
Gloria Weston ha otto anni e vuole un mondo di bene al suo robot Robbie. Ci gioca a nascondino, si fa portare a cavalcioni, lo costringe a far finta di essere un aereo, gli racconta le stesse favole milioni di volte e lui la ascolta con robotica pazienza. L’attaccamento di Gloria al suo baby sitter meccanico però non va giù a sua madre Grace, che “martella” il marito George affinché si sbarazzi “di quell’orribile macchina”, la restituisca alla US Robots. Sono già due anni che Robbie fa da baby sitter a Gloria e la donna non ne può più, pensa che “i bambini non siano fatti per essere accuditi da un affare di metallo”. All’inizio Grace aveva accettato la novità di buon grado, in fondo i robot allora andavano molto di moda, ma ora ci ha ripensato: la bambina si rifiuta di giocare con chiunque non sia Robbie, i vicini disapprovano… e se quell’orribile “coso” impazzisse? George Weston cerca di far ragionare la moglie, si arrabbia ma alla fine – come tutti i mariti – è costretto a cedere… Pianeta Mercurio. Sono soltanto dodici ore che Gregory Powell e Mike Donovan si trovano lì, nella base costruita dalla sfortunata missione atterrata dieci anni prima, ma già sono nei guai fino al collo. Sono stati spediti su quel pianeta infernale per verificare se fosse opportuno riaprire la Stazione Mineraria progettata a suo tempo utilizzando tecniche più avanzate e robot ultimo modello, ma hanno trovato i banchi di cellule fotoelettriche – l’unica barriera capace di difenderli dal mostruoso sole di Mercurio – del tutto fuori uso, così Donovan ha mandato il loro robot Speedy sulla superficie in cerca di selenio. Ce n’è una pozza a 27 chilometri di distanza, ma appena l’ha raggiunta Speedy ha iniziato a girare in tondo, come fosse ubriaco. I due brillanti tecnici non capiscono cosa sia successo. L’unica è attivare i sei robot della vecchia spedizione e cercare di raggiungere Speedy, lottando contro il tempo…
Sebbene si tratti di un’antologia di racconti – peraltro non coevi ma scritti nell’arco di un decennio, dal 1940 al 1950 – Io, robot possiede anche qualche caratteristica tipica dei romanzi. Quasi tutti i racconti hanno dei protagonisti in comune, per esempio: su nove storie, tre riguardano i brillanti tecnici Donovan & Powell e ben cinque Susan Calvin, la scorbutica esperta di psicologia robotica di mezza età. Solo il primo è completamente a sé, ma è essenziale per la saga perché in esso per la prima volta si accenna a una delle più grandi trovate – forse la più grande – della carriera letteraria di Isaac Asimov: le Tre Leggi della Robotica, che vengono riportate nella loro interezza nel secondo racconto del libro. Eccole: 1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. 2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge. 3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge. Proprio attorno alle contraddizioni e i paradossi che queste leggi possono scatenare sono imperniati i racconti di Io, robot, tutti usciti originariamente sulle riviste “Super Science Stories” e “Astounding Science Fiction”. L’atmosfera è soprattutto ironica, mancano del tutto l’action e il ritmo adrenalinico dell’omonimo film del 2004 diretto da Alex Proyas e interpretato da Will Smith, che infatti in comune con questo libro ha quasi soltanto il titolo. Qui il sapore è vintage (basti pensare che il primo racconto, Robbie, è ambientato nel 1998) e al lettore viene spesso da sorridere guardando al futuro ipotizzato ai tempi della Seconda guerra mondiale. Il tema del cervello robotico alle prese con l’autocoscienza e i sentimenti poi potrebbe annoiare, in fondo ormai è un cliché. Il problema è che quel cliché è stato inventato in questi racconti. È qui che tutto è iniziato.