
Gennaio 1976. Nella sua villetta di un quartiere residenziale nei dintorni di Inglewood, un sobborgo di Los Angeles, Robert Neville vive sotto assedio. E non per le continue, furiose tempeste di polvere. Da cinque mesi, appena dopo il tramonto, il giardino di casa sua si popola di vampiri, che gemendo e muovendosi come automi cercano di entrare e succhiargli il sangue, sbranarlo o dio solo sa cos’altro. All’alba, tornano a nascondersi al buio, in cantine, stabili abbandonati o chissà dove. E appena tramonta il sole arrivano di nuovo, a sciami. A quanto pare, Neville è l’ultimo essere umano normale rimasto in città, ma a giudicare dall’opprimente silenzio di telefono, radio e televisione, altrove la situazione non deve essere molto diversa. Maledetta epidemia. Un anno fa si è portata via sua figlia, la piccola Kathy. È stato costretto a vederla morire poco a poco Neville, e poi a portarne il corpicino a quella enorme, infernale fossa costruita dalle autorità in cui il fuoco non si spegneva mai, a gettarlo in quel burrone pieno di cadaveri, dove era obbligatorio bruciare ogni morto per bloccare il contagio. Senza cerimonie, senza nessuna pietà, uno dopo l’altro, i corpi ammassati come immondizia tra il fumo e la puzza insopportabile. E poi, dieci mesi prima, è morta anche Virginia, sua moglie. Ma Neville lei non l’ha voluta portare alla fossa infuocata, no. Ha voluto seppellirla di nascosto, l’ha fatto con le sue mani. E Virginia è tornata da lui, è tornata a casa di notte e voleva… divorarlo, ucciderlo. E così Neville ha dovuto... ha dovuto farla morire di nuovo. Piano piano sono scomparsi tutti, nel vicinato. Di giorno non si fa vedere nessuno. Ma ogni notte vengono a trovarlo, lo chiamano, emettono urla che non hanno niente di umano, a volte si sbranano tra loro. Soprattutto il suo vicino e amico più caro, Ben Cortman, che ora somiglia a un mostruoso Oliver Hardy assetato di sangue. Robert ha imparato che – come nelle leggende, nei libri e nei film - aglio e croci li tengono lontani. E che i paletti piantati nel petto li uccidono. Una volta per tutte, cioè. Ma sono davvero vampiri risorti dalla tomba? Sono davvero morti? Sono mostri inumani o sono soltanto malati?
Questo romanzo, datato 1954, è uno degli snodi essenziali della storia della letteratura e del cinema, direi dell’immaginario collettivo. Punto. Nonostante le imperfezioni – è stilisticamente forse uno dei peggiori prodotti di Richard Matheson, il plot è a tratti ripetitivo, la spiegazione “scientifica” che l’autore dà dell’epidemia di vampirismo non è affatto convincente, manca quasi totalmente il background su come la catastrofe si è generata e sviluppata, nulla viene detto del mondo al di fuori del quartiere dove vive il protagonista –, nonostante le feroci stroncature ricevute quando è stato pubblicato (eh già, lo hanno stroncato). Perché Io sono leggenda ha dato vita ad un tòpos narrativo tra i più fortunati del XX secolo, quello della casa assediata dai morti viventi, della “pandemia zombie”, che George Romero nel 1968 per il suo Night of the living dead ha preso pari pari da qui. Non importa che qui si parli di vampirismo (tanto che la prima traduzione italiana del romanzo si intitolava I vampiri), fidatevi: leggendolo vi troverete immediatamente proiettati in uno dei migliaia film o libri sugli zombie che avete letto o visto in questi decenni. Però sono venuti tutti dopo, questo è stato il primo. Matheson ha avuto l’idea. Geniale poi l’alternarsi dei punti di vista, come in due universi paralleli e speculari. Durante la notte il protagonista se ne sta rintanato nella sua casa a prova di intrusione, col frigo pieno di cibo e una collezione sterminata di LP di musica classica, assediato da una folla di vampiri avidi del suo sangue. Ma con il sorgere del sole Neville esce fuori e scova i vampiri addormentati, massacrandone decine ogni giorno. In questa sorta di mondo al contrario, è Neville che si è trasformato in una creatura unica e leggendaria, che colpisce durante il sonno senza pietà. È lui, la leggenda. Il mostro. L’unico. Solo un maestro come Matheson avrebbe potuto soffermarsi sulla doppia faccia di un protagonista che è da una parte Crusoe assediato col quale empatizzare, dall’altra assassino spietato, angelo sterminatore, relitto violento di un passato che non può tornare, odioso ostacolo al progresso e al cambiamento. Da Io sono leggenda sono stati (finora!) tratti tre film, riusciti solo in parte e mai del tutto fedeli al libro. Il migliore è il primo, L’ultimo uomo della Terra del 1964, con Vincent Price protagonista e incredibilmente girato a Roma, all’EUR. Il più bizzarro è 1975: occhi bianchi sul pianeta Terra, del 1971, con un Charlton Heston più gigione che mai. Il più adrenalinico (ma probabilmente anche il meno affascinante) è I am legend, del 2007, con un Will Smith tenerone e maniaco di Bob Marley.