli dice in modo serio: “Ho parlato con babbo e lui dall’aldilà mi ha detto che stai sbagliando”, e così via. Noi viviamo così. Io non sono un ingenuo, ma questa è magia pura. Anche quando raccontiamo le favole è una magia. Se vogliamo stare nei canoni letterari e vogliamo dire che questo è realismo magico, a me va bene. A me non dispiace se mi dicono che sono dentro questo genere di letteratura, perché vorrebbe dire stare insieme a G.G. Marquez, S. Rushdie, Juan Rulfo e gli altri. Ma allora il primo che ha fatto realismo magico è Omero, anche Virgilio o Dante. La Commedia è realismo magico se vogliamo. Questo volevo dire. Non ho scritto pensando a questo genere di letteratura in particolare, ho scritto una storia, come le altre che scrivo, piena di metafore e personaggi magici. Perché sono cresciuto così, non posso cambiare adesso.

Dopo il Passaggi Festival a Fano, ora sei ospite al Salone del Libro di Torino. Quanto è importante per te il riconoscimento letterario in Italia, quanto ti senti collegato alla letteratura del nostro Paese?
Per me è importante quasi come la scena albanese. Noi che scriviamo in albanese scriviamo in una lingua piccola. Per me è importante andare fuori da questi confini. Ma andare in Italia per me è speciale, perché è una lingua che conosco e possiamo dire che una parte della mia cultura è italiana. Quando vedo i miei libri in italiano sono più che felice, strafelice, è un sogno. Non è lo stesso sentimento quando vedo che mi traducono in tedesco, inglese, o francese. Perché per me è importante avere un'altra lingua che io possiedo, che è dentro di me; per me il pubblico italiano è un pubblico di casa, gioco in casa in Italia. Anche quando vado a Fano o Torino, vado in un posto in cui sognavo di andare, in cui andavo ma nessuno mi vedeva. Adesso mi vedono. Conosco bene la letteratura italiana, classica, moderna, la maggior parte delle mie letture sono in italiano. Leggo anche in albanese, faccio il giornalista televisivo e radiofonico, e quindi ho bisogno di vocabolario. Ma la maggior parte delle cose che non trovo in albanese, o che sono tradotte male, allora le leggo in italiano: tipo Bukowski, o la poesia. Conosco bene Camilleri, Eco, Ungaretti, Pirandello, Calvino e tutto il carro armato della letteratura italiana, compresi i contemporanei. Se vengo in Italia mi sento a casa anche in questi ambienti letterari.

Il tuo romanzo Flama ha vinto il Premio dell’Unione europea per la letteratura. Arriverà in Italia? Che tipo di atmosfere possiamo aspettarci? Saranno simili a quelle de L’Ora del Male o è qualcosa di diverso?
Sarà totalmente diverso. L’ho ambientato nella Tirana di un secolo fa, prima della Seconda guerra mondiale. Una Tirana piena di vita, piena di italiani, di tedeschi, di greci. È la storia di un crimine che avviene in città, mentre quest’ultima è colpita da una calamità, da un’epidemia, e quindi è isolata. In questo isolamento avviene un crimine e un personaggio chiamato Dhima inizia a indagare. Anche questo romanzo è pieno di metafore e di fantasia, ma l’atmosfera è totalmente un‘altra. In italiano è già tradotto, siamo alla fase della revisione e penso che a primavera uscirà, sempre per Besa, è ormai tutto definito. Il calendario italiano per il 2022 sarà centrato su questo secondo romanzo.

I LIBRI DI TOM KUKA