
Ha trascorso l’infanzia tra Africa e Argentina. Ha un passato da pittrice, ma da una decina d’anni la sua attività principale è la scrittura. Yolaine Destremau, che vive tra Parigi e Lucca, ama parlare dei suoi personaggi e dei temi che tratta nei suoi romanzi. Ha accettato di rispondere alle nostre domande e lo ha fatto con estrema generosità. Ecco cosa ci ha raccontato.
Da dove nasce l’esigenza di affrontare un tema tanto delicato quanto la violenza domestica come fai nel tuo libro La malaintesa? Ritieni si tratti di un problema di cui si parla troppo poco?
Si tratta di un’esigenza e anche di un’emergenza. Non si parlerà mai troppo di questo problema. Certo che ogni anno l’argomento viene trattato in maniera sempre più ampia, e piano piano le vittime hanno più coraggio nel denunciare la violenza. Anche se le cifre relative ai casi di denuncia non cambiano di molto, purtroppo.
Hai scelto per Cécilia la professione di avvocato affinché si vedesse meglio la differenza tra la sua immagine pubblica, decisa e temuta, e quella privata, completamente sottomessa?
Volevo una narratrice molto forte, strutturata, con una vocazione, una professione in cui non esistessero la fantasia, l’emozione, i sentimenti. Volevo mostrare che nessuno è immune da questo flagello: puoi essere amata dalla famiglia, educata, libera finanziariamente, indipendente, con amici e colleghi, risolta e soddisfatta nella vita professionale, ed essere totalmente sottomessa a qualcuno. Cécilia ha avuto una vita protetta e non sa riconoscere la manipolazione o la perversione. E per Abel, è una sfida distruggere la felicità della propria compagna.
Abel mortifica la sua donna lavorando per sottrazione, a partire dal nome, che diventa Cécile e snatura in qualche modo la personalità della giovane donna. Quali sono le ricerche che ti hanno condotto a tratteggiare la figura di quest’uomo, così ben riuscito nella sua sottile capacità di manipolare la moglie?
Ho lavorato presso un’associazione per le donne maltrattate. Ho sentito, ho letto tante testimonianze. Sono diventata una di loro, sono diventata Cécilia, e ho pensato: quali sono le parole che mi avrebbero fatto del male? Ho provato a capire il meccanismo psichico della violenza, come si insinua in una coppia; come le violenze verbali si trasformano in violenze fisiche, e come poi la coppia esplode. Ho provato a capire anche dove finisce la resistenza della donna, e perché resista così tanto, invece di andarsene subito. Non si capisce perché Cécilia sopporti tutto questo: in realtà è nel suo carattere, ma fa anche parte della nostra educazione di donne, storicamente.
Come scrittrice, ritieni più difficile raccontare figure positive come Cécilia o personaggi malvagi e cattivi come Abel, cui forse sarebbe stato molto meglio il nome Caino?
Parlare unicamente delle persone positive non è parlare della realtà della vita, ed è questo ciò che mi interessa. Anzi, parlare delle persone cattive non è piacevole, ma aiuta molto ad analizzare la cattiveria, a capire -un po’- i comportamenti negativi, e forse a proteggersene. Ne La malaintesa non descrivo l’infanzia di Abel, parlo pochissimo della sua storia - lui deve aver avuto un passato difficile per essere diventato così - ma volevo concentrarmi sul punto di vista di Cécilia, È lei che parla, nel corso della narrazione.
C’è qualcosa che le donne possono fare, insieme, per riuscire a fare muro contro gli episodi di violenza che si ripetono ogni giorno?
Secondo me, solo l’educazione può cambiare le cose: l’educazione dei figli, della polizia, dei servizi sociali. E per la formazione occorrono anche soldi. Abbiamo bisogno di apprendere ad ascoltare, empatizzare, anticipare, testimoniare, manifestare, e non smettere mai di fare tutto questo. Scrivere un libro è la mia maniera di militare. Faccio molta fatica a capire questo mondo: sembra più facile andare sul pianeta Marte che aiutare una donna maltrattata.
E cosa dovrebbe fare un genitore nei confronti dei figli maschi, per provare a fermare l’ondata di violenza di cui gli uomini, spesso, si sentono autorizzati a servirsi, come se fosse un diritto della loro categoria d’appartenenza?
L’educazione data dai genitori a casa è fondamentale: insegnare il rispetto verso le donne, e anche insegnare alle donne a non accettare tutto, a sapersi difendere, a saper dire “no”. È anche molto importante l’esempio che danno i genitori nella loro vita di coppia. Se si rispettano tra loro, ma anche nei confronti dei figli; se c’è comunicazione relativamente alle tragedie del mondo; se i figli capiscono che la violenza non è ammissibile, che sia in famiglia o nel mondo non importa, allora saremo salvate.
Che tipo di lettrice sei? Ci sono generi che preferisci o che proprio non sopporti? Quali sono i tuoi autori preferiti e cosa stai leggendo al momento?
Leggo un po’ di tutto. Ultimamente mi è piaciuto L’ultima estate in città di Gianfranco Calligarich, un libro del 1973. Ora sto leggendo un libro di Joseph Kessel, Le mani del miracolo. Ho comprato Il filo di mezzogiorno di Goliarda Sapienza, che ammiro molto. E poi leggo sempre con piacere Virginia Woolf, Colette, Nuala O’Faolain, Carson McCullers.
C’è un nuovo romanzo già in cantiere?
Sì, sto lavorando a un altro progetto. Ma l’intensità de La malaintesa, questi anni che abbiamo passato insieme, Cécilia ed io, fianco a fianco, combattendo il nemico, mi hanno lasciato vuota e orfana. Sono felice di vedere che il libro ha la sua vita propria, che il viaggio continua. Mi auguro che venga ben compreso!