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Intervista a Vittorio Giardino

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Vittorio Giardino è un uomo colto, con il piglio e la formazione dell’ingegnere rinascimentale, che ha incantato il pubblico di Passaggi Festival 2019 con oltre un’ora di racconto-fiume della propria arte e poetica, poi si è dedicato alla folla di ammiratori che aspettavano di avere una copia firmata, riservando a ciascuno un disegno, un dialogo fatto di piccoli aneddoti personali e professionali. Lo incontro in quello che avrebbe dovuto essere il tempo dedicato a un panino veloce subito prima della sua partenza da Fano, ma si trattiene con me ben oltre il tempo che l’ufficio stampa aveva riservato al nostro colloquio e nonostante lui abbia “sgamato” la mia pressoché completa ignoranza in fatto di fumetti, ha chiacchierato amabilmente con me per oltre un’ora lasciandomi materiale a sufficienza per iniziare una sua biografia, altro che intervista. Purtroppo qui abbiamo dovuto tagliare tanto, ma vi basti sapere che le sue digressioni letterarie, sociologiche e politiche sono altrettanto, se non addirittura più interessanti, delle sue tavole.




Il fumetto a un Festival della Saggistica. Se solo lo sapesse mio nonno che me li vietava tassativamente da piccola! Tu a che età e grazie a quali storie ti sei avvicinato al fumetto e ti saresti mai immaginato che un fumettista sarebbe stato ospitato in una rassegna come questa o addirittura esposto a Parigi?
Non so quanto tu sappia della mia biografia… Mai, fino ai 30 anni, avrei pensato che il fumetto potesse essere una professione, anche se ho letto fumetti da prima di saper leggere. Me li leggeva la mia mamma e io li imparavo così rapidamente che quando lei saltava qualche passaggio me ne accorgevo immancabilmente. Ho fatto il Classico, poi Ingegneria, poi ho fatto l’ingegnere per 9 anni e a circa trent’anni ho deciso che oltre a lavorare potevo provare a divertirmi, quindi ho cambiato lavoro e ho avuto una fortuna sfacciata! Per cui mi ritrovo adesso a vivere di fumetti e uno dei momenti della mia giornata è quando posso sedermi al tavolo da disegno a lavorare. È la felicità assoluta. Mi rendo conto che è un privilegio solo in parte meritato. Dico solo in parte perché il mio merito è solo quello di averci messo tutto l’impegno che potevo. Il mio non è talento, talento era quello di Picasso e anche per lui, l’unico merito è stato non sprecare quello che aveva. Il mio merito è che non mi stanco a lavorare.

Rizzoli Lizard ha dato nuova vita editoriale al personaggio di Max Fridman. È un personaggio a cui sei affezionato, o ti ha stancato? cosa vorresti lasciassero le sue storie nei lettori?
Mi fai domande molto semplici che però richiedono risposte per forza di cose molto lunghe. I libri che hanno come protagonisti un personaggio seriale sono considerati, probabilmente a ragione, come letteratura minore: ad esempio Maigret, Fantomas e tanti altri. Nel fumetto questa cosa è abbastanza normale, ma ho avuto anche qualche dubbio se continuare quella che in gergo si chiama una “serie”. Poi ho fatto una considerazione, ossia che il fumetto è un genere molto più corto del romanzo. Un fumetto di 100 pagine corrisponde, come quantità di contenuto, di eventi, a un racconto probabilmente di 10 pagine. Paperino, ad esempio, non può essere altro che fumetto. Max Fridman potrebbe essere un film, un fotoromanzo, ma Paperino no. Se però tu leggessi un’unica storia di Paperino, sarebbe una maschera unidimensionale. Per avere un’idea della complessità del personaggio, bisogna leggerne molte di queste storie. La complessità che si può raggiungere in un romanzo lungo, nel fumetto si può raggiungere con molte storie. La mia idea di Fridman è che sia un testimone e come tale di fatti da testimoniare ne ho tanti in mente, di conseguenza ne ha lui. Sono certo che non mi basterà la vita per raccontarli tutti. Ti faccio un esempio: una storia di Fridman in Palestina prima dello stato di Israele. Questo non solo perché Fridman è ebreo, ma anche in seguito a un mio viaggio in Israele, nel corso del quale ho visto cose che mi hanno sorpreso. Ad esempio scoprire che Gerusalemme e Betlemme distano tra loro 3 km mi ha lasciato di sasso. O il fatto che dalle colline di Gerusalemme si vedano le luci di Tel Aviv. Nessuno mi aveva detto che tutto fosse così mostruosamente piccolo. Sei mai stata in Israele?

