
Vive a Roma, città in cui è nata, ma ha nel cuore il mare della Sardegna dei nonni, presso i quali trascorreva le vacanze da bambina. Appassionata di storie fin dall’infanzia, Valentina Cebeni mostra, in ciascuna sua affermazione, la grande passione che nutre nei confronti di un mestiere che rispetta profondamente e al quale si dedica con serietà e impegno. Si presta volentieri a un’intervista a mezzo e-mail e racconta agli amici di Mangialibri qualcosa di sé, ma non proprio tutto.
La decisione di riprendere le vicende della famiglia Fontamara era già presente quando hai scritto il primo volume della serie o l’hai maturata in seguito? In ogni caso, qual è la molla che ti ha spinto a raccontare ancora di Eva e della sua famiglia?
Quando ho pensato alla famiglia Fontamara ho sempre immaginato di scrivere più di un volume; in realtà è stata un’esigenza naturale, erano i personaggi e le loro storie a chiedermelo. Io ho solo ascoltato la loro voce, le loro vicende, sforzandomi di rispettare le loro caratteristiche.
La ricerca della libertà è il perno di questo secondo volume. Che cos’è per te la libertà?
La libertà è una parola molto complessa e molto sfaccettata, che difficilmente si presta a una sola definizione, ma proverò a dare quella che sento più vicina a me in questo momento. Libertà per me è la possibilità di vivere coerentemente con i propri valori, il proprio essere, senza dover essere per questo giudicato, discriminato o peggio incarcerato. Libertà significa vivere e rispettare il contesto sociale in cui ci si trova senza dimenticare e soprattutto rispettando la propria unicità.
In che modo i due volumi della saga possono essere attuali?
Ci sono alcune parole chiave che corrono e ricorrono in questi due volumi: libertà, femminilità, amore, famiglia, indipendenza e tante altre. Sono tante, ma tutte senza tempo, e per questo, a mio avviso sempre attuali. L’amore, ad esempio, non passa mai di moda!
Ne La ricetta segreta per un sogno si avverte tutto il tuo amore per la Sardegna. Che legami hai con quella terra?
La Sardegna è la terra di mia madre, ed è quella in cui ho trascorso tutte le estati della mia infanzia. È il profumo della ginestra, la dolcezza dei fichi del giardino di mio nonno, la ruvidità dei muretti a secco, il profumo salato che il maestrale porta con sé, il tempo che scorre lento e dolcissimo. Per me la Sardegna è un luogo del cuore.
Quando hai capito che l’amore per la lettura sarebbe potuta diventare una professione?
In realtà non l’ho capito, ma l’ho sentito sin da bambina. Diventare una scrittrice è sempre stato il mio sogno, e quando questo sogno sono riuscita a trasformarlo in realtà con tanto impegno e sacrificio ho sentito di aver trovato finalmente il “mio posto”. Ed è la sensazione che auguro a tutti di provare.
Elettra, Eva, Diana, Myriam, Dafne, Penelope sono alcune delle donne di cui racconti? Cosa ti affascina nel parlare di donne? Qual è - se c’è - quella che hai trovato più affine a te? E quella con cui hai legato meno?
Tutte le donne dei miei romanzi hanno aspetti del carattere che possiedo o che vorrei avere. Sono per me uno specchio e una fonte d’ispirazione insieme; quindi, sono intimamente legata a ognuna di loro. Anche a quelle con le quali ho istintivamente legato meno… di cui però non ti dirò mai il nome!
Trovo che nei tuoi lavori sia sempre presente una vera romantica, che non cade però mai nel sentimentalismo. Sei d’accordo?
Esiste un confine molto sottile fra il romanticismo e il sentimentalismo, ed è estremamente semplice perdere la bussola e sconfinare nell’uno o nell’altro più o meno volontariamente. Io come autrice cerco sempre di evitare di virare verso il sentimentalismo perché non lo trovo funzionale al tipo di storie che amo scrivere e che propongo ai miei lettori, ma in linea generale non ho niente contro questo modo di raccontare i sentimenti, solo non mi appartiene.
Quali sono i modelli cui ti ispiri per le tue storie? E i tuoi romanzi si sviluppano partendo da un’idea o dai personaggi?
Tutte le storie che racconto nascono da una fusione di idee e personaggi insieme, e spesso mi è difficile stabilire chi sia arrivato prima di chi. Di solito “vedo” un personaggio fare una certa cosa o comunicare un certo messaggio, altre immagino di voler raccontare delle vicende di una famiglia di cui ho solo una vaga idea e saltano fuori i Fontamara. La scrittura, perciò, è imprevedibile, e forse proprio questo è l’aspetto che più mi affascina del processo creativo. Per quel che riguarda i modelli di riferimento, invece, posso dire che cerco di imparare e rimodellare a mio modo tutti gli insegnamenti lasciati dai grandi della letteratura mondiale, che leggo sempre con grande piacere e attenzione: in ogni riga di Zola o Tolstoj c’è sempre un insegnamento da cogliere.
Che lettrice sei? Cosa ami leggere e cosa, invece, detesti?
Amo definirmi una “lettrice onnivora”: leggo tutto tranne il fantasy che preferisco vedere sul grande schermo, ma cerco di guardare ai libri senza pregiudizi, cercando qualcosa da imparare dal best seller come dalla storia di nicchia. Un autore, del resto, a mio avviso deve avere una mente aperta, e trovo che la lettura a trecentosessanta gradi sia il modo migliore per coltivare una visione quanto più possibile ampia.
In un’intervista di tempo fa dichiarasti di essere dipendente dalla scrittura. È ancora così? Stai già lavorando alla prossima storia? E, a proposito, racconterai ancora dei Fontamara?
La scrittura non è solo il mio lavoro, ma la mia compagna fedele, la mia migliore amica, la mia dolce tortura. A volte è più semplice scrivere una storia, altre più complesso o addirittura doloroso, ma è un modo di viaggiare del quale ancora non mi sono stancata. Così come non mi sono stancata di raccontare dei Fontamara, ma chissà…