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Intervista a Zarifa Ghafari

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Zarifa Ghafari è una attivista politica e femminista, lotta perché alle donne afghane vengano finalmente riconosciuti dei diritti. Nel 2018 è stata nominata sindaca di Maidanshahr dal presidente Ashraf Ghani, a soli 26 anni. Con il ritorno dei talebani, Zarifa e i suoi familiari sono entrati nel mirino dei fondamentalisti. Ne è la prova il tragico 5 novembre 2020, giorno in cui il padre di Zarifa viene assassinato. Il 15 agosto 2021, dopo la caduta di Kabul, la famiglia Ghafari riesce a fuggire, stabilendosi a Bonn, in Germania, dove tuttora gode di protezione politica. La voce di Zarifa, tuttavia, continua a farsi sentire in favore del suo popolo. La sua lotta è diventata un documentario Netflix e un libro. Abbiamo intervistato questa coraggiosa donna per Mangialibri.



Nella parte iniziale del romanzo parli di stereotipi. Questi sono molto pericolosi per via della loro capacità di creare pregiudizi. Nello specifico fai una riflessione sulla Germania e sul pensiero comune che in Europa si goda di una vita agiata. Con che pensiero crescono in merito al continente europeo le bambine e i bambini afghani? E, invece, qual è la diversità principale tra ciò che davvero è la tua terra rispetto a quello che vediamo nei documentari?
Una grande percentuale di bambini afghani non conosce molto lo stile di vita occidentale a causa della mancanza delle fonti di informazione. La piccola parte che conosce qualcosa lo apprende da media, notizie, documentari e film che guarda, ma se vedi c’è così tanta distanza tra le storie dei film e le realtà della vita, quindi è difficile spiegare quanto sanno e come. E su cosa sia veramente la mia terra rispetto ai film/documentari posso dire che le storie di dolore, guerra e terrore che arrivano da qui e sono il fulcro di documentari/film/notizie non rappresentano tutto quello che è la mia terra. L’Afghanistan è un paese con più di 5000 anni di storia, una grande tradizione culturale, natura e bellezza: tutte cose purtroppo poco mostrate al mondo.

Un altro tema fondamentale del tuo romanzo, che viene spesso ripreso nel documentario Netflix In her hands, è quello dell’istruzione. Con la “Assistence and Promotion for Afghan woman” avete inaugurato un centro di formazione femminile. Quali sono i fondamentali valori che la scuola trasmette e che possono rappresentare un’arma di difesa contro l’oppressione?
L’educazione di per sé è una grande arma contro la guerra, l’estremismo, l’orrore e i conflitti. Specialmente se una madre è istruita possiamo educare le successive dieci generazioni in una società, quindi la mia lotta è stata sin da subito focalizzata su questa causa. Sono sicura che tutti i diritti basilari e fondamentali possono essere pienamente protetti con l’aiuto dell’educazione poiché la chiave per i diritti fondamentali stessi è l’ISTRUZIONE.

Parliamo ora di donne. Sei mesi dopo essere fuggita dall’Afghanistan ed essere arrivata in Germania, hai voluto ritornare indietro. Nel tuo libro hai affermato di non averlo fatto per una scelta polita, ma per motivi umani e per una responsabilità che sentivi di avere verso le donne. Con la tua coraggiosa lotta, che cosa vuoi risvegliare nelle donne e in che cosa vuoi spingerle a credere?
Voglio essere solo la voce delle donne senza voce ora, ma a lungo termine voglio risvegliare nelle donne la fiducia in loro stesse, il loro potere e la capacità di non arrendersi mai, la consapevolezza di poter guidare le loro comunità perché sento che se le donne sono leader le comunità allora possono sperimentare la pace e il progresso.

Il libro, oltre alla storia del tuo attivismo, parla molto della tua famiglia e del tuo popolo. Della vostra cultura, delle bellezze del vostro territorio, ma anche della paura. Come ha fatto la paura a non fermarti e continuare a camminare da sola, nel modo più indipendente possibile?
È solo perché credo in me stessa, nelle mie capacità e nella mia forza d’animo. Ancora più importante, so che è essenziale non arrendersi, rimanere forti e rimanere in piedi è l’unica scelta per arrivare dove voglio! Raggiungere un luogo dove non solo posso servire il mio Paese e la mia gente, ma anche aiutare la mia famiglia.

Ora Zarifa, dopo aver ripercorso anche oggi la tua storia, vorrei farti una domanda personale. Parliamo solo di te, come donna e come essere umani che vive la sua vita ogni giorno. Sono sicura che chiunque ti abbia conosciuta saprebbe rispondere a questa domanda, ma vorrei sentirlo da te: sei orgogliosa di te stessa?
Sì e no. Sì, sono orgogliosa di me stessa perché svolgo un ruolo nella mia comunità, sono orgogliosa di poter servire il mio Paese, le persone e infine la mia famiglia. Sono orgogliosa della mia vita personale, a fianco del mio compagno di vita e di mia figlia. E infine sono orgogliosa di me perché sono ancora in piedi nonostante molti dispiaceri, dolori e perdite. No, non sono orgogliosa di me perché non ho potuto fare molto per proteggere il mio Paese, la mia gente e la mia vita dal cadere ancora una volta nelle mani dei talebani, dell’estremismo e dei conflitti.

I LIBRI DI ZARIFA GHAFARI