No. Ho deciso di non andarci fino a quando uno di Gaza non potrà farlo liberamente come me…
Al di là del fatto che mia moglie è ebrea e che io sono filo-israeliano, devo dirti che se tu andassi a vedere di persona ti accorgeresti che probabilmente non esiste soluzione alla cosiddetta questione palestinese o forse esisterebbe se non ci fosse di mezzo il fondamentalismo da tutte e due le parti. Il centro di Gerusalemme gronda sangue da 2000 anni. Se ci sono due popoli che dovrebbero andare d’accordo, al netto dei fondamentalismi, sono ebrei e palestinesi. La mia opinione è probabilmente sbagliata, ma torniamo al viaggio che mi ha dato voglia di raccontare com’era prima che ci fosse Israele e ci sono tante cose interessanti che il personaggio Fridman ha ancora da raccontare. Quello che apprezzo di più dell’ebraismo è la diaspora. Se non si fossero diffusi per il mondo sarebbero rimasti un popolo di pastori mediorientali. Sono stati il popolo senza frontiere. L’ebraismo della diaspora ha eliminato le frontiere, che è un mio personale sogno e che oggi è messo a rischio proprio qui dove c’era stato il più grande risultato politico del dopo guerra e che è stato inficiato dall’assenza di una lingua comune. Sono abbastanza vecchio da ricordare cosa fossero le frontiere…

Il personaggio di Jonas Fink, forse nasce da questo, da una realtà chiusa da frontiere invalicabili…
Ho una speranza da ingegnere, non so cosa c’entri coi fumetti e forse coi libri ma te la dico lo stesso. La cortina di ferro è stata buttata giù da tante cose, ma una delle più importanti è stata la radio. Marconi l’ha buttata giù. Puoi chiudere tutte le frontiere che vuoi ma la musica passa. All’Est ascoltavano la musica rock, non i discorsi politici, ma John Lennon. Oggi col web è ancora peggio. Si possono costruire muri ma non si può impedire la contaminazione culturale, che prima o poi vincerà, anche se a prezzo di grandi sofferenze.

Nel tuo intervento a Passaggi festival 2019 hai detto che i grandi capolavori del fumetto sono stati realizzati quando i fumetti erano un genere considerato secondario o addirittura vietato. Perché?
Ho come l’impressione che la letteratura guadagni in qualità quando è un po’ oppressa e lo faccio anche dire a uno dei miei personaggi: la censura esercita una critica che è migliore di qualsiasi concorso letterario, dato che non sono quasi mai i mediocri ad essere repressi. Penso ad esempio alla Letteratura dell’est, che sotto il regime comunista ha raggiunto vette che forse oggi fatica a raggiungere. In realtà la mia è una provocazione, ovviamente: bisogna tener conto che gli uffici di censura non sono mai gestiti da persone molto colte, tant’è che ho avuto l’onore di essere proibito nell’Argentina dei Generali, ma solo perché dato che molti autori argentini erano fuoriusciti, allora decisero di proibire tutti i fumetti europei di un certo tipo. Forse se avessero letto i miei libri non ci avrebbero trovato niente da proibire, ma hanno deciso di andare sul sicuro. Le rivelo una cosa che ancora non è avvenuta. Il mio Jonas Fink, che tratta della repressione sotto un regime comunista, verrà presto pubblicato in Cina, con un’obiezione da parte della censura, ma non per i contenuti politici, per il fatto che in Cina non si possono mostrare dei nudi femminili, per cui metteranno dei veli ai corpi femminili. Per questa pubblicazione mi hanno dato una spiegazione convincente: il censore un libro non lo legge, lo sfoglia, per cui un capezzolo salta all’occhio, una critica meno. Questo dimostra che la censura, di per sé non è così occhiuta, se non per occuparsi di scrittori che per altre vie sono diventati famosi, come Pasternak. Dal mio punto di vista ho deciso che un prodotto letterario è valido se è onesto, se non bara col lettore.

