
Socrate è un clochard, ma questo non è il suo vero nome. Nessuno sa come si chiami davvero, anzi nessuno sa molto di lui in generale. Solitario, silenzioso e riservato, ma non importa, perché nel “mondo delle ombre […] conta il nome con il quale sei conosciuto, il resto non esiste: la vera identità è un bene che appartiene al mondo altro”. Socrate si considera fortunato, perché la prima cosa che vede al suo risveglio è il Colosseo e perché lui è riuscito, in un’altra vita, a vedere i delfini rosa del Rio delle Amazzoni. Indossa un foulard che non toglie mai, e porta sempre con sé un pacco che tutti chiamano il tesoro di Socrate e che qualcuno ha cercato invano di rubare: è in grado di farsi rispettare, sia per la stazza sia per il piglio autoritario e la soggezione che incute… Daniela sta vivendo l’ultima sera di una vacanza a Malindi, dove il tramonto “sa di sangue e passione” e dove è venuta a passare qualche giorno con suo padre che ormai si è trasferito all’Equatore e ha aperto un locale sulla spiaggia. Non hanno avuto molte occasioni di frequentarsi in passato, ma ultimamente hanno riallacciato i rapporti e sono felici di condividere qualche momento padre-figlia, anche se dall’altra parte del mondo. Domani Daniela tornerà alla solita vita e all’importante decisione che l’aspetta e che aveva bisogno di valutare con calma: ha accettato l’incarico di dirigere la Squadra Mobile a Roma, dopo il breve ruolo di capo della Sezione Omicidi…
“È sempre colpa di qualcuno, se non si è felici”. Io che ho visto i delfini rosa è tante storie, ognuna delle quali crea un piccolo microcosmo di emozioni che premono per essere raccontate. Biagio Proietti sa descrivere bene il mondo degli “invisibili”, qualche volta deboli e indifesi qualche volta lupi, dove l’identità non è importante, ma ciò che conta è la sopravvivenza. Un mondo misterioso di ombre ed emarginazione, di fame, disperazione, di solitudine dolorosa, dove le giornate sono troppo lunghe e l’angoscia si dilata e riempie gli spazi lasciati vuoti dall’alcool, dove bere è l’unico modo per annebbiare i ricordi tristi e “per superare la notte, densa sempre di ricordi e d’incubi”, un mondo che convive con quello che conosciamo, toccandolo appena. L’amore per Roma, vissuta e amata, è evidente nell’ammirazione e nell’affetto che traspare dalle descrizioni minuziose. Un romanzo di disprezzo e perdono, di prospettive, di dolore, rimpianto, amarezza e rassegnazione, di amore e sacrificio, di passione e ambizione, di tradimento e vendetta, una storia dove anche i colpevoli sono vittime e le vittime sono colpevoli e dove il confine tra bene e male sfuma e confonde. Uno stile malinconico, emozionale, delicato, morbido, a tratti musicale, con descrizioni che evocano immagini e colori, ma un percorso investigativo scarno e dal finale prevedibile. Peccato, inoltre, per i refusi e gli errori, davvero numerosi e disturbanti, tanti da mettere in difficoltà il lettore.