Leggi ancora fumetti oggi e se sì, quali?
Sì, cerco di farlo ma poi non ne leggo tanti. Quello che succede è che ormai c’è una iper produzione di fumetti, che causa una vera censura da eccesso di offerta, io tendo a leggere purtroppo gli autori che conosco e che quindi sono in qualche modo una sorta di garanzia, come José Antonio Muñoz. Cerco di leggere nei limiti del possibile anche qualche esordiente ma ti confesso che mi baso molto su una prima impressione. Non riesco ad esprimerlo a parole, ma sfogliando le prime due o tre pagine capisco il modo di raccontare, non solo il modo di disegnare. Anche per ragioni di età ti confesso che i fumetti adolescenziali tendenzialmente non mi attirano troppo. A questo proposito trovo emblematico il verso di una canzone di Gianna Nannini: “Mi telefoni o no, mi telefoni o no, io non chiamo per prima”. Posso capire che per un ragazzo questo sia IL problema e non ce ne sia un altro più grave al mondo, ma visto da me diventa secondario. Allo stesso modo sono riluttante a leggere fumetti di biografia o di inchiesta giornalistica. Se hanno uno scopo didattico mi va benissimo. Che venga fatto un fumetto su Piazza Fontana mi va benissimo, ma io quella storia la conosco, l’ho seguita in tempo reale. Molto spesso i racconti a fumetti su personaggi e fatti che io conosco già non mi dicono molto. E del resto è molto difficile dire cose nuove. Molti anni fa chiesi a un mio amico giornalista che si era occupato a lungo di Ustica e mi aveva raccontato cose che non aveva pubblicato, di scrivermi un soggetto per un fumetto su Ustica. Lui ha rifiutato categoricamente, elencandomi tutti gli “incidenti” che avevano avuto tutti quelli coinvolti in questa storia. Allora capisci che io presumo che in questi libri a fumetti non ci sia nulla di nuovo su fatti e personaggi che conosco già, essendo io un grande appassionato di Storia. Mi interessano invece alcuni giovani che trovo bravi. Non sono tanti ma ci sono sempre. Ogni tanto ne pesco qualcuno. Anni fa ho notato un giovane spagnolo bravo, che era inedito in Italia e che si chiama Paco Roca (qui la nostra intervista esclusiva a Roca), a cui ho poi scritto la prefazione per il primo libro pubblicato in Italia, che è Rughe. In quel caso è stato un colpo di fortuna. Pensa che solo in Francia escono qualcosa come 160 titoli di fumetti nuovi al mese. Come si fa a leggerli tutti? Questo ha messo in crisi anche la critica.

Il primo fumetto che metteresti nelle mani di un bambino?
Paperino, Topolino, i fumetti Disney senz’altro. Sia nei grandi classici che nelle versioni disegnate oggi. Loro sono la quint’essenza del fumetto. Adesso c’è una tendenza nel fumetto, provocata anche dall’informatica, cioè quella di disegnare le foto, facendo disegnare degli amici, inventandosi gli sfondi. Questo mezzo è più parente del fotoromanzo che del fumetto perché quest’ultimo è da sempre caratterizzato dal disegno. Non c’è niente di più anarchico del disegno. Potrei immaginare per assurdo di fare un fumetto di Fridman in questo modo, ma provati a fare Paperino in questo modo! Impossibile! Paperino è un’astrazione assoluta, una caricatura assurda di un papero, ma quando lo leggi non è né una caricatura né un papero, è una persona. C’è un altro pregiudizio nei confronti di Mickey Mouse, che viene considerato il personaggio “legge e ordine”. Ti faccio notare che è Paperino che vive in una villetta middle class, mentre i personaggi amici di Topolino erano dei neri che vivevano in uno slum. Mickey è un personaggio con una carica eversiva fortissima, poi è stato usato per fare propaganda bellica, ma il personaggio nasce molto più eversivo. Io quello darei ai bimbi, poi se vogliamo dargli qualcosa di italiano, allora deve essere senz’altro Jacovitti. Credo che purtroppo ormai non abbia più un pubblico di giovani. Tra l’altro dovresti vedere i disegni originali per capire con che cura, pazienza certosina, raffinatezza disegnava i particolari. Non esiste nessun altro Jacovitti, mentre Tex Willer in fondo è un western come ce ne sono tanti.

Anche la tua linea bianca è un tratto distintivo…
Io sono una brutta copia di gente come Milo Manara, ce ne sono decine come me e meglio di me. Se c’è un qualcosa che ho in più sta nella cultura che mi viene dai miei studi, nell’esperienza che mi viene dall’aver fatto l’ingegnere. Ti posso garantire che la fatica mentale di essere davanti a un tavolo con un foglio bianco è veramente molto simile. Volendola sparare grossissima io mi sento molto vicino a Leonardo. Leonardo è il più grande disegnatore scientifico che si sia mai visto. I suoi disegni sono il pensiero fatto segno, in un’epoca in cui disegnavano senza poter correggere. Se ti posso dare la mia opinione personale il Salvator Mundi non è di Leonardo neanche per idea. Tutti i quadri suoi conosciuti hanno delle strutture delle figure che sono innovative rispetto al suo tempo, quello lì è piatto. Non ho presente opere certe giovanili di Leonardo, ma potrebbe essere una di quelle. Ti lascio con un nome di un grandissimo scrittore russo che nessuno conosce in Italia, Sergej Dovlatov. Consiglio ai lettori di Mangialibri di leggerlo e di cominciare con La valigia, edito da Sellerio.

I FUMETTI DI VITTORIO GIARDINO